MESSAGGI E MESSAGGERI

COS'È UN MESSAGGIO?

Questo termine, deriva dal francese "message", e a sua volta derivato dal francese antico "mes", che è il latino "mìssus" (messo, inviato). È, dunque una notizia, una comunicazione, che si trasmette ad altri a voce o per iscritto, per mezzo di persona appositamente incaricata, o anche attraverso la posta, il telegrafo, la radio e la televisione. In Italia siamo garantiti dal primo comma dell'articolo 21 della Costituzione che recita: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione" Quest'articolo consacra un fondamentale diritto della libertà di pensiero e di opinione e quindi in virtù di tale articolo ed attraverso i mezzi sopra citati, personaggi celebri, politici, religiosi, scienziati studiosi rivolgono i loro messaggi al popolo. Un messaggio ha sempre la capacità di suscitare nuovi seguaci e di rinnovare la fermezza in quelli che ne sono stati i destinatari già prima. Ai nostri giorni, nonostante le diversità di pensiero, tutti i messaggi espressi tramite le correnti ideologiche, concordano su un punto, e cioè che nel mondo necessitano dei cambiamenti politici, religiosi, sociali e culturali.
Scienza, politica, cultura, industria, sport si contendono dunque l'uomo con i loro discorsi, ma quasi sempre vedono in lui solo una macchina, un numero, un acquirente, un tifoso; mentre i suoi veri problemi non li interessano più né li commuovono. In questo difficile recupero dei veri valori solo il cristianesimo può ancora aiutare, se riusciamo, a percorrere l'unica via che ci può condurre al salutare messaggio: la Bibbia, Parola di Dio, fondamento della fede cristiana.

IL MESSAGGIO DELLA BIBBIA

Chi legge attentamente la Bibbia non può non rilevare e vedere che tutti gli episodi, le dottrine, le affermazioni dei suoi personaggi sono raccontati non per un interesse biografico, né per soddisfare una curiosità storica, ma esprimono un messaggio alla luce del loro rapporto con Dio. Da tutte le pagine della Bibbia, in modo chiaro, affiora un unico messaggio: l'amore di Dio. Iddio della Bibbia è un Dio che si manifesta e, parla, fin dalla creazione e nel corso di tutta la storia del Suo popolo. Egli disse...e dal nulla sorse l'universo (Gen. 1:3,6,9...). Il Signore che è luce e amore (l Giov. 1:5;4:8), si fa conoscere dalle Sue creature. Egli manifesta la Sua natura, la Sua volontà, i Suoi pensieri ed i Suoi piani. Spiega la Sua opera passata e presente, annunzia le Sue azioni future ed il Suo trionfo finale. Era estremamente necessario avere queste rivelazioni scritte in un libro, in quanto una comunicazione orale data ad un uomo, ad una generazione, ad un popolo anche eletto, non era sufficiente e nel corso degli anni il messaggio originale avrebbe potuto subire delle variazioni o aggiunte con degli errori. Proclamato nella sua autorità divina, il messaggio Biblico acquista un valore permanente: "Poiché io vi dico in verità che finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto" (Matteo 5:18). Un messaggio orale corre il rischio di essere rapidamente dimenticato, per questo motivo Dio disse a Mosè in questa maniera: "Scrivi questo fatto in un libro perchè se ne conservi il ricordo!l (Es.17:14). Questo messaggio scritto continua a diffondere potentemente il suo valore in tutto il mondo. Vengono le persecuzioni, i missionari spariscono ma il messaggio scritto rimane emette tutti i lettori di fronte alle proprie responsabilità: "hanno Mosè ed i profeti, ascoltino quelli" (Luca 16:29).

IL MESSAGGIO NEGATIVO

Se ci si volge al Nuovo Testamento, si trova che esso insiste sulla ispirazione dell'Antico Testamento allo stesso modo che questo. Dopo avere avvertito Timoteo che negli ultimi giorni sarebbero sopravvenuti tempi pieni di pericoli, Paolo richiamò la sua attenzione sul fatto che gli uomini si sarebbero opposti alla verità proprio come i Magi d'Egitto avevano contrastato Mosè (II Timoteo 3:8). Questa constatazione di Paolo la possiamo definire, senza ombra di dubbio, " profetica", in quanto tale realtà si adempie ancora oggi, sotto ai nostri occhi. A proposito Spurgeon disse:
"Molti falsi profeti si sono fatti avanti: io vi avverto, affinché, per non farvi condurre fuori di strada, siate diligenti nello studio della Parola di Dio...lo affermo solennemente che ci sono delle persone che si presentano come maestri della Parola, talmente ignoranti nei propri cuori delle realtà spirituali, talmente decisi a predicare qualsiasi cosa meno Cristo, che voi starete meglio senza di loro che con loro; e che per questo avete assolutamente bisogno di rivolgervi continuamente a quella bussola che è la Bibbia, la sola per mezzo della quale potete trovare la giusta direzione!"
Questa esortazione ci fa comprendere come il messaggio biblico possa essere interpretato in modi diversi ma, senza avere nessuna relazione con la verità e la giustizia.

