MESSAGGI  E  MESSAGGERI

DAL NUOVO TESTAMENTO

GIOVANNI BATTISTA

Il carattere di Giovanni Battista, considerato da un punto di vista morale, è certamente uno dei più belli che ci è presentato dalle Sacre Scritture. Mandato per preparare le vie del Messia, predicando il battesimo del ravvedimento, compie benissimo la sua missione. Il suo carattere, la sua vita, i suoi costumi, persino il suo nutrimento ed il suo vestire, rispondono mirabilmente alla sua vocazione divina. Egli nacque da una madre sterile, in virtù della promessa recata dal cielo per mezzo di un Angelo a Zaccaria suo padre. Quel fanciullino, frutto di un miracolo sin dai suoi primi anni, lascia intravedere ciò che sarebbe divenuto da grande. Consacrato al Signore, si astiene dal vino, si allontana dai piaceri ordinari della gioventù. Ben presto si recò nel deserto, al di là del Giordano, indossò un cilicio di pelo di cammello, che portavano gli antichi profeti, nutrendosi di miele selvatico e delle cavallette del deserto. Divenne il simbolo vivente di quel pentimento che doveva predicare. Iniziò il suo potente ministerio sulle rive del Giordano. Giovanni si qualificò: "lo sono la voce di Colui che grida nel deserto: preparate la via del Signore, addrizzate i Suoi sentieri. Progenie di vipere chi vi ha mostrato a fuggire dall'ira avvenire. Ravvedetevi perchè il regno dei cieli è vicino" (Luca 4:4- 7). Egli aveva un grande seguito quando Gesù trentenne andò al Giordano per essere battezzato.

L'IDENTITÀ DEL PREDICATORE

Il motivo che ci spinge a ricercare l'identità di Giovanni nasce dalla domanda che i Sacerdoti, i leviti, ed i farisei gli rivolsero, quando furono sorpresi dalle folle che andavano al Giordano per essere battezzate: "Chi sei? Sei forse il Cristo? Sei Elia? Sei forse il profeta? Cosa dici tu di te stesso? ." (Giov. 1:19-21). 

a. "…Io sono la voce…"

 Giovanni rispose negando di essere un noto personaggio ma, qualificò se stesso come "la voce di uno che grida": un messaggero, un predicatore. E' interessante scoprire dalle sue risposte che egli si definisce solo "la voce". Il predicatore non dà un messaggio proprio, non presenta mai la propria persona, i propri pensieri, le proprie vedute, le proprie opinioni sulla giustizia, sulla pace, sulle questioni sociali e politiche, ma riferisce ogni cosa secondo Dio. Gli insegnamenti di Giovanni Battista non erano il risultato di un ragionamento umano, ma erano strettamente collegati e molto familiari alle rivelazioni date da Dio nel passato. Essi adempivano le profezie e le speranze della vecchia dispensazione.
In Giovanni operava lo Spirito di Dio che si era rivelato in passato per la bocca degli antichi profeti. Più di settecento anni prima Isaia aveva parlato di una "voce nel deserto" (Isaia 40:3) e questa, in adempimento a tale profezia, doveva preparare la strada alla divina visitazione. Questa voce era quella di Giovanni Battista, il quale la usò tutta per proclamare la Parola di Dio, facendo risaltare la verità, nonostante i pericoli a cui andava incontro. Se al posto di Giovanni si fosse trovata una persona meno pronta a rispondere alla voce dello Spirito Santo, si sarebbe certamente sentito lusingato nel vedere tanti dignitari venuti per incontrarlo. Ma, Giovanni riconobbe la loro ipocrisia. Essi, con le loro domande cercarono di concentrare la loro attenzione su di lui. Come tutti i formalisti egli avversari del Vangelo, si preoccuparono più del messaggero che del messaggio. Giovanni non concesse loro alcuna soddisfazione, anzi come precursore, richiamò la loro attenzione su Colui che doveva venire 

b. …"Io non sono degno…" 

Sin dal principio, Giovanni dichiarò l'alto onore che era dovuto al Cristo. Egli non si piegherà dinnanzi ai re della terra: si umiliò solo al cospetto di Gesù, dichiarandosi indegno perfino di assolvere per Lui le più umili funzioni di uno schiavo. Infatti, parlando di Gesù disse che non era degno nemmeno di legargli i calzari dei piedi. Un predicatore può dire solo di non essere degno di predicare la Parola e quando Dio lo chiama, deve annunciare soltanto la Sua Parola. 

c….."io preparo la strada .." 

