NICODEMO            

 

"Or mentre Egli era in Gerusalemme per la festa della Pasqua, molti credettero nel suo nome, vedendo i miracoli che Egli faceva. Ma Gesù non confidava in loro perchè conosceva tutti. E perchè non aveva bisogno che alcuno gli testimoniasse d'alcun uomo, perchè conosceva quello che era nell'uomo"                                 (leggi - Giov . 2:23; 3:21;7:50-53;19:38-41).

 

Quanti. quali miracoli l'Evangelista non dice: scopo precipuo dello scrittore è rilevare una certa fede imperfettta, fondata non sull'accettazione di Gesù, ma su quello che Egli faceva. Fede, quindi, eccitata dalle emozioni dell'ora, e che non aveva fondamento durevole, e della quale Gesù diffidò sempre, conoscendo la instabilità dell'umana natura.

"Or v'era un uomo, tra i Farisei, il cui nome era Nicodemo, rettore dei Giudei."

Desideriamo notare la connessione immediata di questo verso del cap. 3 coi precedenti.

Proprio in quella occasione "Or", a causa di quelle popolari impressioni, un nuovo personaggio è presentato. Gesù non aveva bisogno che alcuno gli testimoniasse dell'uomo, sapeva quello che era nell'uomo, ed un uomo tra i Farisei. Questa ripetizione della parola uomo non è un caso, e ci dice che anche Nicodemo, come il popolo, era rimasto impressionato dai miracoli. Egli apparteneva alla classe riverita dei Farisei ed era rettore del Giudei.  

 

"Costui venne a Gesù di notte, e gli disse: Maestro, noi sapiiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; poichè nessuno può fare i segni che tufai, se Iddio non è con lui".

E' rimarchevole come l'Evangelista scolpisca i caratteri salienti dei personaggi e delle scene descritte. "Costui". Questo fariseo, rettore, e uomo su per giù come gli altri uomini, venne a Gesù di notte. La sua autorità, ed il nome che godeva, lo avevano reso circospetto, a non cercare, di giorno, il nuovo personaggio, su cui si faceva allora tanto parlare. Criticare a questa distanza di luoghi e tempi quella circospezione sarebbe leggerezza; l'  "uomo" che scrive e l'altro che legge, nel posto di Nicodemo, avrebbe fatto, forse, anche meno. Invero, dal punto di vista delle opinioni correnti del giudaismo, e specie tra i Farisei, la visita di Nicodemo a Gesù poteva considerarsi un atto di degnazione; poi essa va giudicata diversamente.

"Maestro noi sappiamo". E' a questo modo, di regola, che gli uomini cercano di avvicinare il problema religioso, e nell'affermazione di Nicodemo c'era quasi la voce di una classe "Noi", come che egli, facendosi responsabile anche dell'opinione altrui, venisse a Gesù più coll'intenzione di proteggerlo che altro. Diceva dunque di sapere:"Tu sei un dottore venuto da Dio", nè più nè meno "un dottore". E ne dà la ragione, "poichè nessuno può fare i segni che tu fai, se Iddio non è con lui". In una parola gli diceva: ti riconosciamo dottore per i segni che tu fai. I segni non la sostanza dell'insegnamento avevano colpito il rettore giudeo; ed appunto di questa febbre dietro a segni e miracoli chè Gesù provò sempre fastidio.

E,forse, era stata dettata da non poca curiosità più che da un reale interesse: ilvecchio uomo non voleva per nulla  rininziare alle sue vedute, e pare avesse cura a non nascondere e la sua ascendenza e il suo motivo per cui chiamava Gesù dottore.

Può ben darsi fosse venuto con un programma di interrogazioni, e forse gli aspettava che Gesù gli mostrasse gratitudine per quella visita, veniente da un uomo venerato ed in alta posizione. pago della sua visita e del saluto porto a Gesù aspettava che il Maestro parlasse per meglio conoscerlo. risposta egli direttamente non volevva, perchè le sue parole non erano, apertamente una domanda.

Ma Gesù rispose. Rispose, non alla interrogazione diretta, ma a tutto il possibile contenuto dei pensieri di Nicodemo, e gli disse: "In verità, in verità io ti dico che se uno non è nato di nuovo (cioè nato dall'alto), non può vedere il Regno di Dio".