L'IMPORTANZA DELLA PREDICAZIONE

Per diversi motivi l'importanza della predicazione è oggi messa in discussione a diversi livelli. Alcune di queste ragioni sono di carattere teologico. C'è chi, per esempio, credendo all'universalità della salvezza, attribuisce all'annuncio del Vangelo un'importanza molto relativa (cfr. Rom.l0:13-17).
Ma anche là dove esiste un consenso teologico intorno al bisogno di comunicare il messaggio di grazia all'uomo perduto, c'è il rischio di sottovalutare il ruolo della predicazione. Come abbiamo visto, i grandi mezzi moderni della comunicazione offrono una varietà di modi di presentazione. Così, alla domanda di Paolo: "Come udranno se non v'è chi predichi?" (Romani 10:14), qualcuno potrebbe rispondere, un pò superficialmente: "Per mezzo della musica, dei film o delle testimonianze in genere". Però, questi mezzi sono inadeguati, inefficienti e incompleti o addirittura, possono essere fraintesi se dietro ad essi non segue un annuncio preciso e diretto. La musica ed altri mezzi simili fanno appello soprattutto all'emotività dell'individuo. Ma quando una persona lascia che la Parola di Dio illumini la sua vita, viene convinto di peccato e diventa consapevole del suo bisogno assoluto della misericordia di Dio (cfr. Giovanni16:7-11; Atti 2:36-38; I Giov. 1:5-9). L'importanza della predicazione è strettamente legata al valore insostituibile della Parola, come strumento dello Spirito in grado di convincere l'uomo del suo bisogno di Dio.

MESSAGGERI NEGATIVI

Prima di parlare dei veri messaggeri, è importante segnalare nelle Scritture quelli falsi e negativi per scoprire in che cosa si distinguono dai veri. Il problema che si affaccia non è di semplice soluzione, soprattutto per quanto riguarda il falso profetismo, in quanto non ci sono termini tecnici, nella lingua originale, che consentono di distinguere il vero dal falso messaggio profetico. Tutti i profeti, infatti, sono indicati indistintamente con il termine "nabù" e, per complicare ancora di più le cose, anche i falsi profeti si dichiarano mandati dall'Eterno e vantano le stesse prerogative dei veri. Quindi la domanda che cercheremo di rispondere nel prosieguo dello studio dei falsi profeti è questa: "Chi furono i falsi profeti? Come potevano essere riconosciuti dal popolo?" Nelle nostre indagini riporteremo casi esemplari di falsi profeti che cercarono di ostacolare il vero messaggio. Il primo caso che andremo a vedere riguarda Anania, che si pose in antagonismo irriducibile con il vero profeta Geremia.

MESSAGGERI NEGATIVI NELL'ANTICO TESTAMENTO

IL GIOGO DI DIO E L'AVVERTIMENTO DI GEREMIA
(Geremia 28)

Leggiamo nella Scrittura che al principio del regno di Sedekia, Geremia apparve con un giogo di legno sul collo e prese ad esortare gli abitanti di Giuda ad essere soggetti a Nebucadentsar e a diffidare dei loro profeti e indovini che predicevano una falsa riscossa. Le nazioni, diceva Geremia, appartengono all'Eterno, ed Egli ha deciso di darle momentaneamente in mano di Babilonia. È dunque vano opporsi alla volontà di Dio; molto meglio accettare con sottomissione, la prova, fino al giorno che Dio umilierà anche Nebucadnetsar sotto la Sua mano potente. L'idea centrale del messaggio di Geremia è l'affermazione della sovranità di Dio (in opposizione alle divinità pagane, dèi completamente impotenti ad ostacolare i Suoi segreti disegni), che vuole disciplinare il popolo eletto. Questo è il motivo per cui Dio permette il predominio ora a questa, ora a quella nazione. Il valore simbolico di quest'atteggiamento di Geremia, che soleva ricorrere abbastanza spesso a questo mezzo per rendere più incisiva la sua predicazione, è legato al significato di umiltà e di convinta accettazione del disegno Divino.

IL FALSO PROFETA
Un giorno uno di quei falsi profeti, Anania, si fece incontro a Geremia, e con gesto drammatico, prese il giogo che Geremia portava sul collo e lo spezzò, annunciando solennemente che entro due anni l'Eterno avrebbe spezzato il giogo babilonese e avrebbe rimandato in patria gli esuli della prima deportazione e gli arredi del Tempio predati da Nebucadnetsar (Geremia 28:11). Gli autentici profeti di Dio avevano invece sempre annunziato sciagure e non si doveva credere a una predicazione diversa fino a quando questa non si sarebbe avverata. L'Eterno, quindi, manda a dire, proprio tramite Geremia, al falso profeta che il gesto di rompere il giogo di legno ha conseguito, solo il risultato di mettere sul collo di tutte le nazioni assoggettate a Babilonia, un giogo di ferro (Geremia 28:13-14).