Giovanni parlò alle folle che gli stavano davanti e disse: "Preparate la via del Signore". Il predicatore e la sua predicazione preparano la via al Signore. Il termine usato al presente serve per dare alla predicazione l'attualità dovuta. La Parola di Dio è sempre la stessa in ogni tempo, mentre gli uomini, le donne, le circostanze della vita, i pensieri, le preoccupazioni ed i dolori mutano continuamente. La Parola di Dio è una Parola viva che parla e risponde agli uomini di ogni generazione. 

d. il centro della predicazione 

Anche il contenuto del messaggio di Giovanni era prettamente Cristologico. Ciò possiamo benissimo vederlo nel verso di Giovanni 1:29, dove ci viene detto: "Giovanni vide Gesù che veniva a lui e disse: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". Egli chiamò Gesù "l'Agnello di Dio", perchè ricordava le precedenti liberazioni, la provvidenza divina di un sostituto per Isacco (Gen. 22:8), l' Agnello il cui sangue significò la redenzione d'Israele dalla servitù d'Egitto. E ancora: "Colui che viene dietro a me è più forte di me...Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco". 

LA PREDICAZIONE DEL PENTIMENTO (Marco 1 :4) 

L'argomento della predicazione di Giovanni Battista era fondato esclusivamente sul ravvedimento. Soggetto presentato nei seguenti tre punti:
a. riconoscere e confessare i propri peccati.
Tutti coloro che accorrevano da Giovanni Battista erano chiamati a ricercare nella loro vita quelle cose che li avevano condotti a trasgredire la legge di Dio. Il primo passo del pentimento è riconoscersi colpevoli confessando a Dio le proprie mancanze.
b. Sentire il timore della condanna.
La Scrittura insegna che il castigo riservato dal Giusto Giudice è una condanna con pene eterne. L'uomo quindi che sente di essere un peccatore, sente anche che il suo stato di peccato porta ad una condanna eterna. L'uomo che scopre di essere un peccatore trema al giudizio che pende sul suo capo, e nello spavento eleva un grido, come i peccatori che accorrevano da Giovanni: "che devo fare per fuggire dall'ira a venire".
c. "Rinuncia al peccato per vivere una nuova vita santa.
La predicazione di Giovanni ha insegnato proprio questo quando dice: "fate frutti degni del ravvedimento". E quando la folla gli domanda: "che faremo noi?" egli risponde: "Chi ha due vesti ne dia una a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia 10 stesso" Il pentimento, dunque, è cambiamento in frutti di carità e santificazione. 

GLI APOSTOLI

 ETIMOLOGIA DEL TERMINE "APOSTOLO" 

Per comprendere meglio il significato di quest'appellativo, dato da Gesù stesso ai suoi discepoli, bisogna rivolgersi ancora una volta allo studio dei termini originali. Essi sono tre: a0pòstolos, exapostèllo, apostello.
- "Apòstolos", indica nel greco classico "comandante di una spedizione navale", "ammiraglio". La forma femminile viene generalmente usata nella letteratura greca per indicare una "spedizione navale", l'invio di una flotta armata. L'aggettivo "inviato" indicava una nave mandata per portare gli ordini del comandante della flotta. La versione dei LXX porta una sola volta questo termine (l Re 14:6), nel senso che orienta già verso quel significato che avrà nel Nuovo Testamento, cioè "colui che viene inviato". Nella letteratura greca classica, Erodoto fu il primo ad usare il termine nel senso di messaggero e di inviato, dimostrandoci così come se esistesse un fondamento perchè il vocabolo venisse usato nel significato che noi gli riconosciamo: messo, mandato, messaggero, inviato.
- "Apostèllo": termine composto dal verbo stello (istallare, erigere, predisporre) e dalla preposizione apò (distacco, allontanamento), significa mandare, mandar via, spedire. Il suo significato è molto importante, in quanto stabilisce un intimo rapporto tra il mandatario e l'inviato che riceve l'incarico di rappresentante del primo. L'espressione non indica un ufficio continuato, ma designa l'espletamento di una funzione che è delimitata, sia in quanto al tempo che al contenuto, da un ben preciso incarico e termina perciò col suo adempimento.
- "Exapostello": rilasciare, emettere, inviare; viene usato insieme ad apostello per significare fondamentalmente "lasciar andare, inviare".