Questa domenda era del tutto inaspettata e fuori del corso dei pensieri di Nicodemo: il tono, il modo reciso delle parole di Gesù facevano un contrasto all'attitudine del visitatore, e noi crediamo fermare un momento lo sguardo su quella scena notturna, avanti di seguire il colloquio dei due personaggi.

 

Un certo desiderio del nuovo, misto al pregiudizio dell'antico avevano portato Nicodemo a Gesù; un'ammirazione pel giovane rabbino ed un desiderio di non compromettersi gli avevano fatto determinare la visita, di notte. una meraviglia provata per le sue opere, e nello stesso tempo il pregiudizio verso ogni cosa che sapesse di forestiero a Gerusalemme, specie venienti di Galilea, avevano dettato alla sua dichiarazione un tono e parole, per cui in parte molto concedeva, ed in parte molto limitando, esprimeva una mezza ammirazione, ed imperfetta confessione, chiusa ermeticamente, però agli estremi da un "Noi sappiamo" e da "pei segni che tu fai".

Inoltre la coscienza della sua posizione sociale, l'età del personaggio che visitava, e l'abbandono di cui questi si trovava da parte delle persone notevoli di Gerusalemme, che, con studio, si tenevano distanti, davano a Nicodemo una certa aria paterna verso l'esordiente e giovane dottore, al quale egli veniva a portare onore con una visita quasi inattesa, e senza dubbio assai gradita. Ma la risposta di Gesù, così assoluta dovè alla prima suonare non solo incomprensibile, ma strana, a dir poco, per quell'uomo, in quell'occasione.

I due personaggi erano difronte: un vecchio canuto, cui stava dietro un passato onesto e rispettato; un giovane maestro, forestiero, che, agli occhi di Nicodemo aveva a sole credenziali dei segni che aveva fatti. Quando questo giovane, troncando in anticipazione il corso possibile di un lungo ragionare, portò la parola su un terreno affatto nuovo, il vecchio non potè non guardarlo meravigliato. E tale sorpresa è facile immaginare, sapendo che, a misura andiamo innanzi negli anni, ci andiamo sempre più infarcendo di pretensioni per la nostra esperienza, e ripetiamo a noi stessi, con compiacenza, "noi sappiamo, noi sappiamo, noi sappiamo."

Nicodemo, ci è lecito immaginarlo, spalancò gli occhi, aprì la bocca e ne tirò fuori un oh, e si passò la mano sulla barba canuta, mostrando tutta un'espressione che rifletteva le varie impressioni, dalla meraviglia al disinganno e forse al dolore.

"In verità in verità io ti dico". Quasi che in risposta al suo "Noi sappiamo" il giovane Galileo gli dicesse: Tu non sai nulla. Tutto un piano di pensieri, esperienze valeva nulla; e pareva, che, di un colpo, tutto il sapere di Nicodemo cadesse in quelle "In verità, in verità" e seguiva un'affermazione che lo sbalordiva. Quel giovane Maestro ingigantiva al di sopra di tutta l'esperienza ed autorità di Nicodemo, e con un'affermazione ancora più incompresnsibile aggiungeva: "io ti dico".

Io, non noi, Io; uno solo assumeva la responsabilità di affermare. Io, e chi era da pronunciare quell'io così assoluto?, e diceva, nientemeno, questo che cioè, nessuno aveva forza, capacità di vedere, semplicemente vedere il tempio di Dio, se non fosse nato di nuovo. Nessuno, dunque neppure lui, Nicodemo. E i suoi studi, e la sua lunga e onorata esperienza? Nulla. La risposta di Gesù, sull'affermazione "io ti dico" era dunque, parafrasandola: "In vero tu non sai ciò che è necessario perchè io ti dico, che se alcuno, chiunque esso sia, non è nato di nuovo non può ottenere neppure la visione del Regno di Dio". Gesù tacque.