RISULTATO DELL'INCONTRO TRA IL VERO E IL FALSO PROFETA
Come si è detto in apertura di questo capitolo, il problema per distinguere il vero dal falso profeta si complica ancora di più quando Geremia dice che oltre a predicare menzogne, questi profeti si dichiarano mandati da Yawhe: "…quei profeti profetizzano menzogne nel mio nome..." (Geremia 14:14) ed Anania ne è un classico esempio quando annuncia la sua profezia dicendo: "Così parla l'Eterno degli eserciti, l'lddio di Israele..." (Geremia 28:2). Il problema non è risolto neanche quando Geremia dice: "Ascolta Anania, l'Eterno non ti ha mandato..." (Geremia.28:15), perchè ora ci troviamo di fronte a due persone che entrambe dichiarano di parlare in nome di YHWH e di possedere ciascuno le caratteristiche del vero profeta. Sicché, quando i sacerdoti e i profeti accusano Geremia e lo minacciano di morte (Capitolo 26:11) perchè ha predicato contro il tempio (cfr. cap.7:10), egli si affida soltanto a questa autodifesa: "L 'Eterno mi ha veramente mandato a voi per farvi udire queste parole" (26:15). Di più ancora nel cap. 43:3, Geremia è addirittura accusato di aver predicato il falso per aver proibito al popolo la fuga verso l'Egitto. Le accuse erano dunque due: 1. Accusa di menzogna; 2. Accusa di mancanza del mandato divino.
Quindi l'incontro con Anania è interessante per il problema che solleva sul falso profetismo. Nulla distingue esteriormente il vero profeta dal falso, visto che entrambi parlano solennemente nel nome di Dio. L'autenticità della loro vocazione, non può essere giudicata dunque che con un unico metro: il confronto dei caratteri che contraddistinguono una predicazione dall'altra, come si può agevolmente osservare dal seguente schema:

LA PREDICAZIONE AUTENTICA

LA PREDICAZIONE FALSA

Non annuncia che le benedizioni giungano prima della conversione

Annuncia benessere senza convertirsi dal male

Rimprovera gli errori

Tollera gli errori

Da priorità al restauro spirituale

Da priorità alla vita materiale

Annulla ogni speranza terrena

Alimenta le illusioni delle risorse umane

Invita alla sottomissione

Provoca delle rivolte

Onora tutta la Parola di Dio data in precedenza da altri profeti

Si schiera contro le predicazioni profetiche annunciate nel passato

Smentisce con decisione e autorità il falso messaggio

Tace di fronte all’ispirazione del messaggio

È convalidata dai fatti

È smentita dai fatti

 

 Non annuncia che le benedizioni giungano prima della conversione Annuncia benessere senza convertirsi dal male Rimprovera gli errori Tollera gli errori Da priorità al restauro spirituale Da priorità alla vita materiale Annulla ogni speranza terrena Alimenta le illusioni delle risorse umane Invita alla sottomissione Provoca delle rivolte Onora tutta la Parola di Dio data in precedenza da altri profeti Si schiera contro le predicazioni profetiche annunciate nel passato Smentisce con decisione e autorità il falso messaggio Tace di fronte all'ispirazione del messaggio È convalidata dai fatti È smentita dai fatti.

MICAIAH E I FALSI PROFETI DI ACHAB
(1Re 22)

Micaiah, figlio di Imla, è stato spesso identificato come il primo profeta che si è messo in contrasto con i falsi profeti. I falsi profeti coinvolti in questa occasione erano i 400 di Achab ai quali ricorreva regolarmente per consultarli. Indagare su questo caso è molto importante ed appropriato perchè esso ci aiuta a rispondere alla domanda sopra menzionata. Il movente della storia si trova nel desiderio da parte di Achab, re di Israele, di fare in modo che Giosafat, re di Giuda, andasse con lui in battaglia contro i Siri di Damasco. Ma prima che Giosafat acconsentisse, egli chiese che fosse consultato l'Eterno, ed Achab chiamò, come di consueto, i suoi 400 profeti per soddisfare questa richiesta. Essi fecero credere di avere la risposta da Dio e dissero al re di uscire in battaglia perchè il Signore gli avrebbe dato la vittoria. Così si dimostrarono di essere dei falsi profeti, perchè diedero al re la parola che desiderava. Giosafat non fu soddisfatto, evidentemente aveva riconosciuto che tipo di profeti erano quei 400, e chiese se ci fosse ancore un "profeta dell'Eterno da consultare" (I Re 22:7). Achab rispose che c'era un uomo di nome Micaiah, ma disse di lui: "Io l'odio perchè non mi predice mai nulla di buono, ma soltanto del male" (22:8). Ciò nonostante Micaiah fu ugualmente chiamato secondo il desiderio del re di Giuda. Il messaggero inviato per chiamare Micaiah gli fece pressione affinché dicesse ciò che piaceva al re. Ma Micaiah rispose: "Com'è vero che l'Eterno vive, io dirò ciò che l'Eterno mi dirà" (22:14). Di fronte ai due re le sue parole furono: "Ho veduto tutto Israele disperso su per i monti..." (22: 17). Inoltre indicò che la ragione per la quale i 400 avevano predetto in quel modo era perchè Dio aveva mandato uno spirito di menzogna nelle loro bocche per ingannare il re. A queste parole Achab, invece di reagire positivamente, s'irritò e ordinò che Micaiah fosse messo in prigione, fino al suo ritorno dopo la battaglia. In risposta Micaiah disse: "Se tu torni sano e salvo, non sarà l'Eterno quegli che avrà parlato per bocca mia" (22:28). Così Achab decise di andare in battaglia nonostante il messaggio di Micaiah. Questi preferì andare in prigione piuttosto che cambiare la Parola che l'Eterno gli aveva data. Alcuni elementi sono illustrati in quest'occasione. Il primo è che esistevano numerosi falsi profeti in Israele ed uno solo da parte di Dio. I falsi profeti sono pronti ad assecondare i desideri del re e la sua volontà, ma non quella di Dio. Essi sapevano che il re Achab voleva andare a Ramoth-Ghilbea per combattere, e lo incoraggiavano in questo, promettendogli una grande vittoria. Una terza riflessione è che questi falsi profeti erano ingannati da una sorgente esterna che suggeriva loro false profezie. Oltre a queste riflessioni sopra trattate, l'episodio ci offre altre considerazioni. La prima è che i veri profeti furono molto pochi ai tempi di Achab, mentre i falsi più di 400, Achab non poteva accettare che uno solo era il vero profeta. Micaiah, anche se da solo si mette contro la maggioranza, diede la Parola di Dio, senza essere intimorito dalle minacce.

