MESSAGGI E MESSAGGERI POSITIVI

STUDIO DEI TERMINI

Prima di proseguire con lo studio dei personaggi positivi, necessita dover conoscere il significato biblico del termine "messaggero" nella sua lingua originale.
Esso viene dall'ebraico "mal'ak" che a sua volta deriva dalla radice "l'k" e significa "mandare", allo stesso modo "mal'akut" indica la funzione del messaggero.
Con i termini mal'ak o mal'akim vengono indicate quelle persone che, in quanto incaricate da qualcuno o da una moltitudine (Gen.32:4-7; Num.22:5; I Sam.16:19; Num.21:21; ISam.11:3), devono curare gli interessi dei loro mandanti. Il loro messaggio contiene di solito il nome del mandatario e quello del destinatario (Num.20:14; Deut.2:26;Gen.32:4).

GLI INCARICHI DEL MESSAGGERO

Il mal'akim non era solamente portatore di notizie, egli veniva impiegato anche per altri scopi e pertanto i suoi incarichi erano diversi:
a. Comunicare notizie. Quando un mal' akim veniva mandato per portare messaggi e notizie assolveva quindi l'incarico proprio del messaggero (Gen.32:4; Num22:5; Giud.9:3; II Re 19:) .
b. Raccogliere informazioni per il suo mandatario; Ciò avveniva quando i mal'akim venivano mandati come esploratori e quindi esercitavano la funzione di osservatori. In Giosuè 6:17-25 gli esploratori inviati a Gerico precedentemente, vengono chiamati appunto mal'akim.
c. Compiere una determinata azione a nome del proprio mandante. Ciò si verificò quando Saul mandò un mal'akim con il compito di sorvegliare Davide (l Sam.19:1); quando i mal'akim di Joab tirarono fuori Abner dalla cisterna di Sira (II Sam.3:26) ed anche quando Davide mandò dei mal'akim a prendere Betseba (IISam.11:4).
d. Portare persone dal proprio mandante. Ciò lo troviamo quando Abigail fu condotta dai mal'akim a Davide per diventare sua moglie.

IL RAPPORTO DEI MESSAGGERI CON IL LORO MANDATARIO

Il rapporto dei mal'akim col loro mandante era un rapporto molto intimo e stretto; essi ricevevano da lui pieni poteri per poter parlare o agire nel suo nome e la loro identificazione con il mandante era così particolare che quando parlava era come il mandante stesso (Giud.11:13; Il Sam.3:12; I Re 20:2). Maltrattare i mal'akim era come trattare male il mandante (l Sam.25:14), e lo stesso mandante poteva essere rimproverato dai suoi mal' akim.

GLI ANGELI MESSAGGERI DELL'ETERNO

La Bibbia ci parla di "messaggeri" del Signore (i traduttori li presentano- come "angeli"), che svolgono dei compiti da parte di Dio. Nelle Scritture, infatti, riscontriamo, tra i tanti esempi, l' Arcangelo Michele (Dan12:1 Giuda 9), l'angelo Gabriele (Dan.8:15-16; Luca 1:19-26) e l' Angelo del Signore che è il Figliolo stesso di Dio (Gen.32:30; Es.23:20-23; 33:1-4; ecc.) Esaminare questi messaggeri è utile perchè tra gli incarichi affidati loro, scopriamo che sono portatori di "Buone Novelle", quindi svolgono le funzioni proprie dell'araldo svolge.
Riferito agli Angeli, il mal'akim assume un significato particolare; esso designa un incaricato di Dio, che quale deve compiere la sua missione tra gli uomini consistente nella trasmissione di un messaggio, o in un'azione da svolgere (Gen.16:9; 21:17;Giud.6:11; II Re 19:35 I Cro. 21:12). In sintesi i loro interventi erano:
a. interventi che salvavano dal pericolo o dall'angustia tramite il messaggio verbale (Gen.19:10-11); Es.14:19; Num.20:16).l'annuncio della salvezza attraverso i messaggeri dell'Eterno si verificavano in diversi modi: incaricando un salvatore, come lo fu Gedeone (Giud.6:14); invitando e spingendo colui che sta correndo un rischio, come Lot (Gen.19); aprendo gli occhi, come al servo di Eliseo (ll Re 6:17), e ad Agar minacciata dalla sete (Gen 21:19); e attraverso l'annuncio della nascita di un figlio: (Gen 16:11 e segg; Giud. 13:3 e segg.);
b. interventi che compivano la salvezza tramite l'azione; Quando Lot esita ad eseguire l'ordine dei mal'akim, essi lo prendono e lo portano fuori della città (Gen.19:16);
c. trasmissione dell' incarico ai profeti; Capitava che il mal'akim Yhwh trasmetteva ad un profeta un incarico (l Re 13:18), o la parola di Dio che egli a sua volta avrebbe dovuto annunziare (l Cro.21:18).
d. Punizione attraverso sciagure e distruzione;
Il mal'akim Yhwh punisce il popolo per il peccato di Davide (II Sam.24:16; I Cro. 21:15).

2. MESSAGGERI POSITIVI NELL' ANTICO TESTAMENTO

MOSÈ

Il personaggio che stiamo prendendo in considerazione ci offre grandi ed importanti argomenti di studio. La vita d'azione, le delusioni, la completa sottomissione, la vigilanza, l'umiltà, le imprese, i fallimenti e così via sono lezioni da imparare. Approfondire tutto ciò significherebbe dedicargli il resto della ricerca data la vastità di materiale che la Parola di Dio ci offre, perciò ci limiteremo a far risaltare l'importanza della sua preparazione e della sua formazione. Quello che fu importante per Mosè, è importante per tutti coloro che sentono una chiamata al ministerio della Parola.

LA NASCITA DEL MESSAGGERO (Es.2:1-10; Ebr.11:23).

