Ed avvenne
che essendo Egli in un certo luogo, orando, come fu restato, alcuno dei suoi
discepoli gli disse: Signore, insegnaci ad orare.
Avevano udito Gesù predicare e conversare; niuno parlò giammai come Lui. Eppure
i discepoli non Gli chiesero che insegnasse loro larte oratoria per divenire
eloquenti. Lo avevano veduto operare varie potenti operazioni che attiravano le
folle a seguirlo. Però, mai gli dissero: Insegnaci ad operare anche noi
miracoli e potenti operazioni.
Parlare bene operare segni e prodigi attirano attenzione: sono i ministeri
più desiderati e ricercati. Ma il discepolo pregò Gesù: Insegnaci ad orare.
Noi desideriamo orare: Preghiamo te di essere Maestro. Tu, dunque, insegna noi
che ti seguitiamo ad orare...
Perché tale richiesta e non le altre? Noi leggiamo semplicemente che Gesù
aveva orato. ma ciò che disse, e laccento, e la luce sul volto, e la
irradiazione che emanava da Lui, non sono scritte, né potrebbero descriversi.
Aveva, spesso, parlato agli uomini ed operato in favore degli uomini. Ma
nella orazione Egli comunicava collInvisibile e parlava a Dio Suo Padre.
Avevano veduto in Lui semplicità e fiducia. Era tale la realtà dellorazione
che sembrava che lUditore di essa fosse là, visibile. Vi era, nel contegno di
Lui, qualche cosa che si può immaginare, ma non descrivere. Vi è dunque un
segreto in questa orazione, nella comunione collInvisibile.
Noi pure vogliamo comunicare col Padre; ma non sappiamo. Ricorriamo a Te. E Tu,
Signore, insegna a noi ad orare.
Ed Egli non tracciò regola alcuna ma rispose: Quando orerete, dite. DITE. Sia
realtà ciò che dite. Non meccanica ripetizione delle parole. Se davvero orate,
il vostro orare deve dire.
E dalla bocca di Lui furono pronunciate le parole poche, semplici che
formano la preghiera chiamata il Padre Nostro.
Cioè, ogni vera orazione deve fare ricordare il Padre Nostro. Se no, non è
orazione.
Padre Nostro Iddio è Padre e il Padre è Dio. Onnipotenza ed amore vanno
uniti.
NOSTRO Egli è Padre anche ad altri. Sii dunque unito agli altri e non
privilegiato te solo.
Che sei nei cieli. Quale che sia il significato di Cieli è certo che niuno
può dire nei cieli e tenere la mente e i pensieri giù. In alto. In alto!
Sia santificato il Tuo Nome. Tenuto sacro. Più tardi si capirà che
significhi fl Tuo Nome. Quanto vi è nel Nome! La Tua quindi non la
nostra, volontà sia fatta. Perciò bisogna amarla, conoscerla, ubbidirla tale
volontà.
La Tua Volontà sia fatta in terra, come in Cielo. Procura dunque scoprire
come Dio è servito dalle potenze superiori.
Solo ora prima no vengono le richieste per gli umani bisogni. Iddio prima
luomo dopo.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ogni giorno la porzione necessaria, non
meno, perché si sarebbe mal nutriti, non più perché si cadrebbe malati per cibo
eccessivo, Pane nella dovuta misura, che Dio solo conosce. Esso rappresenta i
bisogni e si stende al Pane dellanima, che abbisogna del cibo che dà quella
vita.
E rimettici i nostri peccati; perciocché ancora noi rimettiamo i debiti ad
ogni nostro debitore. Riflettere, tremare prima di innalzare tale preghiera
perché se non abbiamo perdonato noi pronunzieremo la nostra condanna.
Segue subito la confessione di umana debolezza. Non indurci in tentazione,
ma liberaci dal maligno. Iddio non tenta alcuno, è vero: però colui che
davvero prega, riferisce tutto a Dio, e con uno slancio di fiducia audace,
disconosce gli agenti secondarii, e rimette la causa a Colui che solo può
tutto. Come se Gli dicesse: Sono debole, Signore. Se tentato. cado. Tu devi
impedire che io sia tentato. Tu, liberaci dal maligno.
Matteo aggiunge: Perciocché Tuo è il Regno, e la Potenza e la gloria in
sempiterno.. Non vi sono due Dii. Satana è un nemico pericoloso, è vero, ma
non può fare nulla al di là del permesso del Signore. Tutto è nella mano di Dio
per sempre. E poi chiude, come a suggellare la preghiera, e, in modo che sia
confermata, un grande: AMEN.
Il Fariseo e il Pubblicano
(Luca 18. 9-14)
La Parabola fa parte dell Insegnaci a pregare ed ha per scopo la conoscenza
dei due uomini, che salirono al tempio per orare. Orare, la parola è la stessa
usata in Luca 11. 1.