UNA LEZIONE DA RICORDARE:
LA BUGIA DEL VECCHIO FALSO PROFETA
(I Re 13)

A testimonianza della sacralità della funzione di chi è scelto e del suo messaggero, ci è sembrato opportuno riportare l'esempio che segue, tratto da I Re 13.
Un uomo di Dio, del quale non si conosce il nome, ma solo la provenienza, cioè la terra di Giuda, sale a Bethel, mandato dal Signore per rimproverare severamente Geroboamo per i suoi peccati di idolatria. Commosso dai segni e dai prodigi operati dal messo di Dio, Geroboamo vuole onorare l'uomo di Dio che, però, ricusa di restare alla mensa reale, poiché Dio gli ha formalmente proibito ogni tipo di comunione col re empio e sacrilego. Compiuta la sua missione, l'uomo di Dio se ne ritornò sui suoi passi, ma si lasciò ingannare da un vecchio profeta e la sua disubbidienza meritò un severo castigo.
L'epilogo di questa vicenda ci pone la seguente domanda: perché fu credibile l'inganno del falso profeta?
Per avere una risposta, è necessario iniziare dal presupposto che, quando si vuole ingannare qualcuno, il miglior modo è quello di mostrare una precisa conoscenza dei fatti accaduti. Il vecchio profeta con furbizia domandò: "Sei tu l'uomo di Dio venuto da Giuda?" (I Re 13:14). In questa maniera egli, infatti, gli diede ad intendere di conoscere ogni cosa come per rivelazione divina, dichiarando il luogo di provenienza. Di conseguenza, gli fu facile ingannarlo. In realtà la Parola di Dio lo accusa di menzogna in quanto egli non si era mosso per volontà di Dio, ma incitato da Satana.
Il suo procedere nel cammino della menzogna era sicuro perchè sostenuto, come abbiamo detto nel nostro presupposto, dalla precisa conoscenza di tutte le parole profetiche, di tutte le cose avvenute, di tutti i segni soprannaturali.
Questa vicenda deve essere un monito di fermezza e di incorruttibilità per colui che riceve da Dio un compito da assolvere. Infatti, un vero messaggero del Signore deve saper ubbidire appieno al suo mandato, perchè l'ubbidienza è il segno della fedeltà a Dio e dell'amore verso di Lui.
Da quest'esempio scaturisce la necessità di rimanere assolutamente fedeli a quello che Dio impartisce, attenendosi esclusivamente alla Sua Parola, senza togliere o aggiungere nulla perchè "se alcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe...e se alcuno toglie qualcosa Iddio gli toglierà la sua parte dell'albero della vita e della città santa" (Apocalisse 22:18,19).
È legittimo, però, chiedersi: "Come mai questo Dio trasmise a questo profeta bugiardo un messaggio ispirato?" La risposta si deduce dal testo stesso: prima di tutto per spaventarlo e renderlo sensibile al suo peccato, infatti, il messaggio pronunciato, proprio da lui stesso, non poteva che toccarlo maggiormente, come si può rilevare anche dal fatto che egli "gridò" (l Re 13:21) all'uomo di Dio, cosa completamente diversa dal semplice "disse". Da quest'atteggiamento si evince che egli fu preso da un forte timore davanti al severo giudizio di Dio. Colui che conosce ogni cosa, aveva visto, infatti, non solo la disubbidienza dell'uomo di Dio, ma anche la menzogna del vecchio profeta. C'è da notare che questo non è l'unico caso, in cui Dio quando vuole, può usare anche un malvagio e addirittura un animale, come portatori di messaggi senza esserne degni.
Per convalidare quanto affermiamo basti pensare ai seguenti episodi:
<>L'asina che ammonisce Balaam (Numeri 22:27-30). È da rilevare che in questa vicenda l'unica cosa che suscita stupore è la stupidità e la perversità cieca di Balaam e non il messaggio rivolto per mezzo di un'asina.
<>L'enigmatico profeta Balaam (Numeri 23:1-10; 13-27; 24:17-24) Chiamato per maledire Israele, egli pronuncia invece quattro oracoli di benedizione per il suo avvenire. La ricchezza dello stile, la grandiosità del pensiero e delle immagini formano di questi oracoli un capolavoro di poesia.
<>L'evocatrice di spiriti (I Samuele 28) Dopo che L'Eterno non rispose a Saul né per mezzo di sogni, né per mezzo dell'Urim e del Thurim, né per mezzo di profeti, Saul manda a cercare una donna che possa evocare gli spiriti morti. Nessuno può evocare i morti, il demonio ne riveste solo l'apparenza; è Gesù che tiene le chiavi dell'Ades e della morte e nessuna potenza, se non la Sua, ha il potere di aprirne le porte. Infatti, quando la donna si vide davanti Samuele, gettò un gran grido, perchè non era quello che si aspettava dai suoi sortilegi. Dio, che in nessuna maniera aveva risposto a Saul, risponde ora per l'ultima volta, per mezzo di un'evocatrice, soltanto per confermare il castigo già pronunciato in precedenza.
<>Un altro episodio assai noto ci viene anche dal N. T: con Caiafa, Sommo Sacerdote (Giovanni 11:51), il quale mentre il consiglio supremo della nazione deliberava sulla sorte del Messia, espresse il suo odio velenoso contro Gesù con parole di senso profetico contenenti tutto quanto il piano misericordioso di Dio per la salvezza non solo di Israele ma anche dei Gentili.