GLI APOSTOLI NEI VANGELI

 a. L 'uso del termine "apòstolos" Questo termine è usato nei Vangeli solamente nove volte. Come è stato già fatto notare, tale termine nel N. T. assume il significato di messaggero, mandato, inviato. Luca che lo usa per sei volte lo applica sempre esclusivamente ai 12, tranne nel passo di 11:49 dove il termine ha un valore più estensivo; possiamo così trarre le seguenti conclusioni:
1. Sono chiamati nel loro ufficio da Gesù (6:13)
2. Riferiscono l'esito della missione a Gesù (9:10)
3. rivolgono le loro preghiere a Gesù (17:5)
4. Godono di una comunione intima con Gesù (22:14)
5. Vengono avvisati della resurrezione di Gesù (24:10) prima che Egli apparve loro (24:36 segg; Atti 1:3)
Stranamente il termine "apostolo" compare altre tre sole volte negli altri Vangeli:
1. Giov.13:16; non possiamo soffermarci a lungo su questo passo, perchè va al di fuori del concetto specifico di un ufficio, e più che altro puntualizza il rapporto gerarchico fra il messo e il suo mandante.
2. Matt.10:2; in questo passo viene citato l'elenco dei discepoli inviati in missione.
3. Marco 6:30; qui Marco indica i discepoli con il termine Apostoli, dopo che questi hanno adempiuto il compito affidato loro da Gesù.
Prima di esaminare lo sviluppo dell'ufficio di apostolo nel libro degli Atti e nelle Epistole Paoline, dove acquista un altro significato, oltre a conservare quello originale che nell'insieme stabiliscono il concetto globale di questo aspetto del ministerio della Parola, facciamo qualche riflessione sulla vita di questi uomini riportati nei Vangeli.
Gesù riunì intorno a sé, sin dall'inizio della sua attività, discepoli da Lui scelti, per seguirlo ed ascoltarlo. Questi uomini accettarono di separarsi dalle loro famiglie e dai loro paesi, dando così al Signore la possibilità di formarli nel corso del suo ministerio terreno. Certamente Gesù ebbe da lavorare con la vita di questi uomini bisognosi di un profondo rinnovamento: le loro convinzioni religiose dovevano essere trasformate, i loro usi e le loro tradizioni dovevano essere tolti, profezie e rivelazioni scritturali dovevano essere chiarite e così via. Gesù con tanta pazienza e soprattutto con amore fece di loro gli araldi per continuare la Sua opera anche dopo la Sua ascesa al Padre, mediante la guida dello Spirito Santo.


LA PREPARAZIONE DEI DODICI 

Per la prosecuzione della Sua missione, Cristo non si servì ne degli uomini colti ed eloquenti del sinedrio giudaico, ne di nessuna potenza terrena, ma scelse uomini semplici, modesti e umili. Il Maestro si proponeva di prepararli ed educarli per essere guide della Sua chiesa in modo da poter, a loro volta, istruire altri ed inviarli a recare il messaggio evangelico.
Per tre anni i discepoli furono a scuola dal più grande Insegnante che il mondo abbia mai conosciuto, il quale vivendo in contatto con loro, li istruì al servizio divino. Giorno dopo giorno vivevano e camminavano con Lui, ascoltando parole di incoraggiamento rivolte agli stanchi ed agli afflitti e di esortazione per gli ipocriti e gli increduli, vedendo la manifestazione della Sua potenza essendo sempre con Lui durante il Suo cammino sulla terra.
Come testimoni di Cristo, i discepoli dovevano annunciare al mondo ciò che avevano visto ed udito da Lui. Durante la missione terrena, Gesù iniziò a demolire il muro che separava i Gentili dai Giudei predicando la salvezza universale, facendo comprendere ai suoi discepoli che il regno di Dio non aveva un confine territoriale, ma che occorreva recarsi in tutte le nazioni per far conoscere l'amore del Salvatore. r:Apostolo Paolo chiarifica questa realtà: "I gentili sono eredi con noi...e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante l'Evangelo" (Efesini 3:6). Tale verità venne parzialmente rivelata quando Gesù premiò la fede del centurione di Capernaum, come anche quando predicò il Vangelo agli abitanti di Sicar. Fu ancora più esplicito quando in Fenicia guarì la figlia della Cananea.