Esaminando le parole di Nicodemo "Come può un uomo essendo vecchio nascere", io mi sono domandato perchè Nocodemo abbia addirittura risposto. Certo che le parole di Gesù non le aveva comprese, e le credeva incompresibili. Inoltre, nella mente del vecchio dov'è passare un rapido dubbio, ma solo un baleno, perchè fissando quel giovane maeestro dallo sguardo sereno e sicuro non si sentì di troncare il colloquio. Gesù non gli appariva fuori di senno, e nè gli sembrava aver risposto a quel modo per offenderlo: quell' "io ti dico", audace quanto poteva sembrare, portava un accento tanto sicuro, che Nicodemo si sentì tratto a rimanere. Con altri avrebbe troncato il colloquio, dinanzi a Gesù rimase, e si fece interrogante: "Come può un uomo essendo vecchio nascere?"

E' questa interrogazione ed obbiezione, nello stesso tempo, anzi sembra più obbiezione che interrogazione, come dicesse impossibile nascere di nuovo, come è impossibile al vecchio tornare bambino.

Gesù aveva rifiutato questioni e controversie, e fè ora appello alla natura spirituale di Nicodemo. La religione cristiana, benchè in armonia colla ragione e la coscienza, è principalmente appello a qualche cosa che è più della ragione e della coscienza. V'è momento nella nostra vita in cui siamo mossi verso Gesù non dall'intelletto, ma da una forza nuova di cui, alle prime, non sappiamo dare conto. Gesù mostrò a Nicodemo, che, al di sopra di tutte le questioni, l'importante domanda è : sono nato di nuovo?

Dunque, Nicodemo gli disse: "Come può un uomo essendo vecchio nascere?"

Gesù rispose: "In verità, in verità" ancora la stessa affermazione "io ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel Regno di Dio".

Prima aveva detto "vedere", ora "entrare". Due stadii: prima di possedere il fatto, il regno di Dio, bisogna averne la percezione spirituale  -  e l'uomo naturale non ha potere a percepire il regno spirituale.

"Ciò che è nato dalla carne è carne; ma ciò che è nato dallo Spirito è spirito". Vi sono, dunque, due nascite, l'una fisica, l'altra spirituale; vi sono due regni e due entrate.

L'Entrata in questo Regno spirituale ha la sua condizione essenziale di essere; bisogna prima nascere. Senonchè a misura che Gesù parlava, la meraviglia crescente si designava sul volto di Nicodemo, e Gesù quindi proseguì: "Non meravigliarti che io ti ho detto che conviene nascere di nuovo. Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il suono, ma non sai nè donde viene, nè dove va; così avviene d'ogni nato dallo Spirito". Di vero, nessuno può vedere, discutere la direzione del vento, e così nessuno può ragionare e comprendere il movimento dello Spirito. Nicodemo rispose e gli disse: "Come possono farsi queste cose?"

"Come". Il "come" delle cose ci è misterioso. Gesù proseguì: "Tu sei il dottore d'Israele e non sai queste cose?" non è una domanda questa, nel vero senso della parola, ma una dimostrazione, come se Gesù dicesse: Vedi, dunqe, Nicodemo; che, in forza della tua dottrina non puoi sapere queste cose.

"Tu sei un dottore" aveva detto Nicodemo a Gesù. Tu, dottore, non puoi sapere queste cose, aveva replicato Gesù a suo tempo. Egli voleva che il suo visitatore avesse di lui un concetto ben più alto. Continuò: "In verità, in verità, io ti dico che noi parliamo di ciò che sappiamo, e testimoniamo di ciò che abbiamo veduto; ma voi non ricevete la nostra testimonianza". E, ancora un passo più avanti. "Se io vi ho parlato delle cose terrene e non credete, come crederete quando vi parlerò delle cose celesti?" Egli dunque poteva parlare delle cose celesti.

Non si ferma. "O, niuno è salito in Cielo, se non colui che è disceso dal Cielo, cioè il figliol dell'uomo che è nel Cielo". Egli era dunque il testimone delle cose del Cielo. E non è tutto. "E come Mosè alzò il serpente nel deserto, così conviene che il Figliol dell'uomo sia innalzato, affinchè chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna".

Vi sono due "deve". "Si "deve" nascere di nuovo". "Il Figliol dell'uomo "deve" essere innalzato". Nicodemo cercava altro e si trovava difronte al Salvatore.

E andando avanti Gesù annuncia a la croce.