LA RIBELLIONE DI KORE

Ancora un quarto preciso riscontro di messaggeri falsi e di messaggi negativi ci è offerto dalla vicenda di Kore, della quale riportiamo gli aspetti peculiari.
I castighi che colpirono gli israeliti servirono per frenare le loro proteste e insubordinazioni solo per un certo tempo. Lo spirito di ribellione, infatti, era rimasto nel loro cuore e poteva riemergere, recando conseguenze amarissime. Così, mentre la prima ribellione era stata solo un tumulto popolare, suscitato dall'impulsività della moltitudine eccitata, ora, invece, stava per essere organizzata una cospirazione con lo scopo preciso di travolgere l'autorità dei capi nominati da Dio stesso.
Kore, l'animatore di questa rivolta, era un uomo capace e influente; era un levita della famiglia di Kehath, cugino di Mosè. Sebbene fosse chiamato al servizio del tabernacolo (Numeri 16:9), non era soddisfatto della sua posizione e aspirava alla carica di sacerdote. Il conferimento ad Aronne e alla sua casa dell'ufficio sacerdotale, aveva fatto sorgere gelosia e scontentezza in Kore, che progettò un piano audace per prendere il posto di Mosè; progetto per il quale non faticò a trovare simpatizzanti. Presso le tende di Kore e dei korethei, a sud del tabernacolo, vi era l'accampamento della tribù di Ruben con le tende di Dathan e Abirarn. Questi capi si accordarono rapidamente su quel piano ambizioso, ed essendo discendenti del figlio maggiore di Giacobbe, pretesero per sé l'autorità civile e sostennero che spettassero a Kore gli onori del sacerdozio.
Kore e gli altri cospiratori, avevano avuto il privilegio di assistere a speciali manifestazioni della potenza e della grandezza divina, furono tra coloro che insieme a Mosè salirono sul monte per contemplare la gloria divina. Ma da quel tempo qualcosa era cambiata. Avevano accolto una tentazione inizialmente leggera, ma che poi, essendo incoraggiata, era diventata più grave, finché le loro menti, controllate da Satana, decisero di seguire quei pericolosi propositi di disaffezione. Affermando di avere profondamente a cuore il bene del popolo, diffusero in segreto il malcontento che giunse fino ai capi d'Israele. Le loro insinuazioni venivano così prontamente accolte, da indurli a credere di agire spinti dallo zelo per Dio. Quindi una volta propagata la loro idea in segreto, poterono manifestare pubblicamente la loro rivolta.
Riuscirono inizialmente a corrompere 250 principi, tutti uomini stimati nella congregazione, e in seguito ottennero anche la stima di gran parte del popolo ricorrendo a diversi capi di "imputazione" contro Mosè, come si può rilevare dai seguenti dati emersi dalle nostre analisi dei passi biblici relativi al capitolo preso in esame:
<>Detenzione abusiva di ruolo.
Mettevano, infatti, in discussione il diritto di Mosè di occupare una posizione di così grande onore e autorità, che ognuno di loro poteva altrettanto degnamente occupare.
<>Non aveva una vocazione celeste.
Accusavano Mosè ed Aronne come se di loro volontà e non per disposizione divina avessero deciso di occupare quell'alta posizione. Affermavano, infatti, che i capi di Israele si erano elevati al di sopra della congregazione del Signore, ponendosi alla guida del sacerdozio e del popolo; che la loro famiglia non aveva nessun diritto di distinguersi tra le altre in Israele; che essi non erano più santi del popolo; e infine che per loro sarebbe stato più giusto rimanere al livello degli altri fratelli e considerarsi favoriti allo stesso modo per la particolare presenza e protezione divina.
<>Incapacità di guida.
Probabilmente per rendere ancora più incisivo il messaggio d'accusa, Kore rievocò le vicende del loro viaggio attraverso il deserto, ricordando quando erano stati portati in posti angusti e molti erano stati puniti con la morte per le lamentele e la disubbidienza. Fece credere anche che le sofferenze di tutti sarebbero state evitate se Mosè avesse seguito un itinerario diverso. Gli accusatori aggiunsero che Mosè era responsabile di tutte le disgrazie e che la loro esclusione in Canaan era una conseguenza della cattiva direzione di Mosè e Aronne, mentre se fosse diventata Kore la loro guida, avrebbero proceduto direttamente verso la Terra Promessa senza ritardi causati dai continui mutamenti di direzione.
Riteniamo giusto, dopo aver elencato la presunta responsabilità di Mosè, mettere in evidenza, invece, i reali fattori che sono alla base della natura peccaminosa della rivolta:
1 Gelosia e invidia. Furono la gelosia e l'invidia il primo movente che spinse Kore ad organizzare una rivolta contro il cugino Mosè.
2 Orgoglio e presunzione. Orgoglioso di essere un Levita, Kore ebbe anche la presunzione di pensare di poter fare meglio di Mosè;
3 Insoddisfazione. Non si accontentavano più del servizio per il quale Dio li aveva già chiamati malgrado Mosè avesse esortato i Leviti ribelli a tornare a più umili sentimenti, mettendo loro sott'occhio le più grandi prerogative di cui Dio li aveva arricchiti (8-11). Infatti, i Leviti avevano sostituito i primogeniti d'Israele nel servizio del Tabernacolo (Numeri 3:8 e segg.).
4 Ambizione umana. Quali notevoli voragini separano l'unzione dalla presunzione e l'ispirazione dall'ambizione umana! Mosè, un uomo unto e ispirato, si trova alle prese con un individuo pieno di presunzione e di aspirazione egoistica, il quale mira a svolgere un ufficio assegnato a persone che anticipavano il ministerio del Figlio di Dio!
5 Ostinazione. Quando Mosè comprese il perfido piano di Kore, si prostrò davanti all'Eterno, appellandosi silenziosamente a Lui. Quando si alzò, era profondamente rattristato, ma anche calmo e forte per la guida che Dio gli aveva assicurato e rinviò la prova del giudizio al giorno dopo. Ma non servirono affatto a Kore le ore che Mosè gli diede per ritornare in se, perchè egli perseverò con ostinazione nella sua convinzione. Di poi Mosè cercò di far loro comprendere l'errore chiamando a sé Dathan e Abiram nella speranza di poter rispondere personalmente alle accuse, ma si sentì respingere bruscamente e con ulteriore accuse, il suo invito al dialogo.
Nel giorno della prova Mosè dichiarò che i ribelli sarebbero stati inghiottiti dalla terra se egli era il mandato da Dio. E così avvenne, infatti, appena finì di parlare, la dura terra si aprì e i ribelli vi precipitarono dentro con tutto ciò che apparteneva loro. Il fuoco consumò i 250 principi che avevano offerto l'incenso, i quali non essendo i promotori della ribellione, ma, essendo rimasti ostinatamente dalla parte dei ribelli, finirono col meritare la stessa sorte.

