L'IDOLO DI MICA*       

 

 

I racconti del libro dei Giudici sono spesso sconcertanti e si stenta a credere che gli Israeliti siano stati capaci di tanto. Si tratta tuttavia, come ogni porzione della Parola di Dio, di brani che hanno molto da insegnare. Un esempio è offerto dalla vicenda dell'idolo di Mica, narrata nel capitolo diciassette, che mostra "a quali imprevedibili conseguenze può portare un errore non corretto prontamente".

L'errore di una famiglia

Il racconto inizia con la denuncia di un furto: Mica ha rubato una cospicua somma a sua madre. Si tratta di soldi che sarebbero stati suoi in ogni caso, ma la sua avidità lo induce a "prenderli prima del tempo". Mica fa parte del popolo d'Israele, ma evidentemente non si preoccupa di osservarne le prescrizioni, difatti non si cura assolutamente del divieto divino di rubare: "Non rubare" (Esodo 20:15).
È soltanto all'udire la maledizione lanciata dalla madre contro il ladro che Mica si spaventa e restituisce il mal tolto, rivelando così una fede piuttosto superstiziosa, che non teme di offendere la legge divina ma s'impaurisce di fronte ad un'imprecazione. La reazione della mamma di Mica che prima maledice il ladro e poi, scoperto che si tratta del figlio, lo benedice, lascia attoniti. Invece di redarguirlo, questa donna fa un voto che sarà la rovina definitiva del figlio: decide di fondere le monete per farne un idolo: "C'era un uomo nella regione montuosa di Efraim che si chiamava Mica. Egli disse a sua madre: "I millecento sicli d'argento che ti hanno rubato e a proposito dei quali hai pronunziato una maledizione, e l'hai pronunziata in mia presenza, ecco, li ho io; quel denaro l'avevo preso io". Sua madre disse: "Il Signore ti benedica, figlio mio!" Egli restituí a sua madre i millecento sicli d'argento, e sua madre disse: "Io consacro al Signore, di mano mia, quest'argento a favore di mio figlio, per farne un'immagine scolpita e un'immagine di metallo fuso; e ora te lo rendo". Quando egli ebbe restituito l'argento a sua madre, questa prese duecento sicli e li diede al fonditore, il quale ne fece un'immagine scolpita, di metallo fuso, che fu messa in casa di Mica. Cosí quest'uomo, Mica, ebbe una casa per gli idoli; fece un efod e degli idoli domestici e consacrò uno dei suoi figli, che teneva come sacerdote. In quel tempo non vi era re in Israele; ognuno faceva quello che gli pareva meglio" (Giudici 17:1-6).
Certo è una mamma che sa badare ai suoi interessi se, consapevole delle debolezze del figlio, capisce che non può più lasciare i sicli come sono. La sua scaltrezza si evince ancora di più dalla decisione di far fondere soltanto 200 dei 1.100 sicli recuperati. Purtroppo, altrettanta attenzione non è riservata all'osservanza dei comandamenti divini, perché per rimediare al male compiuto dal figlio, che ha infranto il comandamento che vieta di rubare, ne commette uno lei, infrangendo il divieto di farsi sculture e immagini: "Non avere altri dèi oltre a me. Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassú nel cielo o quaggiú sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti" (Esodo 20:3-6).
Ricevuto in dono l'idolo, Mica pensa sia cosa buona costruire un piccolo tabernacolo per ospitarlo. Vi aggiunge giusto qualche altro "piccolo idolo domestico", dopodiché fa un efod e consacra uno dei suoi figli come sacerdote del santuario di famiglia. Ben presto quel luogo diventa un centro di divinazione per gli abitanti del luogo e l'errore di Mica comincia ad estendere i suoi venefici effetti ai vicini. Mica ha fatto tutto senza ricevere la pur minima correzione. Non l'ha corretto la madre, che avrà non poche responsabilità nelle scelte del figlio, e non lo farà il levita che di lì a poco busserà alla sua porta.