Ricordava Nicodemo quell'episodio della storia del suo popolo, quando erranti nel deserto, a seguito dei loro mormorii, gli Ebrei venivano morsi dai serpenti ardenti, e Mosè aveva interceduto al Signore, ed il Signore aveva ordinato si fosse costruito un serpente di rame, ed innalzato su un'antenna, perchè chiunque lo avesse riguardato guarisse dai morsi velenosi.

Irragionevole a molti Ebrei doveva sembrare quell'atto di riguardare quell'oggetto che aveva le forme, ma non la vita del serpente; ma che, ad ogni modo, coloro che, in fede, riguardavano erano guariti.

E doveva Nicodemo, inoltre, comprendere che quelle cose erano un tipo; perciò "Così conviene che il figliol dell'uomo sia innalzato" a vista, affinchè chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita Eterna".

Si noti quel "non perisca" prima, come a dire che solo col Salvatore non si perisce, che senza di Lui non solo non si ha vita eterna, ma si perisce. " Chiunque crede in Lui". Bisognosi erano gli Ebrei nel deserto; bisognosi siamo tutti noi.

Se vogliamo comprendere Cristo dobbiamo comprendere il peccato. E' solo la conoscenza di me stesso e del mio bisogno che mi può far cercare ed apprezzare il salvatore.  Chi non si sente bisognoso, non cerca il Salvatore, ma checchè egli pensi, perisce; perchè è solo in Lui che non si è perduti. Gesù più che maestro, ed esempio, è dunque, il Salvatore, innalzato sulla croce.

E perchè questo Salvatore? sentite: "Poichè Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliolo, acciocchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna".

Ripeterle all'infinito queste parole non sarebbe troppo. Il perchè di questo Salvatore, del sacrificio di Gesù è dunque, l'amor di Dio "tanto amato il mondo che".

Chi può misurare questo termine di paragone "tantoche", immenso come l'infinito. Oh! è si tenero e profondo quanto smisurato l'amore di Dio. E Gesù continua: "Conciossiacchè Iddio non abbia mandato il suo figliolo nel mondo, acciochè condanni il mondo, anzi, acciocchè il mondo sia salvato per Lui".

Io sono inabile a pesare questa ripetizione.

Non c'è bisogno che Gesù qui venisse per condannarco. eravamo già periti senza di lui.

Aggiunge: "Chi crede in lui non sarà condannato, ma chi non crede è già condannato, perciocchè non ha creduto nel nome dell'unigenito Figliolo di Dio". Notate i due "perciocchè"; il primo che che spiega la croce, l'amore di Dio; l'altro che spiega la condanna, la reiezione del Figliolo di Dio.

Tra questi due "perciocchè" c'è l'amore di Dio una volta accettato, una volta respinto.

"Or questa è la condannazione che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perchè le loro opere erano malvage. Conciossiacchè chiunque fa opere malvage odii la luce, e non venga alla luce, di Dio, che è poi la reiezione dell'amore di Dio, acciocchè le sue opere non siano convinte".

Ma ascoltate ancora: Gesù, l'espressione dell'amore di Dio non può finire senza la parola d'incoraggiamento e di speranza. Ma colui che fa le opere di verità, viene alla luce, acciocchè le opere sue sieno palesate, perchè sono fatte in Dio.

Gesù tacque; Nicodemo aveva già cessato dall'interrogare.  I due si separarono.

E poi? E' passato più di un anno e gesù è di nuovo in Gerusalemme: i principale sacerdoti ed i Farisei avevano dato ordine ai sergenti di trovare il modo di arrestarlo. "I sergenti erano tornati dicendo: Niun uomo parlò giammai come costui.  -  Laonde i farisei risposero loro: Siete punto ancora voi stati sedotti? Ha qualcuno dei Rettori o dei Fraisei creduto in Lui? Ma questa moltitudine che non sa la legge è maledetta".

Fu allora, in quel consesso che si levò una voce interrogativa: "La nostra legge condanna essa l'uomo, avanti che egli sia stato udito, e che sia conosciuto ciò che egli ha fatto?".

Notate la forza di simile interrogazione: farisei e sacerdoti credevano di conoscere la legge; e proprio all'osservanza della legge venivano richiamati. Si può, in forza della legge che voi, che noi conosciamo, condannare prima di udire l'accusato, anzi si può accusarlo senza conoscere ciò che ha fatto? Domanda coraggiosa questa per quel luogo e per quegli uomini e subito dopo le parole aspre rivolte ai sergenti.