FALSE CONSOLAZIONI DATE IN BUONA FEDE
(Giobbe 21:34)

Agli amici di Giobbe, Elifaz, Bildad e Tsofar , non sempre è stato attribuito il merito loro dovuto, almeno secondo la logica e i criteri del giudizio degli uomini. Quando i falsi amici scomparvero misteriosamente, essi gli rimasero vicini ed affrontarono la tempesta. Come precedentemente avevano gioito con Giobbe, così erano pronti a piangere con lui, ora che si trovava in distretta. La loro intenzione fu quella di consolare il loro fratello afflitto, e il dolore li unì nell'angoscia fino al punto di sedersi con lui nella cenere per sette giorni e sette notti, senza dire una parola, in segno di solidarietà. In ogni modo, nonostante la loro buona fede, le loro buone intenzioni e la loro convinzione di parlare da parte di Dio, non erano portatori di messaggi divini. Essi volevano convincere Giobbe che Dio agiva verso di lui in modo punitivo a causa di qualche iniquità che aveva trascurato di confessare (4:7), e quindi, a loro giudizio, egli era stato un ipocrita e non un uomo dabbene.
Per tale motivo troviamo nei loro discorsi affermazioni verso Giobbe di questo tipo: "Ravvediti... sarai ristabilito" (Giobbe 22:22,23). Probabilmente essi credevano di parlare nel nome di Dio, e perciò esortavano Giobbe a ricevere le loro parole, come se venissero dalla bocca stessa di Dio.
Nel corso delle nove repliche, rivolte agli amici per confutarne le tesi, Giobbe affermava che la sofferenza non è il mezzo che Dio usa per punire coloro che agiscono stoltamente. Gli amici di Giobbe, invece, sostenevano il contrario e davano per scontato che questo mondo è anche un luogo di punizione e di ricompensa nel quale gli uomini ricevono il male ed il bene, secondo quel che meritano le loro azioni. Essi, dunque, che erano andati per consolarlo con i loro ragionamenti, dimostravano di essere nelle tenebre e di conseguenza non solo non riuscirono a consolarlo, ma aumentarono il suo dolore.