Gli egiziani, per garantirsi il cibo durante la carestia, avevano venduto a faraone tutto il loro bestiame, le loro terre e se stessi, condannandosi così ad una perpetua schiavitù. Giuseppe, saggiamente, pensò alla loro libertà, offrendogli la possibilità di mantenere la proprietà del re, e pagare al faraone un tributo annuo corrispondente ad un quinto del raccolto (Gen 47:24). In virtù di questo servizio reso da Giuseppe all'Egitto, tutti i figli di Giacobbe ebbero un trattamento diverso: furono autorizzati ad abitare una parte del paese, furono esentati dalle tasse e forniti abbondantemente di cibo durante tutto il periodo della carestia.
Quando sorse il nuovo re in Egitto, improvvisamente gli israeliti, che fino ad allora erano stati liberi e stimati, si trovarono ad essere schiavi, divisi in squadre di lavoro e sorvegliati a colpi di frusta. Ma, mentre faraone pensava che la schiavitù avrebbe fermato lo sviluppo del popolo, la mano di Dio era all'opera e "più l'opprimevano, e più il popolo moltiplicava e s'estendeva" (Es.1: 12). Il re, adirato per il fallimento del proprio progetto, con uno zelo che metteva in evidenza la sua paura, raddoppiò gli sforzi per eliminare il popolo d'Israele dando l'ordine di gettare nel fiume tutti i figli maschi che nascevano risparmiando le femmine (ES.1:22). Mentre questo decreto era in pieno vigore nacque un figlio ad Amram e Jokebed, devoti israeliti della tribù di Levi, i quali per la forza della loro fede in Dio non temettero il re e nascosero per tre mesi il loro bambino prima di affidarlo alla corrente del fiume: il nome di questo bambino fu Mosè.
Questo evento ci lascia intravedere tre cose: -Dio ha sempre un popolo fedele, anche se in piccolo numero. Durante questo lungo periodo di dura schiavitù in Egitto, molti israeliti mostrarono un declino spirituale, che li condusse a conformarsi ai costumi e all'idolatria del posto. La loro speranza di tornare nella terra promessa andò svanendo sempre più. Iddio, però, aveva tra il popolo degli uomini che attendevano fedelmente la promessa e tra questi ritroviamo i genitori di Mosè.
Il bimbo lasciato sul fiume, dalla madre, corse il richio di essere trovato da qualche egiziano ed ucciso in ubbuideinza al decreto del re, ma Dio vegliava su Israele e continuava ad intervenire. Non fu per caso che il bambino cominciò a piangere proprio quando la figlia di Faraone scese a bagnarsi nel Fiume, suscitandone così la compassione.

DIO ADEMPIE LE SUE PROMESSE

Dio avendo previsto la schiavitù dl Suo popolo, promise ad Abramoi di liberarlo e condurlo nella terra promessa al compimento del quattrocentesimo anno (Genesi 15:13). Mosè era il liberatore designato da Dio, il quale avrebbe guidato il suo popolo fuori dalla schiavitù egiziana.

La scelta del messaggero.

L'ora della decisione venne per Mosè quando compì quarant'anni (Atti 7:23). Egli non poteva più continuare ad identificarsi con la corte egiziana la quale, considerava gli Israeliti una massa di schiavi, destinati a rimanere tali fino alla completa estinzione ed anche perché sapeva che Israele era il suo popolo e destinato da Dio a diventare luce delle nazioni. Egli rifiutò di essere ufficialmente chiamato figlio della figlia di Faraone (ebrei 11:24) e scelse di essere maltrattato con il popolo di Dio, perché stimava il vituperio di Cristo più grande delle ricchezze d'Egitto. All'età di 40 anni, Mosè uscì per visitare i suoi fratelli, pensando che essi avrebbero capito che Dio li voleva salvare per mano sua (Atti 7:25). Le sue intenzioni erano buone, voleva aiutarli, perché vivevano in grande miseria, oppressi dalla schiavitù; sentiva di dover fare qualcosa per cambiare la loro sorte, vedeva chiaramente che era tempo di agire; ma, i suoi fratelli non l'intesero e lo respinsero, quando cercò di dividere i due israeliti che litigavano.

IL MESSAGGERO ALLA SCUOLA DI DIO

Temendo faraone, Mosè fuggì a Madian e si sedette presso un pozzo. Egli imparò in fretta ad accettare quelle circostanze come permesse da Dio e, senza farsi fermare dalle amarezze, si sottomise alla volontà divina. Fece, quindi, ciò che si presentò chiaramente alla sua portata ed aiutò le figlie di Reuel ad abbeverare il gregge, dimostrando il suo carattere di liberatore (Es.2:18-19). Intanto cominciò per Mosè un nuovo periodo di altri quarant'anni. Iddio lo trasse in disparte, lontano dagli sguardi e dalle influenze degli uomini, per formarlo secondo la Sua volontà. I quarant'anni precedenti portarono il loro utile profitto, ma non è nulla paragonato con quello che Mosè imparò nel deserto. A quarant'anni Mosè credeva di essere qualcuno, quarant'anni dopo sapeva di non essere nessuno, negli ultimi quarant'anni, come vedremo in seguito, cercò, con l'aiuto di Dio di aiutare qualcuno. Fu nel deserto, quindi, che Mosè imparò ad essere nessuno e che non aveva nessuna potenza per aiutare gli altri.

LA CHIAMATA DEL MESSAGGERO (Esodo 3 e 4; Atti 7:30-35) La promessa che Dio aveva fatto ad Abramo si stava per compiere (Atti 7:17). Gli anni di silenzio avevano forgiato Mosè come lo strumento che doveva condurre il popolo di Dio nella terra promessa. Dio si rivelò a Mosè per tale compito dopo quaranta anni di solitudine. Forse per Mosè era svanita om1ai ogni speranza per aiutare i suoi fratelli in Egitto, ma Dio non aveva dimenticato. Infatti, un giorno gli si manifestò in una fiamma di fuoco in mezzo ad un pruno e, dopo averlo fatto avvicinare, gli disse: "or dunque vieni, e lo ti manderò" (Es.3:10). Colui che parlava stava manifestando tutta la Sua autorità. C'è un enorme differenza tra l'essere mandato da Dio e il correre senza mandato. Mosè non era ancora maturo per il servizio quando volle cominciare ad agire con le sue forze uccidendo un Egiziano e cercando di mettere la pace tra i suoi fratelli. Il momento di Dio giunge quando l'io è stato annullato, allora soltanto si può essere strumenti nelle mani di Dio. A questo punto Mosè si sente insufficiente ed oppone almeno quattro ragioni per non andare:
L'incapacità Io non sono capace, non ho alcuna possibilità, non saprei come fare. Mosè dice: "chi sono io"? (Es 3:11). La sua dichiarazione vuole affermare che ormai è divenuto uno sconosciuto e senza alcuna autorità, perciò gli è impossibile aiutare i suoi fratelli. Allora Dio lo rassicura: "va perchè io sarò teco". Questa risposta doveva bastare, ma Mosè non si convinse.
La mancanza del nome del mandante Per la ragione suddetta, Mosè rivolse a Dio un'altra domanda: "Ecco quando sarò andato ..e avrò detto loro: l'lddio dei vostri padri mi ha mandato da voi, se essi mi dicono: Qual'è il Suo nome? che risponderò loro?" (V 13). E' ancora più meraviglioso constatare l'amore di Dio che si rivela a Mosè come l'Eterno. "lo sono Colui che sono". Colui che è prima del tempo, nel tempo e dopo il tempo. Egli è l'immutabile.
L'incredulità dei suoi fratelli. Mosè ebbe tutte le assicurazioni necessarie ma non gli bastarono perchè aggiunge: "Ma ecco, essi non mi crederanno (Es.4:1). Allora Dio gli dà tre segni per confermare l'autorità della missione, quali ricevuta dal Signore:
a. Il bastone trasformato in serpente.
Esempio del potere che Dio gli dava di fronte alla forza del nemico.
b. La mano prima lebbrosa e poi purificata;
Per dimostrare che solo Dio purifica il peccatore.
c. l'acqua del Nilo cambiata in sangue;
Con l'ordine di farlo solo nel caso in cui i due miracoli precedenti fossero stati rigettati.
- L''essere balbuziente. Dopo tutto ciò il cuore di Mosè non fu ancora soddisfatto ed egli pone un'ulteriore scusa: ".Io non sono un parlatore (4:10) "E l'Eterno gli disse: ...io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire (4:11-12).
Infine Mosè dice esplicitamente di mandare un altro al posto suo perchè non riteneva valida la scelta di Dio. La sua umiltà fece adirare Dio che lo costrinse ad accettare. Proprio perchè Mosè giunse a questo annullamento di se stesso, divenne:
"Uomo di Dio, uomo di fede, liberatore, conduttore, pastore, legislatore, mediatore, intercessore, profeta, tipo di Cristo, la grande figura di Mosè resta davanti a noi affinché, considerando come ha finito la Sua carriera, imitiamo la sua fede (Eb.13: 7).1