"Ha alcuno dei rettori, o  dei farisei creduto in lui?"

L'interrogazione diretta al consesso, dunque, nell'atmosfera tutta ostile a Gesù, dove non era facile comprendere se un partigiano di Gesù si trovasse esposto allo scherno od all'odio, e benchè fatta in omaggio alla legge, è indice sicuro di amore e devozione.

"Nicodemo, quel che venne di notte a Gesù, il quale faceva parte di quel consesso". Lettore, prima di aspettare maggiore eroismo da nicodemo, portati con la mente ai luoghi, tempi, circostanze e giudica se tu stesso avresti agito meglio, o non taciuto addirittura. Ed inoltre, le parole di Nicodemo sono ricordate, ma il tono con cui le disse, il suo contegno, non sono descritti e possiamo solo indovinarli da quello che risposero i Farisei.

"E gli dissero: Sei punto ancor tu di Galilea? investiga e vedi che profeta alcuno non sorse mai di Galilea".

Galileo veniva chiamato Gesù, e Galilei i suoi discepoli, per disprezzo. Tu pure suo discepolo, a fargli capire che quel caloroso interesse non era giustificato dal solo e nudo omaggio alla legge.

I Farisei perciò, evitando ogni discussione legale, subito affrontarono la principale questione "Tu pure suo discepolo, ! Investiga e vedi che profeta alcuno non sorse in Galilea".

Quell'interrogazione di Nicodemo rimaneva lì sgominante, e gli effetti se ne videro per allora immediati; perchè, non senza ragione, l'Evangelista, che pure in altri luoghi tronca le narrative, qui. la completa "E ciascuno se ne andò a casa sua"

E poi? Che fece dopo Nicodemo, quale il suo contegno tra il popolo, Gesù, il Sinedrio non è scritto.

Ha egli dimenticato Gesù, lo ha difeso o non è riuscito a salvarlo. ha ceduto, volontario o impotnte, dinanzi all'uragano crescente, od alla fine gli si è schierato contro? E se non contro, si è chiuso in indifferenza.

 

Io non posso rispondere a tutte queste domande: ma se lo tentassi anche imperfettamente, dovrei scrivere a lungo.

Apriamo di nuovo lo stesso Evangelo. Questa volta siamo dinanzi ad una scena desolante. Sulla vetta del Calvario sono innalzate tre croci, che sostengono tre cadaveri, in quella di mezzo è sospeso un giovane da poco spirato. Un giovanotto e qualche donna sono ai piedi della croce e piangono silenziosamente; vicino a quelle tre croci è l’affacendarsi d’una opera. I Giudei hanno fretta di togliere quei corpi, perché non rimangano sulla croce nel sabato, subito perciò i tre corpi saranno staccati, e tratti in qualche vicino precipizio a seguire gli altri corpi dei condannati. Mi volgo intorno sulla via di Gerusalemme, o tra il popolo che si va disperdendo, ad attendere qualcuno venga a dare sepoltura al corpo di Gesù. So che Egli ha fatto del bene, sempre; verranno, penso, in turba i poveri che Egli ha tanto amati, gli storpii, i ciechi sanati, formando una grata processione ai piedi della croce a togliere il cadavere e procurargli onorata sepoltura. Nulla. Aspetto e guardo ancora: ricordo che Giovanni Battista aveva avuto dei discepoli, e che essi ne avevano domandato, e nientemeno, ad Erode, il cadavere, e qui era il corpo di uno più grande di Giovanni Battista; che pure aveva avuto discepoli. Essi, perciò, verrebbero a toglierne il cadavere; la legge non vietava la consegna dei corpi dei condannati.

Guardo, ma nulla. Sulla roccia disgraziata, tra poco un’altra opera nefanda sarà commessa; quel giovane cadavere sarà staccato da rozze mani, e senza riguardo alcuno, tratto nel vicino precipizio.

Comprendo: nessuno verrà. Gesù e la sua causa sono tramontati per sempre; i discepoli terrorizzati, sbandati, il popolo dimentico; le donne piangenti, ma quasi oppresse dalla tragedia, svoltasi tanto rapida che le aveva istupidite. Quell’uomo benefico è stato infamato dalla morte, in croce.