LA CORSA INUTILE DI AHIMAATS
(2Samuele 19:19-33)

Durante la battaglia tra l'esercito di Davide, comandato da Joab e il ribelle Absalom, Davide si trovava a Mahanaim ad aspettare notizie sull'esito della stessa, con il cuore oppresso per la sorte del figlio. Desiderava la vittoria, per il bene del suo popolo, ma sapeva bene che, qualunque piega avessero preso gli eventi, per il suo cuore non ci sarebbe stato che dolore. Finalmente apparve un primo corriere e subito dopo ne arrivò un altro. Il primo era Ahimaats, l'uomo che aveva recato la buona notizia del successo di Hushai, nel render vano il consiglio di Ahitofel, il secondo èun Etiopo. Tra i due, colui che attira maggiormente la nostra attenzione è Ahimaats che desideroso com'era di correre per portare personalmente il messaggio al re Davide, ebbe l'amara sorpresa, una volta conseguita la vittoria, di non essere stato chiamato da Joab per essere mandato dal suo re. Ma non volendo rinunciare al ruolo di messaggero è lui stesso a farsi avanti cercando di convincere Joab a sceglierlo come ambasciatore, sollecitando personalmente il mandato tanto bramato, ma non pervenuto.
Joab, sapendo che Davide considerava Ahimaats come un messaggero di buone notizie, per non illuderlo, si rifiuta in un primo momento di mandarlo. Ma tale fu l'insistenza di Ahimaats che Joab finì col farlo partire, nonostante dentro di sè non fosse ben disposto né del tutto convinto. Quando Ahimaats arrivò dal re egli diede la notizia a metà, il cuore di Davide rimase insensibile, mentre pianse quando gli arrivò la stessa notizia recata dall'Etiope. Questo esempio, anche se negativo, ci mostra come un messaggio modificato o parziale, non produce nessun effetto nei cuori della gente. Per essere ambasciatori efficaci bisogna avere il coraggio di predicare il vero e completo messaggio. Attraverso l'esempio di Ahimaats vogliamo provare ad esaminare le tre forme in cui si può esprimere la volontà di Dio e precisamente:
1) La volontà proibita;
2) La volontà permissiva;
3) La volontà perfetta.

LA VOLONTÀ PROIBITA
È quella manifestazione del volere divino nella quale sono inclusi tutti coloro che non vogliono accettare la grazia offerta da Dio per mezzo di Gesù Cristo presentata nell'Evangelo;

LA VOLONTÀ PERMISSIVA
Si rivela a tutti quei credenti che, purtroppo, per una serie di circostanze, di situazioni e di scelte, commettono errori. Su tali credenti, Dio non cessa di operare, ma con una serie di interventi alla fine farà comprendere loro quella che non è la Sua volontà. Per chiarire meglio questo concetto prendiamo, ancora una volta, alcuni esempi biblici: Giacobbe, Elia ed i discepoli di Elia ed Eliseo.

A. IL CARATTERE DI GIACOBBE (Gen. 27). Giacobbe e Rebecca escogitano un piano astuto per far cadere la benedizione di Isacco sopra Giacobbe, al posto di Esaù. I due fatti emblematici che finiscono col convergere nella storia di Giacobbe sono, da un lato, il disegno di Dio (in grazia) e, dall'altro, la volontà umana (natura) che imposta i propri piani e i propri progetti per ottenere ciò che, senza piani e senza progetti, il consiglio di Dio ha già designato che inevitabilmente debba avvenire. Iddio, infatti, aveva detto: "Il maggiore servirà il minore (Genesi 25:23) e questo per la fede avrebbe dovuto bastare, ma non per la natura di Giacobbe. Non è da escludere che per via di quest'inganno, la vita del patriarca abbia avuto tanti problemi e abbia corso tanti rischi come la morte per mano di Esaù o l'inganno di Labano. Egli raccoglie sì i frutti delle proprie macchinazioni, ma perchè Dio sa trarre il bene dal male, fa abbondare la grazia al di sopra del peccato.

B. LA CRISI DI ELIA (I Re 19). Dopo che Elia uccise di spada tutti i profeti di Baal si sentì minacciato dalla perfida Izebel e decise di scappare nel deserto. Egli si abbandonò allo scoraggiamento fino al punto di chiedere al Signore di chiamarlo a sé (l Re 19:4 ). Dio invece di esaudire la sua richiesta, cercò di sostenerlo e di fortificarlo per le nuove lotte che doveva affrontare: egli fa comprendere che questa sua fuga non è nella volontà divina, ma è soltanto frutto della sua fretta e della sua debolezza.
Ed ecco che gli sono rivolte queste parole: "Che ci fai qua?" (I Re 19:9). Elia aveva abbandonato il suo posto per la minaccia di Izebel (I Re 19:2).
Chissà a quanti credenti il Signore deve rivolgere la stessa domanda che fece ad Elia, per rinvigorire le buone disposizioni d'animo, talvolta indebolite dalla paura di episodi terreni.

C. L'INSISTENZA DEI DISCEPOLI DEI PROFETI (II Re 2: 15-17) Dopo che Elia fu assunto in cielo, Eliseo si recò presso la scuola dei profeti di Gerico. Qui gli fu rivolta la richiesta di mandare cinquanta di loro per cercare il corpo di Elia. Eliseo in un primo momento proibì di farlo, ma, a causa della loro insistenza, acconsentì alla richiesta. Anche questa è volontà permissiva. Dio aveva trasportato il Suo servitore e fu vana la loro ricerca.