2.B. I GIUDICI

Il libro dei giudici è uno dei più tristi della storia del popolo di Dio, perchè esso racconta la terribile decadenza del popolo d'Israele dopo la morte dopo la morte di Giosuè. La causa di questa decadenza fu il conformarsi alla cultura pagana e, invece di cacciare i cananei, gli israeliti si unirono a loro. Infatti, "quando Israele si fu rinforzato, assoggettò i cananei a servitù, ma non li cacciò del tutto" (1:28). Il Signore, da parte Sua, aveva puntualmente adempiuto le promesse fatte al suo popolo; Giosuè aveva infranto la potenza dei cananei, spartito il territorio conquistato tra le tribù. Al popolo d'Israele non rimaneva altro che confidare nella promessa divina, per allontanare completamente gli abitanti dal paese di Canaan. Essi, però, trasgredirono apertamente gli ordini di Dio, alleandosi con loro e non adempiendo la Sua Parola.
Iddio aveva loro parlato al Sinai, furono messi in guardia contro l'idolatria subito dopo aver ricevuto la legge. Mosè aveva avvertito il popolo circa le nazioni di Canaan: "Tu non ti prostrerai davanti a loro dèi e non servirai loro. Non farai quello che essi fanno; ma distruggerai interamente quegli dèi e spezzerai le loro colonne. Servirete l'Eterno che è il vostro Dio, ed Egli benedirà il tuo pane e la tua acqua; ed io allontanerò la malattia di mezzo a te" (Es. 23:24-25). Inoltre fu loro garantito per tutto il tempo in cui avrebbero ubbidito, Dio avrebbe sottomesso i loro nemici (Es.23:27-33). Queste direttive, dettate in maniera solenne da Mosè, furono ripetute anche da Giosuè.
Gli Israeliti, però, non curanti della legge di Dio, scelsero le maledizioni di una vita facile e disubbidiente. Essi si imparentarono con i cananei e l'idolatria si diffuse in tutto il paese: "Servirono i loro dèi i quali divennero per essi un laccio, e sacrificarono i loro figlioli e le loro figliole ai demòni..e il paese fu profanato dal sangue versato..Onde l'ira dell'Eterno si accese contro il suo popolo, e quelli che li odiavano li signoreggiavano" (Salmo 106:36-40). La trascuratezza con cui coloro che erano entrati in possesso di Canaan, considerarono gli ordini dati dal Signore, recò per molte generazioni frutti amari. I loro peccati li allontanavano da Dio ed essi, non avendo più l'aiuto divino, finirono per essere assoggettati proprio da quei popoli che avrebbero dovuto conquistare con l'aiuto di Dio.
Tuttavia, Dio non dimenticò il suo popolo. Vi era sempre una minoranza fedele all'Eterno, e di tanto in tanto il Signore chiamò uomini fedeli e valorosi per mettere fine all'idolatria e liberare gli israeliti dai loro nemici. Ma dopo che il liberatore moriva ed il popolo non era più controllato, ritornava gradualmente ai propri idoli. Così la storia fatta di apostasia e di castighi, di confessione e liberazione, si ripeteva continuamente. Quello che interessa a noi, non è tanto vedere la decadenza spirituale, morale e fisica del popolo di Dio, ma è piuttosto considerare questi uomini, chiamati giudici e suscitati da Dio, che con un messaggio da parte del Signore spronarono il popolo al ravvedimento, sconfiggendo i loro nemici e compiendo così gloriose liberazioni. Questo libro è' stato giustamente definito un commentario di I Corinzi 1:21-28, in quanto più di una volta Dio usò strumenti deboli e cose che non ! sono, per svergognare le forti e le cose che sono. Alcuni di questi sono:
a) Un pungolo di buoi (3:31)
b) Il sogno di un soldato (7:13)
c) La mascella di un asino (15:15-17)
d) Brocche di creta (7:19-22)
Anche gli stessi personaggi esprimono la realtà di I Cor. 1:21-28, perchè, questi strumenti usati da Dio dimostrarono la loro debolezza. Ehud era difettoso, era mancino; Shamgar usò un mezzo strano, un pungolo da buoi; Debora era una donna; Barak aveva un carattere debole; Gedeone ebbe numerose mogli e la concubina (8:30-31); Jefte era figlio di una meretrice; Sansone era un passionale. Quindi, Dio ha bisogno di strumentalità perchè è Lui che dà i risultati e confonde la potenza dell'uomo dando ai deboli la vittoria necessaria. Questi messaggeri erano in tutto quattordici e furono:

1) Othniel = forza di Dio

2) Ehud = Colui che unisce

3) Samgar = Colui che cura

4) Elon = il forte

5) Debora = Ape

6) Hiair = Colui che illumina

7) Tola = verme rosso

8) Jefte = Colui che apre

9) Ebdon =servitù

10) Ibsan = Colui che splende

11) Gedeone=Colui che vota

12) Sansone = brillante luce

13) Eli

 

Non potendo parlare di tutti questi uomini, prenderemo solo in esame brevemente due di loro.