IL GRANDE MANDATO 

Il gran mandato che Gesù diede fu quello del passo contenuto in Matteo 28:19-20: "Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro d'osservare tutte quante le cose che v'ho comandate". Queste parole Gesù le riferì agli undici in Galilea, e la Sacra Scrittura dice: "Sul monte che Gesù aveva loro designato". Invece, i passi di Marco 16: 15: "Andate per tutto il mondo e predicate l'Evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato" e di Luca 24:46-48: "Così è scritto, che il Cristo soffrirebbe, e che nel Suo nome si predicherebbe ravvedimento...Ora voi siete testimoni di queste cose", si uniscono con quelli di Matteo 28:19-20 circa la testimonianza che dovevano rendere i discepoli. Queste parole vennero pronunciate da Gesù a Gerusalemme, probabilmente in quella stanza dove avevano consumato l'ultima cena. Questa volta non vi erano soltanto gli undici, ma anche i due discepoli della via d'Emmaus. Questi, infatti, dopo l'incontro con Gesù ritornarono a Gerusalemme e trovarono adunati gli undici. Fu qui che Gesù si presentò in mezzo a loro dicendo: "Pace a voi", proprio mentre i discepoli discorrevano, dice la Scrittura, sull'apparizione che ebbero i due sulla via di Emmaus.Il passo di Giovanni 15:26-27: "..lo Spirito della verità che procede dal Padre, Egli testimonierà di me, e anche voi mi renderete testimonianza, perchè siete stati con me fin dall'inizio" è invece anteriore alla morte, e quindi alla resurrezione. Infatti, le parole molto conosciute di Atti 1:8: "Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in Giudea, e in Samaria, e fino all'estremità della terra" furono dette da Gesù sul monte degli Ulivi, rivolgendosi, con queste, non solo ai discepoli della via d'Emmaus ma a tutti i presenti, i quali erano ben cinquecento.

 GLI APOSTOLI NEGLI ATTI E NELLE EPISTOLE 

Oltre ai dodici, a Paolo, con la sua esclusiva vocazione per i pagani (Rom.1:5; I Cor.9:5), vengono menzionati come apostoli, negli Atti e nelle Epistole, anche Barnaba (Atti14:14; I Cor.9:5-6), Giacomo (Galati 1:19) e Giunio ed Andronico (Rom.16:7). Inoltre, tale termine è usato anche per indicare persone delegate o inviate dalle chiese per un servizio specifico. A tale proposito abbiamo due esempi: quello di Tito in II Cor. 8:23: "..essi sono gli inviati delle chiese..", il cui termine usato, "apostoloi", è tradotto con "inviato", e quello di Epafrodito in Filippesi 2:25: "..mio collaboratore e commilitone inviatomi da voi..", dove anche qui il termine "apostolon" è tradotto con inviatomi.
Da questa analisi si possiamo individuare due tipi di Apostoli: a. Apostoli del fondamento: "essendo stati edificati sul fondamento degli Apostoli e dei profeti.." (Efesini 2:20). Sono considerati apostoli del fondamento coloro che hanno ricevuto la chiamata personalmente da Gesù durante il suo ministerio terreno, lo hanno seguito e sono stati testimoni della resurrezione.
Quando Pietro parlando ai centoventi, disse che dovevano scegliere il sostituto di Giuda, indicò delle caratteristiche che dovevano possedere coloro tra i quali doveva eseguirsi la scelta: "Bisogna dunque che tra gli uomini che sono stati in nostra compagnia tutto il tempo che il Signor Gesù è andato e venuto tra noi, a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno che Egli, tolto da noi, è stato assunto in cielo, uno di noi sia fatto testimone con noi della resurrezione di lui".
Colui che doveva prendere il posto di Giuda doveva essere scelto tra quelli che, insieme a loro, erano stati con Gesù "tutto il tempo" del Suo ministerio, dall'inizio alla fine, testimoni anche della Sua resurrezione .
b. Apostoli dell'edificio; A questa categoria appartengono tutti coloro che non hanno le caratteristiche dei precedenti, ma svolgono il loro ministerio come mandati. Oltre a fondare chiese, le confermavano e le istruivano nella sana dottrina e nella condotta cristiana (sopra abbiamo visto gli esempi Biblici).