LA BUONA ACCETTEVOLE E PERFETTA VOLONTÀ DI DIO (Romani 12:2)
Solo una mente rinnovata dallo Spirito Santo può riconoscere la perfetta volontà di Dio. "Non sempre è facile al cristiano, con un cuore sinceramente consacrato, il discernere chiaramente qual è la volontà di Dio a suo riguardo soprattutto nelle cose esterne della vita" (Godet).
La volontà perfetta non consiste nella perfezione umana, ma in un atteggiamento di completa dipendenza da Dio. Non guadagniamo nulla nel preoccuparci e formulare progetti; anzi non facciamo altro che escludere Dio perciò, quando raccoglieremo i frutti delle nostre deliberazioni, saranno tristezze e dolori per il nostro cuore.

CONCLUSIONI

ANANIA
Dalla disamina che abbiamo cercato di condurre a termine, possiamo con umiltà, ma con tanta chiarezza, concludere che è un rischio troppo pericoloso parlare da parte di Dio senza essere stati da Lui mandati, come dimostra la tragica sorte di Anania che con tanta sicurezza aveva profetizzato nel nome di Yawhe, attirando su di sé l'ira di Dio, il quale diede mandato a Geremia di denunciarlo come un messaggero bugiardo, e infine di predirgli la morte nel giro di un anno (Geremia28:16). Cosa che puntualmente si verificò.

IL VECCHIO PROFETA
Per quanto riguarda la vicenda del vecchio falso profeta e dell'uomo di Dio, ci viene normale rimanere perplessi di fronte al fatto che Dio ha lasciato il profeta bugiardo impunito e il suo uomo severamente colpito a causa della sua disubbidienza. Ma per dissolvere ogni minimo dubbio nostro sulla perfetta giustizia divina ci soccorre la certezza che quest'uomo è oggetto dello sdegno di Dio ed Egli "non lascerà impunito il falso testimonio" (Proverbi 19:5).

KORE
Non meno severa è la giusta punizione di Dio nei confronti di Kore per la sua stoltezza e falsità. Kore nella sua rivolta era stato animato, anche se in misura minore, da quello stesso spirito che aveva portato Satana a ribellarsi nel cielo. Erano stati l'orgoglio e l'ambizione che avevano spinto Lucifero a lamentarsi del governo di Dio, e a cercare di sovvertire l'ordine che vigeva in cielo. Satana stesso operò nell'animo di Kore, di Dathan e Abiram per aumentare l'orgoglio, l'invidia, il sospetto e la ribellione. L'atteggiamento di Kore non sarebbe stato quello che è stato, se egli avesse riconosciuto che tutte le direttive e i rimproveri comunicati ad Israele provenivano da Dio. Ma Kore e i suoi compagni respinsero...la luce fino a diventare talmente ciechi che le evidenti manifestazioni della potenza divina non erano sufficienti per convincerli; attirandosi, così, la…condanna inevitabile di Dio. Non si può pervertire la verità e persistere nella falsità senza ricevere la giusta punizione.

GLI AMICI DI GIOBBE
Seppure diverso è il destino degli amici di Giobbe perchè, pentitisi, ricevettero il perdono da Dio, tuttavia anche il loro esempio testimonia la negatività dei messaggeri non guidati ed illuminati dalla luce divina, come possiamo constatare dalle conseguenze che da esso derivano. "Tu non hai parlato di me secondo la verità..." (Giobbe 42:7). Nell'epilogo del libro di Giobbe, Dio impone ai tre amici di riparare le colpe commesse per la loro scarsa conoscenza della Sua volontà. Infatti, gli amici avevano detto tutte cose belle, confortevoli e giuste, secondo la loro logica, ma le loro tesi per spiegare il problema della sofferenza, erano false alla luce del vero disegno di Dio.
Dio, dunque, adirandosi contro di essi, mostra chiaramente che Egli non manda il male e la sofferenza per la punizione di una colpa, e che Giobbe non era uno scellerato come pensavano loro.
Dio, anzi, onora Giobbe costituendolo addirittura intercessore in loro favore ed essi, accettando la lezione con ubbidienza ed umiltà, furono perdonati. Questi tre amici contrariamente agli altri falsi messaggeri, non sono condannati, perchè, ravvedendosi e pentendosi dei loro sbagli, si pongono in una condizione diversa agli occhi di Dio.

AHIMAATS
"Per la via della pianura" Ahimaats, sfruttando la sua conoscenza territoriale, riuscì ad arrivare per primo da Davide. La scorciatoia che prese gli permise di soddisfare il suo ardente desiderio di fungere da ambasciatore, ma fu anche la strada che lo portò ad essere accantonato dal re. Ci sono momenti in cui Dio dice ai suoi messaggeri: "Presentati ad Acab e digli..." (I Re 18: 1 ), ed altri momenti in cui ci dice: "Nasconditi.." (I Re 17:3), come successe ad Elia. Coloro che lasciano la strada della volontà di Dio per prendere scorciatoie troveranno sempre la Sua disapprovazione e quindi la mancanza della Sua benedizione.