OTHNIEL (Giudici3:5-11)
I versetti dieci e undici menzionano le sei sue conquiste:
a. Conquistò la potenza di Dio; "Lo Spirito del Signore fu sopra lui".
b. Conquistò l'ufficio "fu giudice d'Israele..".
c. Conquistò una prima vittoria "...l'Eterno gli diede nelle mani Cushan-Rishathaim, re di Mesopotamia.
d. Conquistò definitivamente il nemico "…la sua mano si rinforzò contro a Cushan-Rishathaim";
e. Conquistò i frutti della sua vittoria "Il paese ebbe requie per quarant'anni".

GEDEONE (Giudici Cap. 6 a 8)
Malgrado tutte le benedizioni che Dio mandò su Israele, essi non tardarono a ricadere nell'idolatria e sotto il giogo nemico abbandonarono l'Eterno.
Nella Sua fedeltà, Iddio inviò un profeta per rivelare ad Israele i suoi peccati, ma nessuno del popolo lo ascoltò. Nessuno sembrava disposto a rinunziare ai propri idoli e dimostrare in qualche modo di servire il Signore. Per questo Iddio li abbandonò nelle mani dei Madianiti. La piaga che afflisse Israele in questo periodo fu la carestia."...i Madianiti non lasciarono in Israele né viveri, né pecore, né buoi, né asini" (V4 ).
Dopo sette anni di questa oppressione gli israeliti, ridotti alla miseria gridarono al Signore per ricevere aiuto. Confessarono i loro peccati, e Dio suscitò un uomo che li avrebbe aiutati: Gedeone figlio di Joas, della tribù di Manasse.

GEDEONE CHIAMATO E FORMATO PER IL SERVIZIO (6:11-16)

Dopo che Israele gridò a Dio, il Signore mandò un angelo per parlare a Gedeone. Nota: L'angelo apparso a Gedeone, non era uno qualsiasi ma era l'Angelo di Yhwh, ossia come teofania. Al verso 14, infatti l'Angelo è chiamato l'Eterno.
Gedeone non ha le caratteristiche di colui che sarebbe poi divenuto il liberatore d'Israele. La paura lo aveva, infatti, trattenuto dal portare il suo grano alla trebbiatrice del villaggio. Lo aveva ammucchiato in uno stretto io appartato e in quel luogo lo batteva, da solo, al sicuro da eventuali incursioni nemiche. Inoltre era senza risorse nella sua parentela, perchè il suo migliaio era il più povero in Manasse ed era senza forza in sé stesso, poiché egli era il più piccolo della casa di suo padre. Eppure Dio visita un tale uomo, e sceglie proprio lui, che cosciente della sua assoluta mancanza di forza, risponde all' Angelo: "Ah, Signor mio con che salverò io Israele?"
E' interessante notare il modo progressivo con cui Dio chiama il suo servitore:
a. Dio si rivelò a Gedeone, l'Angelo dell'Eterno gli apparve e cominciò a rivelarsi;
b. Dio gli assicurò la Sua presenza: "L'Eterno è teco";
c. Dio gli dette un carattere forte e valoroso, carattere che Gedeone, debole com'era, non avrebbe mai pensato di avere;
d. Dio rivelò a Gedeone dove risiedeva la sua forza: "Và con codesta tua forza", per dire che la sua forza era sufficiente per andare;
e. Dio acconsentì a tutti i segni richiesti.

Dopo che il Signore diede ogni prova, Gedeone finalmente cominciò a farsi avanti ed a seguirLo. Rispose al Signore con fede ed adorazione, edificando un altare chiamandolo: "l'Eterno pace", e dopo tale atto Dio chiama Gedeone a rendergli testimonianza pubblica.

LA TESTIMONIANZA PUBBLICA DI GEDEONE (6:25-32)

Dio principalmente ordinò a Gedeone di manifestare la sua fede e la sua chiamata dando un primo colpo non ai Madianiti, ma al nemico interiore che era poi la causa delle sofferenze di Israele. Prima di dare battaglia ai nemici del suo popolo, Gedeone doveva dichiarare guerra all'idolatria. Doveva, in altre parole, demolire l'altare che suo padre Joas aveva eretto a Baal, ed erigerne un altro in onore dell'Eterno.
Un per paura, ed un per prevenzione, Gedeone nel segreto e nel buio della notte ubbidì all'ordine.
Il dovere del messaggero di Dio è innanzi tutto quello di distruggere i propri idoli, perchè in questo sta il segreto della potenza. Infatti, subito dopo "lo Spirito del Signore investì Gedeone" (6:34 ).
Il padre di Gedeone si rese subito conto che il suo atto era guidato dal Signore, sostenendo il figlio col dire che poteva bene difendere la sua causa se ne aveva il potere.

UN ULTERIORE CONFERMA DELLA CHIAMATA DI GEDEONE (6:36-40)

Dopo essere stato riempito di Spirito Santo, sia per mancanza di fede o per accertarsi che quello era il momento di agire, Gedeone chiede ancora al Signore un' ulteriore conferma proponendo come segno che un vello di lana fosse bagnato dalla rugiada della notte, mentre tutto il terreno attorno restasse asciutto. Ottenuto ciò, chiese ancora lo stesso segno ma al contrario. Ogni giudizio dato sulle richieste di Gedeone non ha nessun fondamento biblico, in quanto Iddio non lo condannò per la sua condotta ma, al contrario lo accontentò.

UOMINI RIFIUTATI E UOMINI SCELTI (7:1-3)

Gli israeliti che risposero alla convocazione di Gedeone si accamparono presso la sorgente di Harod, con i nemici che si trovavano a circa dodici Km più a nord, nella valle di Izreel, presso la collina di Moreh. Sebbene l'esercito madianita era molto più numeroso di quello israelita, Dio disse che vi erano troppi uomini con Gedeone, ordinando al suo servo di farne una scelta. Gedeone ubbidì all'ordine del Signore, e con tristezza vide ventiduemila uomini, più dei due terzi delle sue forze, abbandonarlo per tornare a casa. I veri messaggeri, o testimoni, hanno un carattere che li distingue sempre dai falsi:
a. non sono orgogliosi; Il Signore vedeva l'orgoglio e l'infedeltà della sua gente e per evitare che si gloriassero della futura vittoria, ridusse l'esercito a Gedeone;
b. non sono timorosi: "Chiunque ha paura e trema, se ne torni indietro...".
Mosè dette queste prescrizioni ancora prima di Gedeone (Deu.20:8). Per compiere l'opera Sua, Dio vuole dei cuori che non abbiano nulla da perdere e che non abbiano paura di nulla, o per dirlo come Wesley, i predicatori hanno paura solo di dispiacere a Dio: "Datemi dieci predicatori che non hanno paura di nulla, fuorché del peccato, ed io metterò il mondo Sottosopra.
c. superano la prova;
Per mettere luce su coloro che possedevano queste qualità, Dio suggerì a Gedeone di metterli alla prova (7:4-8). Il risultato fu che soltanto trecento uomini riuscirono a passare l'esame e furono scelti da Dio.
Il successo non dipende mai dal numero. Dio può compiere la Sua opera sia con pochi che con molti: "Non per forza non per potenza ma per lo Spirito mio".