IL LORO MESSAGGIO

 La predicazione degli apostoli è stata da sempre un modello e una fonte d'ispirazione, un potente stimolo per la chiesa cristiana di ogni tempo.
Secondo Paolo, la predicazione precedeva tutti gli altri aspetti del suo ministerio apostolico (I Cor. 1: 17) e costituiva il mezzo per "pagare" il suo debito. Il suo intenso desiderio di predicare l'evangelo (Romani 1:14), scaturiva dalla consapevolezza di dovere tutto all'Evangelo della grazia di Dio manifestatasi in Cristo Gesù. Infatti, il pagamento di un debito costituisce un obbligo che lega una persona ad un'altra. Questa convinzione che era anche condivisa da tutti gli altri apostoli (Atti 6:4 ), fece della predicazione l'attività principale di tutta la chiesa apostolica.
Le domande a cui dobbiamo dare una risposta in questo capitolo, sono le seguenti: Qual era il messaggio dei primi predicatori e come proclamarono Cristo e la Sua opera?
Abbiamo visto già in precedenza che "kerygma" è il termine designato per indicare il contenuto del messaggio e descrivere l'opera di un araldo, non tanto come azione, ma quanto ciò che egli proclama, il suo messaggio. Per conoscere il Kerygma nella predicazione apostolica, le Scritture ci offrono una vasta libertà di scelta. I più appropriati, pensiamo, siano i discorsi attribuiti a Pietro (specialmente il sermone nel giorno della pentecoste e a casa di Cornelio), e i passi molto noti di I Cor.1:23 e segg, 15:3 e segg.; Rom.1 e 2; 4:25; 10:8 I Tess 1:10 ecc.
Confrontando questi discorsi con i testi Paolini, le linee del Kerygma apostolico cominciano ad emergere. Accostiamoci, per cominciare al sermone di Pietro del giorno della pentecoste. Il Kerigma inizia affermando che le promesse dell' Antico Patto sono state compiute e che la nuova dispensazione è giunta con l'avvento di Gesù Cristo. Egli assicura al suo uditorio che essi sono testimoni del compimento di ciò che il profeta Gioele aveva annunciato alcuni secoli prima (Atti 2:16). r.:effusione dello Spirito di Dio "sopra ad ogni carne", promessa da molto tempo è divenuta una realtà, ciò vuoI dire che è giunto il giorno in cui "chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato". In seguito, Pietro collega questo agli avvenimenti accaduti ai loro giorni riguardanti Gesù di Nazareth, tratteggiando i punti più salienti della Sua vita: il suo battesimo, il suo ministerio, le sue opere potenti (v. 22). Insiste sul fatto che Dio tiene sovranamente il potere, compiendo i Suoi propri disegni, anche quando Gesù fu ingiustamente e iniquamente messo a morte con la crocifissione (v. 23). Afferma che Dio ha resuscitato Gesù dai morti e che ciò era in accordo con quanto Davide aveva predetto nel Salmo 16 (v. 24segg.). Inoltre egli annunzia che l'innalzamento di Gesù resuscitato alla destra di Dio è il compimento delle affermazioni del Salmo 110 (v. 24 segg.). Infine, termina con un riferimento allo Spirito Santo e al ritorno di Cristo. Quindi il Kerygma apostolico, pur avendo anche un aspetto dottrinale, apologetico ed esortativo, conserva una natura nella quale spicca la caratteristica più importante, cioè il suo contenuto evangelistico, che raggiunge il suo punto culminante nell'esposizione della resurrezione. Infatti, non solo veniva proclamato che Gesù era vivente in quanto Dio lo aveva resuscitato dai morti (Atti 2:23-26; 3:15; 4:10; 4:33; 5:30; 10:40; 25:19), ma era inoltre parte integrante del messaggio, l'annuncio di una resurrezione dai morti che avrebbe riguardato gli esseri umani (Atti 4:2; 10:40-42; 17: 18,31-32). Il secondo sermone che Pietro ebbe possibilità di predicare, fu in seguito alla guarigione dello zoppo avvenuta nei pressi della porta del tempio detta "bella" (Atti 3:2). La guarigione miracolosa, infatti, oltre ad attirare una grande moltitudine offrì a Pietro l'occasione di proclamare un altro sermone. Egli, usò lo stesso modello del precedente, sottolineò che Dio "ha glorificato il suo servitore Gesù", quello che essi avevano rinnegato e avevano consegnato per essere messo a morte (3:13). Egli spiegò anche che ciò che era accaduto al Cristo era il compimento di ciò che era stato annunziato in precedenza per bocca di tutti i suoi profeti, cioè che il Cristo doveva soffrire(v. 18 segg.). Aggiunse che Gesù era un profeta, venuto da parte di Dio, che Egli aveva già promesso di mandarlo per bocca di Mosè; che tutti i profeti, da Samuele in poi, l'avevano proclamato, e che l' Antico Patto di Dio con Abramo, secondo il quale "nella sua discendenza sarebbero benedette tutte le famiglie della terra", trovava il suo compimento in Gesù (v22; cfrDeut.18:1-5; Gen.22:18).
Della stessa forma e struttura è il sermone di Paolo predicato nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, indirizzato ad un uditorio giudeo. Egli ricordò loro gli atti redentori di Dio nel corso della storia della loro nazione e annunziò Gesù di discendenza davidica, come il Salvatore promesso, la cui venuta era attesa da tempo. Spiegò poi che consegnando Gesù a Pilato per essere messo a morte nonostante la sua innocenza, i loro compatrioti avevano involontaria- mente compiuto tutto ciò che era stato scritto dai profeti a Suo riguardo. Affermò quindi che Dio lo aveva risuscitato e glorificato, in perfetto accordo con le Scritture (Salmo 2:7; Es. 53:3; Salmo 16:10). Li invitò inoltre a credere in Gesù ed ad entrare nella pienezza della libertà, che non si trova che in lui solo (v.39), avvertendoli nello stesso tempo delle pericolose conseguenze che comporterebbe il disprezzo della Buona Novella che annunziava loro (v.40). Il risultato della predicazione fu che alcuni credettero e seguirono Paolo e Barnaba, che li esortavano a perseverare nella grazia di Dio (v.41), altri chiesero di ascoltare di nuovo il messaggio (v.43) ed altri ancora "furono ripieni di invidia, e bestemmiando contraddicevano la cose dette da Paolo" (v.45).
Dalla rassegna sommaria che abbiamo appena fatto dei sermoni apostolici, anche se riportata in modo molto ridotto, possiamo benissimo affermare che qualsiasi discorso pronunciato degli apostoli, aveva come scopo ultimo la salvezza delle anime attraverso la fede nella persona e nell'opera di Gesù, "..affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figliolo di Dio, e affinché, credendo abbiate vita nel suo nome" ( Giovanni 20:31 ).