L'errore di un servo

Un giovane levita proveniente da Betlemme e in cerca di un buon posto dove stabilirsi, giunge a casa di Mica dove il suo arrivo sembra provvidenziale. Cosa spinge quel giovane a vagare in lungo e in largo? Forse è insoddisfatto a causa dell'infedeltà del popolo, che gli fa mancare quel che gli spetta:
Numeri 18:24: "Poiché io do come proprietà ai Leviti le decime che i figli d'Israele presenteranno al Signore come offerta elevata; per questo dico di loro: Non possederanno nulla tra i figli d'Israele".
2Cronache 31:1-4: "Quando tutte queste cose furono compiute, tutti gli Israeliti che si trovavano lí partirono per le città di Giuda, frantumarono le statue, abbatterono gli idoli di Astarte, demolirono gli alti luoghi e gli altari in tutto Giuda e Beniamino, e in Efraim e in Manasse, in modo che nulla piú ne rimase. Poi tutti i figli d'Israele se ne tornarono alle loro città, ciascuno nella sua proprietà. Ezechia ristabilí le classi dei sacerdoti e dei Leviti nelle loro funzioni, ognuno secondo il genere del suo servizio: sacerdoti e Leviti, per gli olocausti e i sacrifici di riconoscenza, per il servizio, per la lode e per il canto, entro le porte del campo del Signore. Stabilì pure la parte che il re avrebbe prelevato dai suoi beni per gli olocausti, per gli olocausti del mattino e della sera, per gli olocausti dei sabati, dei noviluni e delle feste, come sta scritto nella legge del Signore. Ordinò al popolo, agli abitanti di Gerusalemme, di dare ai sacerdoti e ai Leviti la loro parte, affinché potessero darsi all'adempimento della legge del Signore".
Una seconda ragione: era semplicemente animato dal desiderio di sperimentare cose nuove. Indipendentemente da queste due ipotesi, finisce coinvolto anche lui nell'errore di Mica, rivelandosi un servo di Dio affatto scrupoloso. 
Mica non è soddisfatto di avere come sacerdote suo figlio, ne vuole uno "di lignaggio", ecco perché quando il levita si presenta alla sua porta pensa subito di assoldarlo. Né lui né sua madre si sono fatti molti scrupoli nel forgiarsi un dio in casa, figuriamoci se ne hanno nel corrompere un levita. Quel giovane servo avrebbe dovuto riprendere Mica anziché farsi stipendiare, ma nella sua ricerca di "un buon posto dove stabilirsi" aveva evidentemente perso di vista la chiamata. Finalmente Mica si sente appagato, anzi di più, si sente benedetto da Dio perché dice: "Ora so che il Signore mi farà del bene, perché ho questo Levita come mio sacerdote": "Vi era un giovane di Betlemme di Giuda, della famiglia di Giuda, il quale era un Levita, e abitava in questo luogo. Quest'uomo partí dalla città di Betlemme di Giuda, per cercare un luogo adatto dove stabilirsi; e, cammin facendo, giunse nella regione montuosa di Efraim, alla casa di Mica. Mica gli chiese: "Da dove vieni?" Quello gli rispose: "Sono un Levita di Betlemme di Giuda e vado a stabilirmi dove troverò un luogo adatto". Mica gli disse: "Rimani con me e sii per me padre e sacerdote; ti darò dieci sicli d'argento all'anno, un vestito completo e il vitto". Il Levita entrò. Egli acconsentí a stare con quell'uomo, che trattò il giovane come uno dei suoi figli. Mica consacrò quel Levita; il giovane gli serví da sacerdote e si stabilí in casa sua. Mica disse: "Ora so che il Signore mi farà del bene, perché ho questo Levita come mio sacerdote" (Giudici 17:7-13).
Il "ritorno d'immagine" dovuto alla presenza di un levita nel suo santuario sarebbe stato considerevole. Quando chi cammina nel male riceve del bene, finisce per convincersi di essere sulla strada giusta.