LA VITTORIA DEL POPOLO DI DIO

Prima della battaglia Dio incoraggiò ancora Gedeone confermandogli per l' ultima volta che il tutto procedeva per volere divino (7:9-14). Lo condusse nel campo nemico e gli fece ascoltare il discorso di due sentinelle. Esse discutevano di un sogno e compresero che Dio dava Madian nelle mani di Gedeone.
Dio suggerì un piano d'attacco che fu immediatamente eseguito. I trecento dovevano dividersi in tre gruppi e, ad ogni uomo, doveva essere data una tromba ed una torcia nascoste in una brocca di terracotta. Quando Gedeone avrebbe dato un segnale suonando il suo corno, tutti avrebbero dovuto suonare il proprio corno, spezzare le brocche e gridare inni di vittoria. Tutto ciò seminò il panico tra i madianiti che nell'oscurità e nella confusione si uccisero l'uno con l'altro e fuggirono inseguiti da Israele. Tutti gli israeliti goderono dei frutti della vittoria e la gloria andò a Dio solo.

I PROFETI

Secondo il linguaggio più comune il termine "profeta" ha assunto un significato molto ristretto. Infatti si è portati a conoscere soltanto un aspetto del ministero di questi uomini, vale a dire la predizione del futuro. Senza dubbio la predizione costituisce una parte molto importante nella profezia. Infatti, i profeti dell'Antico Testamento hanno predetto il futuro con ricchi particolari che fanno escludere qualsiasi idea che faccia pensare ad una astuta divinazione pagana. Alcuni riferimenti precisi e la citazione di nomi ( come, ad esempio, al capitolo 45 del libro di Isaia a proposito di Ciro) allontano ogni sospetto alla predizione profetica.
Tuttavia, tale concezione è incompleta per il significato che quel termine riveste nell'uso biblico. La Sacra Scrittura, difatti gli dà una portata molto più vasta, e nel profeta riconosce un uomo del quale Dio se ne usa per far conoscere la Sua volontà, il Suo amore ed i Suoi giudizi attraverso la predicazione. Essi parlano nel nome di Yahwè. Sia che appartengono al gruppo dei profeti dell'esilio o a quelli dopo l'esilio, tutti si ritengono dei portavoce di Dio. Essi avevano un messaggio da annunciare che, dato il suo carattere messianico, rimane attuale per tutti gli uomini fino alla fine dei tempi. Infatti, secondo I Pietro 1:10-11 e le parole di Gesù in Luca 24:26-44, i profeti sono stati dei predicatori della croce e della gloria di Cristo. Con grande certezza possiamo dire che i profeti sono stati dei predicatori evangelici, in quanto hanno annunziato delle "Buone Novelle" (Isaia 40:9).

ETIMOLOGIA DEL TERMINE

Il termine principale di "profeta" è "nabhi", che significa "annunziare", "colui che parla" non a nome suo, ma piuttosto in nome di un altro. Nel nostro caso il profeta è l'araldo, il portavoce, l'interprete, il messaggero di Dio. Il termine "nabhi" è usato moltissimo nell' Antico Testamento e per poter comprendere bene il significato biblico consideriamo alcuni versetti che ci aiutano a capire ciò che esso indica:
".. restituisci la moglie a quest'uomo perchè è profeta" (Gen.20:7) Abramo non è autore di nessuna predizione futura, ma è lo stesso chiamato "nabhi" certamente perchè aveva ricevuto da Dio rivelazioni e perchè doveva fargli da messaggero, parlando alle future generazioni di Lui e vivendo una vita di santità, per conservare la via di Dio.
"..io ti ho stabilito come Dio per faraone, e Aronne sarà il tuo profeta". (Es.7:1-2)
Questo è il passo classico che determina l'uso comune della parola "nabhi". Mosè incaricato da Dio per andare da Faraone, cercò di esimersi dalla missione obiettando che "le sue labbra erano incirconcise" e facendo presente la sua difficoltà di parola. Il profeta, quindi è il portavoce di Dio, un rappresentante ufficiale, un oratore, un predicatore che trasmette agli uomini ciò che Dio vuoI far sapere. Se esaminiamo anche la vocazione di Geremia, giungiamo alla stessa conclusione. Dio gli rivelò che lo aveva prescelto fin dal seno di sua madre per farne il suo "nabhi" presso le nazioni (Ger.1:4-5). Alla chiamata dell'Eterno, Geremia rispose riconoscendosi inadeguato e incapace: "Ahimè, Signore, Eterno, io non so parlare, poiché non sono che un fanciullo" (Ger.1:6). Ma, Dio lo incoraggiò, confermandogli la missione profetica, promettendogli la sua presenza e la Sua protezione, e toccandogli le labbra sulle quali metterà le parole che il profeta dovrà pronunziare (Ger.1:7-10).

LE CARATTERISTICHE DEL PROFETA

a. una chiamata speciale
La caratteristica principale dei profeti è la chiamata divina. Mentre la vocazione al sacerdozio era esclusiva della tribù di Levi e la vocazione alla regalità era riservata alla famiglia di Davide, per i profeti non c' era nessuna distinzione di condizione o di famiglia ecc. Essi non venivano eletti per eredità, o perchè erano nati in una tribù o famiglia profetica, ma ognuno veniva scelto da Dio per un'opera che Lui gli assegnava. Geremia ed Ezechiele erano di origine sacerdotale (Ger.1:1; Ez.1:3), Eliseo ed Amos erano dei coltivatori, Isaia e Sofonia appartenevano probabilmente alla classe nobile del paese. Samuele era della tribù di Levi (I Sam.1:20), Eliseo di Efraim (IRe 19:19). Anche le donne sono state chiamate a questa vocazione. La Bibbia ci parla di alcune profetesse, tra cui Maria, sorella di Araonne e Mosè (Es.15:20), Debora, ai tempi dei giudici (Giu.4:4-5) e Olda ai tempi di Giosia (II Re 22:14). Dio chiamò uomini e donne per farli Suoi araldi e combattere contro il peccato del popolo eletto.