3.C. I CREDENTI 

Come abbiamo visto nel paragrafo relativo agli apostoli, il gran mandato, fu affidato non soltanto ai discepoli, ma anche ai cinquecento fratelli insieme, e quindi a tutti. Il grande mandato è affidato alla Chiesa, cioè ai "chiamati fuori", a coloro che sono stati tratti da parte per portare questo lieto messaggio. Tratti da parte, costoro sono chiamati a separarsi dal peccato, col fine di santificarsi, non rifugiandosi in posti solitari, ma vivendo nel mondo a contatto con i propri simili. I'apostolo Paolo afferma che "noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo". L'ambasciatore è una persona autorizzata a rappresentare un sovrano in terra straniera e, cioè, il primo cittadino. Il grande mandato non è un'opzione, una scelta facoltativa del cristiano, ma un comando dato da Gesù. Non è neanche l'occupazione di pochi specialisti, da attuarsi in particolari occasioni o periodi, ma è l'impegno costante di ogni membro del Corpo di Cristo.
Il compito dei messaggeri o degli ambasciatori è: andare, ammaestrare, battezzare.


I SEGNI CHE SEGUONO (Marco 16:15-20)

 Il termine greco tradotto "segni", nel V 17, è lo stesso usato per indicare i segni compiuti da Gesù (Giov.2:11). Questi, sono opere soprannaturali che confermano la verità proclamata dai credenti. La fede in Cristo è la base per questo ministerio miracoloso: ogni miracolo viene compiuto nel Suo nome, con la Sua autorità e per mezzo della potenza che viene da Lui.
I segni accompagnano la Parola predicata, infatti, il carisma dei miracoli non è collegato ad una persona specifica, ma si manifesta come gli altri carismi dello Spirito Santo nell'ambito dell'assemblea locale che offre il proprio culto a Dio. I segni servono per dimostrare a coloro che ascoltano il messaggio, che il mandato viene da Dio, proprio come per i profeti i quali, traevano da questi il loro credito. I segni di cui ci parla Gesù sono:
- "Essi cacceranno i demòni.".
La chiesa del primo secolo si trovò costantemente davanti all'opposizione dei demoni, ma ciò avviene anche oggi. Nessun rito programmato da un uomo può liberare le vittime da tale possessione, ma, nel nome di Gesù persino i demoni tremano (Giacomo 2:19).
- "Parleranno in altre lingue".
Questo segno ebbe inizio il giorno della pentecoste, continuò attraverso tutto il libro degli Atti per poi ritrovarlo nelle epistole. I credenti che 10 sperimentavano parlavano in altre lingue e ciò avviene anche oggi.
- "Prenderanno in mano dei serpenti; e se pur bevessero alcunché di mortifero non ne avranno alcun male".
Paolo a Malta fu colto all'improvviso da un morso di una vipera. Ma contrariamente a quanto si aspettavano gli abitanti dell'isola egli rimase in vita e getta il rettile nelle fiamme come se nulla fosse. (Atti 28:1-6) Anche oggi è capitato a credenti di rimanere immuni in corso di avvelenamento. Ma, in modo particolare, Dio dà al credente di restare illeso dal serpente antico: il tentatore. Quando egli si avventa sui credenti, in Cristo lo possiamo scuotere via, senza conseguenze negative.
- Imporranno le mani agli infermi ed essi guariranno".
Guarire i malati è un segno che accompagnò costantemente sia il ministerio di Gesù, sia quello della chiesa del primo secolo. Questo, come del resto tutti gli altri segni, richiede l'esercizio della fede e di colui che impone le mani e di colui che ne riceve l' imposizione. Inoltre dobbiamo sempre tenere nella mente il principio biblico per l'attuazione di questi carismi che, secondo I Corinzi 14:26, i doni devono essere esercitati nella comunità e per la comunità affinché essa ne riceva edificazione. Dio non usa i carismi per guidarci personalmente, ma si serve della Sua Parola, del Suo Spirito e delle circostanze per esortarci ed edificarci. Inoltre le guarigioni non si ottengono esclusiva- mente per la proporzione della fede di colui che esercita il carisma, ma anche, e sopratutto, essa segue l' annuncio della Parola per confermare la verità, come in Matt. 8:16 e in Giov. 5:6-9.
La promessa di tutti questi segni è fatta a "coloro che credono". E' assolutamente contrario alle Scritture limitare questi segni alla chiesa del primo secolo, ma, essi sono anche per noi e stanno avendo luogo in ogni parte del mondo.