L'errore di un popolo

Non molto tempo dopo i fatti sopra narrati la tribù di Dan, che a seguito della propria infedeltà non è stata in grado di conquistare la terra assegnatale dal Signore, si mette alla ricerca di un nuovo territorio dove stabilirsi. Nel loro girovagare i daniti giungono a casa di Mica e lì, incontrato il giovane levita, gli chiedono una divinazione. Vogliono sapere se il viaggio che hanno intrapreso avrà una buona riuscita, ma così facendo sono coinvolti anche loro nell'errore: "In quel tempo, non vi era re in Israele; e in quel medesimo tempo, la tribú dei Daniti cercava un suo territorio per stabilirvisi, perché, fino a quei giorni, non le era toccata alcuna eredità fra le tribú d'Israele. I figli di Dan mandarono dunque da Sorea e da Estaol cinque uomini della loro tribú, scelti fra loro tutti, uomini valorosi, per esplorare ed esaminare il paese; e dissero loro: "Andate a esaminare il paese!" Quelli giunsero nella regione montuosa di Efraim, alla casa di Mica e pernottarono in quel luogo. Quando furono in prossimità della casa di Mica, riconobbero la voce del giovane levita; e, avvicinatisi, gli chiesero: "Chi ti ha condotto qua? Che fai in questo luogo? Perché sei qui?" Egli disse loro quello che Mica aveva fatto per lui e aggiunse: "Mi stipendia e io gli servo da sacerdote". Quelli gli dissero: "Consulta Dio, affinché sappiamo se il viaggio che abbiamo intrapreso avrà successo". Il sacerdote rispose loro: "Andate in pace; il viaggio che fate è sotto lo sguardo del Signore" (Giudici 18:1-6).
Il vaticinio dell'idolo è, neanche a dirlo, favorevole. Del resto non si è mai visto un falso profeta predire qualcosa di sconveniente a chi lo interroga, giacché è proprio questa la differenza tra i veri e i falsi profeti: "Passarono tre anni senza guerra tra la Siria e Israele. Nel terzo anno Giosafat, re di Giuda, scese a trovare il re d'Israele. Il re d'Israele aveva detto ai suoi servitori: "Voi sapete che Ramot di Galaad è nostra, e noi ce ne stiamo tranquilli senza toglierla di mano al re di Siria". E disse a Giosafat: "Vuoi venire con me alla guerra contro Ramot di Galaad?" Giosafat rispose al re d'Israele: "Conta su di me come su te stesso, sulla mia gente come sulla tua, sui miei cavalli come sui tuoi". Poi Giosafat disse al re d'Israele: "Ti prego, consulta oggi la parola del Signore". Allora il re d'Israele radunò i profeti, in numero di circa quattrocento, e disse loro: "Debbo andare a far guerra a Ramot di Galaad, o no?" Quelli risposero: "Va', e il Signore la darà nelle mani del re". Ma Giosafat disse: "Non c'è qui nessun altro profeta del Signore da poter consultare?" Il re d'Israele rispose a Giosafat: "C'è ancora un uomo per mezzo del quale si potrebbe consultare il Signore; ma io l'odio perché non mi predice mai nulla di buono, ma soltanto del male: è Micaia, figlio d'Imla". E Giosafat disse: "Non dica cosí il re!" Allora il re d'Israele chiamò un eunuco, e gli disse: "Fa' subito venire Micaia, figlio d'Imla". Il re d'Israele e Giosafat, re di Giuda, sedevano ciascuno sul suo trono, vestiti dei loro abiti regali, nell'aia che è all'ingresso della porta di Samaria; e tutti i profeti profetizzavano davanti a loro. Sedechia, figlio di Chenaana, si era fatto delle corna di ferro, e disse: "Cosí dice il Signore: Con queste corna colpirai i Siri finché tu li abbia completamente distrutti". Tutti i profeti profetizzavano nello stesso modo, dicendo: "Va' contro Ramot di Galaad, e vincerai; il Signore la darà nelle mani del re". Il messaggero che era andato a chiamare Micaia gli parlò cosí: "Ecco tutti i profeti, unanimi, predicono del bene al re; ti prego, le tue parole siano concordi con le loro, e predici del bene!" Ma Micaia rispose: "Com'è vero che il Signore vive, io dirò quel che il Signore mi dirà". Quando