b. IL PROBLEMA DOTTRINALE

Alcuni sono del parere che la chiamata al Ministerio profetico, sia improvvisa, imperiosa (che si impone sopra ad ogni cosa) ed irresistibile. Che sia irrevocabile da parte degli uomini e che le dichiarazioni di Geremia al cap. 17:7-18, rivelano il carattere e la natura costringente della chiamata. Ma, anche in questo caso, noi non possiamo accettare tale affermazione, perchè alla chiamata di Dio segue sempre la disponibilità dell'uomo, e questo si vede anche nel caso dei profeti. Più che parlare di elezione incondizionata, si deve parlare di sollecitudine interiore dello Spirito Santo. Amos ci spiega questo paragonando la vocazione profetica all'incontro con il leone ruggente: "..il leone rugge, chi non temerà? Il Signore parla chi non profeterà? .." (Amos 3:8). Immaginiamo un uomo che, per caso, cammina su un sentiero. Se inaspettatamente ode un leone ruggire dietro a se, un brivido di terrore lo percorre ed immediatamente si mette a correre, fuggendo via. L'impulso di fuggire suscitato dalla paura è talmente forte che egli non può fare ameno di frenarlo. Amos dice che la voce interiore di Dio gli diede la stessa, forte ed inarrestabile spinta a profetare, così come il ruggito del leone lo avrebbe spinto a fuggire. Quindi invece di irresistibile, la vocazione è inarrestabile, invece di essere irrevocabile è condivisa pienamente dai profeti chiamati da Dio.
In un modo o nell'altro, tutti i profeti sentirono questa sollecitudine interiore proveniente da Dio. Samuele fu chiamato in piena notte (l Sam. 3), Eliseo fu chiamato mentre stava arando il suo campo (I Re19:19), abbandonato dalla moglie desiderosa di praticare amori illeciti, Osea si sentì dire: "Va e prendi tua moglie" (Osea 1,2). Ci fu un momento in cui Geremia decise di non profetare più perchè nessuno ubbidiva alla Parola di Dio. A tale pensiero quella stessa Parola divenne come un fuoco che ardeva nel Suo cuore e non poté tacere, non poté smettere di profetare.
Il caso della chiamata di Geremia indica come il Signore eserciti un diritto di sovrana scelta per quel che riguarda un particolare ministerio. Oltre all'esempio di Geremia, altri brani e altri esempi della Bibbia mostrano la sovranità divina nella scelta dei Suoi servitori. Molti discepoli seguirono Gesù all'inizio del Suo ministerio ma, tra questi il maestro ne scelse dodici perchè dimorassero con Lui e divenissero suoi Apostoli. Parlando poi del loro ministerio, disse loro: "Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Gio.15:16). Più tardi, in Antiochia lo Spirito Santo disse: "Mettetemi a parte Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamato". Dio conosce le caratteristiche e la personalità che occorrono per svolgere un determinato incarico e conosce anche la grandezza dell'opera per cui non metterebbe mai un peso su un uomo che non sia preparato a sostenerlo. Dio sa quando e dove servirsi di ogni persona. Egli ha un posto, nel Suo piano, per ciascuno dei Suoi figli. Il compito dei credenti non è decidere quale ministerio preferire ma, sol,tanto comprendere qual' è la volontà di Dio e poi metterla in atto.

C. UOMINI ARRESI A DIO

La prova che non è elezione incondizionata si trova anche nel fatto che colui che veniva scelto proponeva a Dio le sue incapacità, i suoi timori, le sue angosce ecc. (I Sam. 3:9; Is.6; Ger.l:15-20). La Bibbia, in molti casi, narra come Dio abbia dovuto autorevolmente superare le obiezioni ed il senso di insufficienza di questi uomini, e di come abbia dovuto lottare con pazienza contro la loro consapevolezza d' essere deboli e inadeguati al compito che Egli voleva loro affidare.

MESSAGGERI DI DIO

Frequentemente viene affermato dai profeti che il loro mandante è Dio con frasi come queste: "E voi conoscerete che l'Eterno degli eserciti mi ha mandato" (Zacc.2:9). Da tutte queste affermazioni risulta che i profeti si consideravano come messaggeri specialissimi di Dio. Questa fiducia nella realtà della loro vocazione è di un'importanza primaria, tanto più che le loro dichiarazioni furono fatte in circostanze talvolta gravissime mettendo in pericolo la loro stessa vita. Ma d'altra parte, non bastava dire: "E' Dio che mi manda", bisognava provarlo con dei segni dall'alto che garantivano la loro chiamata. Erano necessari degli indizi, delle testimonianze, che permettessero al popolo di distinguere il vero profeta di Dio da coloro che senza alcun mandato si dichiaravano tali. Così, Dio accompagnava i suoi servitori con segni, miracoli e prodigi. Infatti queste erano le caratteristiche dei profeti:
a. miracoli come segni distintivi del profeta Uno degli scopi dei miracoli che leggiamo nella Bibbia era quello di dimostrare la veridicità dei profeti, in modo che il popolo fosse certo di poter fidare nei loro messaggi. Dio, col fine di accreditare Mosè presso il popolo di Israele, gli conferì il potere di fare miracoli nel Suo nome (Es.4:9).
Mosè, per provare l'autenticità della sua missione contro la ribellione di Kore, ricorre al giudizio di Dio (Num.16:16 e segg).
Tutti i miracoli di Elia ed Eliseo sono interessanti sotto questo aspetto. Elia si era presentato alla vedova di Sarepta come un uomo di Dio, e doveva perciò giustificare il diritto che aveva di attribuirsi tale titolo. Questo avvenne quando il fanciullo morì. Il Signore, per mezzo del suo servo, risuscitò il fanciullo e a quel punto la vedova disse: "Ora riconosco che tu sei un uomo di Dio" (l Re 17:24).
Isaia per confermare una profezia, si dichiarò pronto ad operare davanti al re Ahcaz un miracolo, secondo una sua scelta (Is.7:11). Ancora Isaia compì un miracolo per provare che Dio lo avrebbe guarito. (Is. 38:7 -8; Il Re 20:8-11 ).
b. Le profezie come segni distintivi del profeta L'adempimento delle profezie, provava che Dio era veramente con colui che si proclamava suo inviato. Questo insegna Dio in Deuteronomio 18:21-22: "E se tu dici in cuor tuo: Come riconosceranno la parola che l'Eterno mi ha detta? Quando il profeta parlerà in nome dell'Eterno e la cosa non succede e non si avverrà, quella sarà una parola che l'Eterno non ha detta; il profeta l'ha detta per presunzione; tu non lo temere". Alcuni esempi, tra le moltissime profezie adempiute sono:
- Samuele predisse la morte dei due figli di Eli (l Sam.2:34);
- Elia predisse la siccità di tre anni e mezzo (I Re 20:13-28);
- Natan predisse la morte del figlio di Davide (I Re.11:31-32);
- Eliseo predisse la morte di Benadab re di Siria (II Re 8:13).
Il coraggio ed il loro modo di compiere la volontà di Dio, soprattutto davanti alle mille difficoltà e minacce di morte, è la prova principale della loro vera vocazione. Con voce autorevole per la potenza dello Spirito Santo, questi portavoce di Dio scossero le coscienze per renderle sensibili. Essi presentarono la luce e la verità di Dio, svelarono il peccato pienamente e fedelmente nei suoi luoghi più nascosti, segnalarono apertamente la deplorevole caduta d'Israele e il suo allontanamento da Dio; Si opposero a quel falso sistema religioso che il popolo andava innalzando. Oltre a tutto ciò presenta- vano al popolo l'alternativa per ricevere soccorso.