Lo scopo della parabola è di togliere a coloro che si credono giusti, e
sprezzano gli altri, la loro illusione, e che essi imparino ad orare.
Due uomini salgono al tempio, e tutti e due per orare. Appartenevano a due
classi distinte. Uno fariseo, cioè separato santo. Lorigine dei farisei
risale ad un risveglio religioso, a dopo il ritorno di Esdra ed altri
dallesilio per un nuovo principio nella Giudea. Col tempo. pero, rimase il
nome, senza la sostanza. Si continuarono a chiamare i santi, ma solo pochi di
essi lo erano. La maggioranza, come in tutti i movimenti religiosi, era rimasta
col nome e colle cerimonie.
Il titolo di essere a quei tempi fariseo, essendo passato per la trafila della
bocca di Cristo è divenuto un appellativo ingiurioso. Nessuno oggi vorrebbe
essere chiamato fariseo.
Laltro che pure era salito al tempio era pubblicano, apparteneva, cioè, ad
una classe odiata, gente senza reputazione, agli esattori dei dazi. La
maggioranza di essi, immaginiamo. era gente senza scrupolo, e che spesso
aggravavano i poveri.
I due salirono al tempio, fermandosi in due luoghi separati.
Il Fariseo stando in piedi orava. Non vè a meravigliarsi per il fatto che
stava in piedi come posizione, ma per quello che significavano le parole, per
ciò che disse. Letteralmente stava in piedi significa in se stesso, come
ammantellato nel suo IO; avendo sé davanti a sé. E disse:
O Dio, io ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini: rapaci,
ingiusti, adulteri, notando laltro che pure era salito, continuò sul paragone
e disprezzò: né anche come quei pubblicano. Come se dicesse: che ha a fare
costui nel tempio! Dopo il paragone tutto a danno di altri, continuò a tessere
il proprio elogio. Io digiuno due volte la settimana, io pago la decima di
tutto ciò che posseggo.
Se digiunasse davvero, e come; se davvero decimasse tutto, non è contraddetto,
per insegnare a chi vuole orare che è possibile compiere tutto ciò, eppure non
sapere ancora orare.
Di fronte al quadro del religioso soddisfatto, sta di contrasto laltro:
Ma il pubblicano, stando da lungi nello stando » di questultimo mancano le
parole del testo a se stesso » stando da lungi, non ardiva neppure di alzare
gli occhi al cielo; anzi si batteva il petto, dicendo: O Dio, sii placato
inverso me Il peccatore.
Nel testo vi è Il, come a mettere se stesso in una luce umile, di essere lui
solo il peccatore.
Il verdetto:
Io vi dico, disse Colui che ha diritto di dire: Che costui tornò a casa sua
giustificato, piuttosto che quellaltro; perciocché chiunque sinnalza sarà
abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato.
Ecco una lezione verso quellimparare a pregare: Ed è di non vedere uomo alcuno
peggiore di noi, nemmeno uguale a noi nel male, ma, concentrare locchio dellesame
rigoroso su noi stessi, e chiedere che Iddio ci accolga in misericordia.
Per lungo tempo, anche quelli che sono più vicini al Signore, notano che nel
tempio del loro cuore si muovono due che salgono ad orare. Ora è uno ed ora è
laltro che parla.
Il fariseo è fondato su personale giustizia; colla mente, se non colla lingua,
disprezza altri, innalzando se stesso.
Laltra persona il penitente in momenti di grandi prove. si umilia, e
invoca di essere nascosto nella giustizia di Dio.
Il Signore non si stanca, continua a lavorare, infimo a tanto che il fariseo
scompare, e rimane solo il penitente. La coscienza del peccato ingigantisce,
non perchè si moltiplichino trasgressioni; ma perchè essa avanza a misura che
la luce del cielo sì fa strada negli abissi dellanima. Allora il penitente
prostrato nella polvere grida:
O Dio, sii placato verso me il solo [io sono il solo] peccatore.
Nel Nome di Gesù
(Giov. 16. 23-24; Fatti 3. 1-16)
Solo quel Nome vale nellUniverso e che tutto e tutti siano in quel Nome.
Guai a chi, nellAntico Testamento, bestemmiasse il Nome; guai a chi nel Nuovo
non si appoggi a quel Nome!
Lumano linguaggio non ci aiuterà a capire, se non in parte. Nome è il
distintivo della persona e dippiù figurativamente, esprime il carattere e
la storia dellindividuo. Dopo tutte le possibili definizioni, e noi siamo
incapaci a definire, ma solo accenniamo, inevitabilmente alcune parole si
debbono lasciare come sono, perché quello che si sente e si conosce nello
spirito, nelluomo interiore, è difficile formulano adeguatamente in parole;
spesso è addirittura impossibile.