giunse davanti al re, il re gli disse: "Micaia, dobbiamo andare a far guerra a Ramot di Galaad, o no?" Egli rispose: "Va' pure, tu vincerai; il Signore la darà nelle mani del re". Il re gli disse: "Quante volte dovrò scongiurarti di non dirmi altro che la verità nel nome del Signore?" Micaia rispose: "Ho visto tutto Israele disperso su per i monti, come pecore che non hanno pastore; e il Signore ha detto: Questa gente non ha padrone; ciascuno ritorni in pace a casa sua". Il re d'Israele disse a Giosafat: "Non te l'avevo detto che costui non mi avrebbe predetto nulla di buono, ma soltanto del male?" Micaia replicò: "Perciò ascolta la parola del Signore. Io ho visto il Signore seduto sul suo trono, e tutto l'esercito del cielo che gli stava a destra e a sinistra. Il Signore disse: Chi ingannerà Acab affinché vada contro Ramot di Galaad e vi perisca? Ci fu chi rispose in un modo e chi in un altro. Allora si fece avanti uno spirito, il quale si presentò davanti al Signore, e disse: Lo ingannerò io. Il Signore gli disse: E come? Quello rispose: Io uscirò e sarò spirito di menzogna in bocca a tutti i suoi profeti. Il Signore gli disse: Sí, riuscirai a ingannarlo; esci e fa' cosí. E ora ecco, il Signore ha messo uno spirito di menzogna in bocca a tutti questi tuoi profeti; ma il Signore ha pronunziato del male contro di te". Allora Sedechia, figlio di Chenaana, si accostò, diede uno schiaffo a Micaia, e disse: "Per dove è passato lo Spirito del Signore, quand'è uscito da me per parlare a te?" Micaia rispose: "Lo vedrai il giorno che andrai di camera in camera per nasconderti!" Il re d'Israele disse: "Prendi Micaia, portalo da Ammon, governatore della città, e da Ioas, figlio del re e di' loro: Cosí dice il re: Rinchiudete costui in prigione, mettetelo a pane e acqua finché io torni sano e salvo". Micaia disse: "Se tu torni sano e salvo, non sarà il Signore che avrà parlato per bocca mia". E aggiunse: "Udite questo, popoli tutti!" (1Re 22:1-28).
Dal momento che l'idolo gli ha predetto la vittoria, i daniti decidono di rubarlo e portarselo sempre appresso. Il levita cerca di impedire il furto, ma intravedendo la possibilità di un ennesimo vantaggio personale, si vende nuovamente. L'ha fatto una volta, perché non farlo ancora? Tuttavia, quando i daniti giungeranno a Lais e la conquisteranno dandole il nome della loro tribù, sacerdote dell'idolo di Mica non sarà nominato il giovane levita, ma un nipote di Mosè, per dare evidentemente maggior prestigio al santuario. Come si sarebbe comportato Mosè con i suoi discendenti se li avesse visti officiare un culto idolatra non è difficile da immaginare. Diversi secoli dopo i fatti narrati nel libro dei Giudici, al tempo della divisione della monarchia, Geroboamo, re d'Israele caduto nell'idolatria, metterà uno dei suoi due vitelli d'oro proprio a Dan: "Il re, quindi, dopo essersi consigliato, fece due vitelli d'oro e disse al popolo: "Siete ormai saliti abbastanza a Gerusalemme! O Israele, ecco i tuoi dèi che ti hanno fatto uscire dal paese d'Egitto!" E ne mise uno a Betel, e l'altro a Dan" (1Re 12:28-30).
Perché a Dan? La città gli appare un luogo particolarmente propizio, perché è quella più a nord del suo regno, certo, ma anche perché i suoi abitanti sono già abituati all'idolatria. Chi avrebbe mai creduto che il peccato di una famiglia portasse a simili conseguenze? L'avidità di un figlio e la debolezza di una mamma finiscono per diventare un laccio prima per i loro vicini, poi per un giovane servo di Dio, quindi per una tribù d'Israele e infine per tutto un regno.
Il peccato, gli errori, le malattie spirituali vanno debellati subito, perché "chi avrà riportato indietro un peccatore dall'errore della sua via salverà l'anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati" (Giacomo 5:20).