IL MODO IN CUI I PROFETI HANNO COMUNICATO IL LORO MESSAGGIO

Anche quest'argomento è molto importante e non possiamo negligerlo, dato che la profezia non è un messaggio segreto, ma una predicazione che, rivolta alla coscienza di singole persone o a gruppi, rivela un'importanza morale e spirituale, visto la pienezza di implicazioni sulla sorte degli uomini ed esige un'azione o una reazione immediata.
A volte i profeti si sono rivolti a singole persone: re, sacerdoti, messi ecc., altre volte invece a comunità o nazioni. Il loro dovere era rendere comprensibile il messaggio a coloro ai quali era destinato. Impresa facilitata dall'influenza dello Spirito Santo sulla loro vita. Inoltre era importante fare in modo che il messaggio giungesse sempre ai suoi destinatari. In altri casi, invece, erano le persone ad andare dal profeta: riconosciuto tale: Giosafat cercò un profeta dell'Eterno (II Re 3); Naaman il Siro fu mandato dal profeta Eliseo per essere guarito (Il Re 5); alcuni anziani d'Israele andarono da Ezechiele per consultare 1 'Eterno (Eze.20: I ). Il profeta si premuniva per fare in modo che il popolo ascoltasse il messaggio proclamato. Alcuni prendevano a cuore il messaggio per cambiare e correggere la loro condotta, come nel caso dei Niniviti. Altri si preoccupavano più del messaggero che del messaggio. La maggioranza si rifiutava di obbedire egli si rivoltarono contro (Ger.44:15). Ma nessuno potrà mai accusare il profeta di aver nascosto il messaggio o di averlo annunciato con indecisione e timidezza. Anzi al contrario, tutti i profeti hanno alzato la voce come una tromba, sia per mostrare al popolo di Dio le proprie iniquità, sia per proclamare l'anno di grazia del Signore.

IL RAPPORTO DEI PROFETI CON LA LEGGE

Per poter vedere le cose nella loro giusta prospettiva, dobbiamo anche considerare il legame che univa i profeti alla legge. I loro scritti, hanno dato un notevole contributo per la conoscenza di Dio, ma sarebbe un grave errore opporre i profeti alla legge creando un antagonismo, perchè essi non sono venuti per abolirla, ma per confermarla. Infatti, la Legge ed i profeti rivelano di essere in perfetta armonia e cercano di promuovere la gloria di Dio e dichiarare il Suo consiglio eterno, radicati sullo stesso fondamento etico e proclamando le stesso Evangelo.
Riassumendo possiamo dire che "i profeti hanno sviluppato il messaggio contenuto nella Legge, non lo hanno annullato".2

 

L'INSEGNAMENTO DEI PROFETI SU DIO

"I profeti non avevano ricevuto soltanto un messaggio da parte di Dio (quante volte noi li udiamo pronunciare il celebre "Così parla l'Eterno"!), ma avevano un messaggio a proposito di Dio. Essi hanno proclamato il Dio di Israele: chi Egli è e qual è il Suo carattere. L'essere stesso di Dio è di capitale importanza nella proclamazione profetica" .3
Una delle verità più importanti proclamate dai profeti a proposito di Dio è la Sua sovranità. L'Iddio proclamato dai profeti è Colui che è al di sopra di tutti. Egli è il Dio Onnipotente e sovrano che realizza la Sua volontà fra gli eserciti celesti e gli abitanti della terra, proprio come lo scoprì attraverso un'amara esperienza l'orgoglioso Nebucadnetsar di Babilonia. (cfr. Isaia 40:22). Dio è così grande che neanche i cieli dei cieli possono contenerlo (I Re 8:27). I grandi della terra, gli imperatori e i dittatori nella loro stoltezza possono sfidarlo, ma presto il vento del giudizio prende a soffiare su loro ed essi se ne vanno. Dio resta l'unico Sovrano sopra tutti. Fra gli altri attributi di Yahwè, si trova anche la Sua unicità. Lui solo è il Dio vivente e vero. La legge, infatti, invitava Israele ad adorare soltanto l'lddio del Patto vivente e vero, giusto e Sovrano non soltanto sopra Israele, ma su tutta la terra. Questa è una verità importante e sublime che i profeti non si stancarono mai di proclamare.
I Profeti sottolinearono la santità di Dio come il principale dei Suoi attributi. Isaia ci appare come il profeta più profondamente impressionato da questo attributo dell'Eterno. Fin dall'inizio del suo ministerio e fin dal momento in cui ha ricevuto la sua chiamata di predicatore (Isaia 6), il profeta non ha mai dimenticato che Colui che riceve le lodi d'Israele è Santo e che deve essere quindi avvicinato con rispetto e con timore da tutti coloro che l'adorano con umiltà e pentimento.
Nella predicazione profetica viene proclamata anche la Sua bontà, il Suo amore, la Sua misericordia. Questo aspetto del carattere di Dio in generale è presente in tutti ed è predominante in Isaia, a partire dal capitolo 40. Il carattere d'amore e di grazia di Dio balza fuori con forza e chiarezza nel libro di Osea. Per Osea, la divinità di Dio si manifesta non nella potenza distruttrice, ma bensì nella tenerezza della sua amorosa misericordia, che soffre per l'infedeltà del Suo popolo, ma senza abbandonarlo. Tutto il libro mette in evidenza questo fatto e il culmine è raggiunto al capitolo 14:4: "lo guarirò la loro infedeltà, io li amerò di cuore, poiché la mia ira si è stornata da loro".
In questo modo i profeti ci fanno conoscere i due aspetti del carattere di Dio: L'amore che perdona il peccatore, rispettando il suo carattere di giustizia e santità; Egli è contemporaneamente Giusto e giustificante il peccatore.
Un altro tema fondamentale e molto importante della predicazione profetica riguarda "la redenzione", che si realizza per mezzo del sacrificio, condizionato sempre dal ravvedimento e dalla fede. La legge afferma che senza spargimento di sangue non c' è remissione di peccati. I profeti raccolsero questa indicazione e la elaborarono. E in nessuna parte come nel capitolo 53 di Isaia, viene descritta la sofferenza vicaria del Signore Gesù e la riconciliazione che ne deriva. La croce di Cristo è quindi preminente nella predicazione dei profeti. Essi annunciano certamente la venuta di un Messia vittorioso e regale, ma lo presentano innanzi tutto come Colui che avrebbe riportato la vittoria a prezzo di atroci sofferenze e di una morte liberamente accettata.
"Non lo presentano come impotente vittima delle circostanze, ma come vittima espiatrice. Questo è il vero Agnello di Dio che, tramite il sacrificio della sua stessa persona, deve togliere il peccato del mondo".4