Vivere, agire nel Nome di un altro significa avere rinunziato al proprio. È più
che avere noi un nuovo nome, perché questo appartiene a chi lo riceve. Vivere
nel Nome significa come un dimenticare financo che esistiamo noi
separatamente ma che ci immedesimiamo in altri, in tale modo che ne prendiamo
il nome.
Lillustrazione più vicina è quella della donna che va a marito, per cui lascia
il nome di origine ed assume quello del consorte. Però, nel caso nostro si
tratta non di assumere un titolo, ma di essere nel Nome, sentirsi
quellAltro, e non noi stessi.
È possibile come in tutto ciò che è elevato abusare o illudersi, ma noi
intendiamo dire di quelli che spariscono innanzi a se stessi, e son così
identificati in Gesù, che camminano, parlano, pregano in quel Nome.
Non hanno più amici, se non in quel Nome. Non più nemici se non in quel Nome.
E non pregano più, se non nel Nome.
Cioè, se un tempo attiravano a sé lattenzione altrui. ora non desiderano
neppure dessere guardati in faccia, se non per amore di Cristo. Nemici
personali, se ne hanno provocati nel passato, ora si studiano di non averne,
perché non danno importanza a sé stessi da provocare o sentirsi provocati.
Nellaccostarsi poi, al Trono della Grazia, sentono di non meritare nulla, ma
riducono le loro preghiere a quelle che Gesù farebbe per mezzo delle loro
bocche. Come se domandassero:
Firmerà il Signore, farà sua questa mia richiesta, o no? Non che facciano
letteralmente tale esame, ma ci arrivano, senza nemmeno accorgersene. Lo
Spirito Santo che li porta nel regno dellorazione, li immerge Lui nel Nome.
Si notino le parole: « Perciocché PER ESSO [attraverso Lui!] abbiamo gli uni
gli altri introduzione al Padre, in uno Spirito » (Efesi 2.18).
Un esempio tratto da Fatti, capo 3: Pietro e Giovanni affissarono gli occhi
sullo storpio dalla porta Bella. Non si udivano preghiere; ma di certo erano in
intima comunione col Signore.
Pietro disse allo zoppo: Riguarda noi, invitandolo così a mettersi in
comunione con loro, e per mezzo loro, con lInvisibile che lo storpio non
sapeva, e non vedeva.
Poi aggiunse: Io non ho né argento, né oro; ma quel che io ho tel dono: Nel
nome di Gesù il Nazareno, levati e cammina.
Noi abbiamo, a volte, esagerato la povertà di alcuni santi, o forse abbiamo
pensato che avessero fede perché erano materialmente poveri. È vero che Pietro
volle letteralmente affermare che non aveva né argento né oro. Ma è anche vero
che le parole hanno unapplicazione di lunga distesa. « Argento. oro » indicano
le varie risorse a cui luomo si appoggia. In mancanza di un mezzo, spesso ne
usiamo un altro. Il debole, il povero, ed anche il ricco usa spesso lartificio
e linganno.
Inoltre è possibile possedere argento ed oro di altri in amministrazione, o
nostri, e usarli come a doverne dare conto. Povero, Ricco sono parole
relative. Si può non aver nulla e crederci importanti; si può avere molto, e
crederci nulla.
Le parole di Pietro possono ridursi a due monosillabi. Un grande No. Un
grande Sì. Ed è il No che rende formidabile il « SI ».
Non ho nulla su cui appoggiarmi, e promettere.
Ma ho il diritto, nel mio nulla di usare il Nome che è tutto. Qui, presente,
non sono io, povero SCONOSCIUTO, ma è Gesù di Nazaret. Ed è Lui che ti parla
per la mia bocca. Da me non isperare nulla: NEL NOME DI GESÙ IL NAZARENO,
LEVATI E CAMMINA.
Al popolo meravigliato di vedere lo zoppo camminare, saltare, lodare Dio,
Pietro così parlò:
Uomini Israeliti, perché vi meravigliate di questo? Ovvero, che fissate in noi
gli occhi, come se per la nostra propria virtù o santità avessimo fatto che
costui cammini?.
Gli apostoli erano immersi nel Nome, prima, ed immersi nel Nome dopo
laccaduto. Vivevano nel Nome, e di esso si occupavano. Meraviglia che Dio
operi? Riguardate a noi? Chi siamo noi? E spiega:
LIddio di Abrahamo e dIsacco, di Giacobbe, lIddio dei nostri padri ha
glorificato il Suo Figliuolo Gesù Cristo....
E per la fede nel Nome di esso, il Nome Suo ha raffermato costui, il quale voi
vedete e conoscete; e la fede che è per Esso: gli ha dato questa intiera
disposizione di membra, in presenza di tutti voi!.
Il Regno
di Dio - Annali 1948-1949-1950