ALCUNE TESTIMONIANZE 

La testimonianza di Stefano Quest'uomo, che apre la lunga serie dei testimoni di Gesù Cristo, e che, per primo, versò il suo sangue per la causa dell'Evangelo, suscitò particolare interesse. Egli è un esempio di quello che può fare il Signore attraverso i credenti ripieni dello Spirito Santo. Dalla sua storia possiamo conoscere: il suo carattere caritatevole, zelante e coraggioso (Cap.6), la sua difesa (Cap.7:1-53) e la sua morte (Cap.7:54-60).
Egli venne chiamato al diaconato dall'assemblea di tutta la chiesa perchè la sua vita rispondeva alle richieste poste dagli Apostoli: buona testimonianza (Atti 6:3), ripieno di Spirito Santo e di sapienza (Atti 6:3,5,10). Ma, è proprio con la sua testimonianza pratica che rivela il possesso di tali requisiti, in quanto egli dimostrava la pienezza dello Spirito "con gran prodigi e segni" (Atti 6:8).
La testimonianza di Filippo Filippo era un altro di quei sette diaconi eletti nel capitolo 6. Egli venne chiamato "l'evangelista" per i suoi viaggi missionari e Dio se ne usò per la conversione di molte persone (Atti 8). Era un testimone pronto ad ubbidire alla volontà di Dio (Atti 8:26,29), vivendo in un' intima e profonda comunione con Lui. Infatti, il termine "rapito" di atti 8:29 usato nel suo caso, traduce l'originale "harpazo" che significa "afferrare, portare via improvvisamente". Ciò ci parla di un'unione profonda di Filippo col Signore. Egli era un araldo che rendeva noto il volere di Cristo (Atti 8:5) e lo faceva in modo semplice. Tale affermazione trova la conferma in Atti 8:6, dove vediamo che le folle comprendevano il suo messaggio chiaramente.
Nel capitolo otto, inoltre, troviamo il contenuto del suo messaggio: egli predicava la Parola di Dio (v.4), faceva di Cristo il centro del suo messaggio rivelandolo quale Messia e Figlio di Dio (v.5), annunziava la buona novella relativa al regno di Dio (v .12) ed esaltava il nome che è al disopra di ogni altro nome (v.12).
Quale entusiasmo doveva animare le folle che si raccoglievano attorno a Filippo, mentre egli predicava la salvezza! Tra le urla dei demoni che lascia- vano i posseduti e le grida di gioia degli zoppi e dei paralitici che potevano di nuovo correre e saltare, sarebbe stato difficile per chiunque restarsene quieto ed indifferente. C' erano però anche dei periodi di calma nei quali, secondo quanto leggiamo, essi: "prestavano attenzione alla Parola" (Atti 8: 12). Il risultato di questa missione fu molto di più che una semplice passeggera eccitazione: una nuova, traboccante e duratura gioia fece vibrare i cuori di tutti i suoi ascoltanti.
La testimonianza dei credenti Sovente troviamo menzionati nella Parola di Dio gruppi di discepoli portatori del messaggio, che non facevano parte degli Apostoli. Questo è il caso di quei discepoli che annunciarono il messaggio nella città di Antiochia. Essi erano persone semplici, che la Bibbia chiama "alcuni di loro" (Atti 11:20).
Non erano discepoli con posti o ruoli prestigiosi, non erano degli "Apostoli", non erano "diaconi"; erano dei semplici "fratelli", della chiesa gerosolimitana di origine Cipriota e Cirenea che avevano chiaramente capito cosa fosse il sacerdozio universale dei credenti e sapevano che l'Evangelizzazione non è il privilegio di pochi, ma il dovere di tutti.