CONCLUSIONI

Arrivando alla conclusione di questo lungo scritto, vogliamo riconsiderare Mosè, i Giudici ed i profeti.

MOSÈ. Studiando la vita di Mosè vediamo che la fede gli fece seguire una via opposta al corso naturale, che lo portò non soltanto a sprezzare tutti i piaceri, le seduzioni e gli onori di una corte, ma ancor di più ad abbandonare un campo d'azione utile ed in apparenza, molto esteso. E' particolarmente interessante notare che nell'epistola agli ebrei non viene menzionato l'assassinio commesso da Mosè, ma viene esaltato il suo atteggiamento spirituale: "..Stimando il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto..Per fede abbandonò l'Egitto, non temendo l'ira del re, perchè stette costante, come vedendo colui che è invisibile". Infatti, fu la fede che gli fece seguire una via opposta alla logica umana e che lo portò non soltanto a sprezzare tutti i piaceri, le seduzioni e gli onori di una corte, ma ad abbandonare la ricchezza e la gloria dell'Egitto che in apparenza potevano sembrare molto più vantaggiose. Egli non guardò agli uomini, ma a Dio. Nel suo cuore aveva preso una decisione, aveva fatto una scelta, aveva rinunziato all'Egitto per una ricchezza maggiore.
La sapienza e la scienza umana, per quanto valore possano avere, non potranno mai fare di un uomo un servitore di Dio, né qualificare qualcuno per il servizio divino. Dio solo può suscitare e formare un vero ministro, e portandolo a frequentare la Sua scuola. Una cosa risalta in maniera chiara ed evidente nelle Scritture: Dio ha tenuto i Suoi servitori con sé, prima e dopo la chiamata al servizio, per istruirli secondo il Suo metodo e non secondo l'uomo.
Nonostante Mosè nella sua vita terrena non entrò mai nella terra promessa, Dio glielo concesse nella sua vita glorificata.
"Ma un giorno Mosè è entrato in Palestina; sul monte della trasfigurazione ha visto, nella sua umanità gloriosa, Colui che gli restava nascosto nel Sinai. E non per parlare del passato e di tutto ciò che aveva comportato la traversata nel deserto,. non per contemplare l'avvenire lontano, in cui la gloria del Figliolo di Dio brillerà nel Suo regno,. ma per parlare della sua morte che doveva avvenire a Gerusalemme. Nell'Agnello della Pasqua, nei sacrifici levitici, Mosè ne aveva presentata la figura. Ora nella realtà, Gesù era là e stava per essere presentato come propiziazione da Dio" ond'Egli sia giusto e giustificante colui che ha fede in Gesù" (Rom.3:26).5

I GIUDICI. L'autore dell'epistola agli Ebrei, nel capitolo degli esempi di fede, ricorda anche i nomi di alcuni Giudici: Gedeone, Barac, Sansone, Jefte. Dio premia la fedeltà di questi condottieri ponendoli nel libro dove si trovano i nomi degli uomini fedeli, quegli uomini che hanno. ottenuto gloriosi trionfi per mezzo della fede ed hanno glorificato Dio con la loro umile vita .
"Per mezzo della fede vinsero regni", lottarono in modo da conseguire la vittoria e sottomisero i nemici: Gedeone sgominò i Madianiti; Barac sconfisse i Cananei; Sansone sterminò i Filistei e Jefte sottomise gli Ammoniti.
"Operarono giustizia", è il caso straordinario di Debora. Dio si servì delle cose più deboli per. operare grandi prodigi. Debora agì con rettitudine, sia nella sua vita individuale, sia nell'amministrare fedelmente la giustizia del popolo quando fu chimata da Dio.
"Videro adempiute le promesse", cioè ottennero l'adempimento di promesse speciali, come nel caso di Manoa e Gedeone. "Turarono gole di leoni", come capitò a Sansone. "Divennero forti in guerra", parole che si adattano bene alle battaglie vittoriose dei giudici.
"Misero in fuga eserciti stranieri": Gedeone inseguì i Madianiti, Barac i cananei, Jefte gli Ammoniti e Sansone mise in fuga i filistei.
I Giudici hanno combattuto e ottenuto il premio per  la loro costanza. Rimangono per noi degli esempi di "uomini forti in guerra". Nella loro debolezza, la grandezza di Dio operava e mandava risvegli spirituali nel popolo intero.

I PROFETI. Come abbiamo visto, i profeti erano uomini coraggiosi, pronti al sacrificio, pronti ad ubbidire a Dio, a mettere in opera il Suo piano e a fare la Sua volontà.
Per poter svolgere un ministerio fedele come i profeti, è indispensabile che ci sia una vera chiamata da parte di Dio. Questa chiamata deve essere sentita e inarrestabile come lo fu per loro. Quanti non aspettano e non hanno tale chiamata dall'alto, introducendosi ugualmente nel sacro ministerio, il Signore dirà di loro: "lo non ho mandato loro né ho comandato loro di andare, perciò loro non saranno di profitto né a questo popolo né a nessun altro" (Geremia 23:32).
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1 - Georges Andrè: "Mosè uomo di Dio", il Messaggero cristiano, Rivoli, pag. 79 
2 - James Fraser, La Predicazione Cristiana, I.B.E., Roma, p.22 6 James Fraser Ibid. p.22
3 - James Fraser, Ibid, pag. 22
4 - James Fraser, Ibid, pag. 31
5 - Georges Andrè: "Mosè uomo di Dio", il Messaggero Cristiano, Rivoli, pag. 79