Chi si curerà più di Lui?

Nessuno. Ma ecco, lungo la via che ascende al Calvario vedo arrivare due che, all’andare affannato mi paiono due vecchi, e più vicini, personaggi di una certa importanza. Si avvicinano ai soldati, ai piedi della croce. E manifestano la loro intenzione.

Essi hanno ottenuto da Pilato il permesso di togliere il corpo.

Chi sono essi? Leggiamo: “Giuseppe di Arimatea il quale era discepolo di Gesù, ma occulto per tema dei Giudei, chiese a Pilato di poter togliere il corpo. E Pilato glielo permise”.  -  San Marco dice di lui ch’egli era “Consigliere onorato”, ed un altro Evangelista ci fa sapere “che era uomo ricco”.

E chi era l’altro deciso anche egli a dare mano nel pietoso ufficio?  -  Leggiamo: “venne anche Nicodemo”. Chi, quale Nicodemo?

L’Evangelista aggiunge col suo breve linguaggio, che si trae dietro cotanto significato “che al principio venne di notte a Gesù”.

Nota quei due venne. E’ venuto ora, quegli stesso, ch’era in un altro tempo venuto di notte; venne  -  venne; tra questi due tempi v’è tracciato un grande tratto della vita di Nicodemo. E non venne solamente, ma “venne portando intorno a cento libre d’una composizione di mirra e d’aloe”.

Ricco dono, generoso, e più che sufficiente per imbalsamare diversi cadaveri è destinato ad uno solo.

Come spiego tanta profusione?  Non mandò a mezzo di servi il dono; ma egli stesso volle vederlo ai piedi della croce. E non basta: “Essi adunque (cioè Giuseppe e Nicodemo) presero il corpo di Gesù e l’avvolsero in lenzuoli, con quegli aromati”. Altrove avevano quei due nobili vecchi mandato ad ordinare ad altri di staccare il corpo di Gesù .

Altro è mandare altro è andare; altro è prendersi cura di un cadavere a mezzo  di subordinati, altro è colle proprie mani prenderlo ed avvolgerlo in lenzuoli.

Io li vedo, dunque, do fronte l’uno all’altro che avvolgono quel cadavere. Mi domando: si erano messi d’accordo? Non sappiamo. Quando s’incontrarono, ai piedi della croce o prima? Non so. Pietoso ufficio davvero e atto coraggioso, se si pensa da chi veniva compiuto, e verso ignominiosamente condannato.

Essi non si vergognano; nei loro movimenti vedo la reverenza e l’amore, e le loro mani hanno tenera cura del cadavere. Come spiego tutto ciò? Sentite, è l’Evangelista che lo spiega, e lo lascia indovinare, in una frase, su Giuseppe di Arimatea  -  “discepolo occulto”  -  come a dire, sino allora occulto, ma ora non più, e per Nicodemo come una parentesi  -  “che venne a Gesù di notte”  -  V’è un coraggio ora che copre quello “occulto” e quella  “notte”, coraggio che si è venuto maturando, per lungo tempo.

Cosa dissero fra loro i due vecchi? Come, tu qui? Mi pare di udire l’uno dire in brevi accenti come egli non lo avesse quel maestro seguito pubblicamente, ma che ora morto egli sentiva di amarlo anche più e che gli voleva rendere un tributo di affetto e di omaggio, seppellendo il cadavere nel nuovo monumento. E Nicodemo palesò al compagno di opera ciò che non aveva mai dimenticato, il colloquio di quella notte.

“Conviene che il Figliuolo dell’uomo sia innalzato”. Ahi, comprendo, esclamarono, giovine maestro, comprendo ora le tue parole!

Leggiamo: “Or nel luogo era un orto, e nell’orto un monumento nuovo, ove (notate) nessuno era stato posto. E quivi adunque posero Gesù”.

Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, erano andati forse senza sapere l’uno dell’altro, si erano uniti nell’opera, e tornarono in Gerusalemme insieme narrandosi con sospiri e tra le lagrime, ciascuno le proprie relazioni con Gesù, e il crescere in ciascuno di un amore potente, che li aveva tutti e due, come tratti da una forza gigantesca, portati per vie diverse, ai piedi della croce.

G.ppe Petrelli.-