CONCLUSIONI 

Giovanni Battista fu il primo ad annunciare il regno di Cristo e pagò con la vita la sua fedeltà. Molti sono pronti a giudicarlo dubbioso durante il suo arresto. Costoro però non pensano che si trovava in catene proprio perchè fu fedele alla sua missione. Giovanni non avrebbe mai acconsentito ad inchinarsi alle richieste dei potenti della terra, così come fecero i tre giovani ebrei quando non vollero adorare la statua del re Nebucadnetsar. La fede di Giovanni era senza alternative, il suo pensiero era: "Dio mi può liberare, ma se non lo farà non torno indietro". Gesù, non lo liberò dal carcere perchè sapeva che avrebbe superato la prova.
Egli esaltò la persona ed il ministerio di Giovanni Battista: "ma che andaste a vedere? Un Profeta? Si, ,vi dico è uno più che profeta..Fra i nati di donna non ve n'è alcuno maggiore di lui". Nell'annuncio a Zaccaria, prima della nascita di Giovanni, l' Angelo aveva dichiarato: "Poiché sarà grande nel cospetto del Signore" (Luca 1:15). La grandezza di Giovanni nel cospetto del Signore non fu la ricchezza, né la capacità intellettiva, né la posizione di prestigio, ma la dote che egli aveva di fedeltà e di purezza. Giovanni fu grande al cospetto del Signore quando, davanti a persone, di diverse classi sociali e davanti ai suoi discepoli, non ricercò mai il proprio onore ma orientò i suoi discepoli verso Gesù, il Messia promesso. Il suo era un servizio davvero disinteressato, senza fini personali.
Coloro che avevano udito Giovanni parlare di Gesù, dissero dopo la sua morte: "Giovanni, è vero, non fece nessun miracolo; ma tutto quello che Giovanni disse di quest'uomo, era vero" (Gio.l0:41). Non fu dato a Giovanni di far scendere del fuoco dal cielo o di risuscitare i morti, come fecero alcuni dei profeti. Egli fu inviato per annunciare l'avvento del Signore e preparare un popolo per la sua venuta. Aveva adempiuto la sua missione così fedelmente che quando il popolo si ricordò quello che aveva detto di Gesù dissero: "tutto..era vero".
Ogni araldo del Divino Maestro dovrebbe dare una simile testimonianza.


DAGLI APOSTOLI E DAI CREDENTI 

Le parole che Gesù rivolse ai suoi discepoli subito dopo l'incontro col giovane ricco: "..quanto malagevolmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio", suscitano in Pietro il desiderio di sapere quale sarà il premio che ne riceveranno per aver seguito il Maestro: "Ecco noi abbiamo lasciato ogni cosa e t'abbiamo seguitato".
Da uno studio attento della Parola si trova la risposta per Pietro e per tutti coloro che rispondono alla chiamata del Signore. Gesù ha promesso gloriose ricompense ai Suoi: ricompense spirituali: gioie, soddisfazioni, benedizioni ecc., ricompense eterne: riconoscimento davanti a Dio e Corone di gloria.
La gioia ineffabile sta nella promessa fatta da Gesù ai Suoi discepoli: "Io sono con voi" (Matt.28:20). Ci possono essere occasioni in cui sembra che la nostra testimonianza raggiunga orecchi sordi, pur non incontrando evidente ostilità; in questi momenti è incoraggiante sapere che la presenza del Nostro Signore è con noi. Anni dopo essere andato a Corinto, Paolo confessò di averlo fatto con un forte senso di paura e di apprensione (I Cor.2:3). Nemmeno gli Apostoli erano esenti da tali stati d'animo! Il Signore sapeva come l'Apostolo era sfinito a causa dei contrasti che aveva dovuto affrontare, sapeva anche del pericolo fisico che egli correva e perciò nella notte lo rassicurò e lo fortificò con la certezza della Sua presenza. Un'altra gioia che si riceve sulla terra viene dalle persone che raggiungono la salvezza per la perseveranza dell'annuncio. Il Ministerio dell'Apostolo Paolo era stato segnato da dure prove, ma guardando le persone che egli aveva condotto a Cristo, ogni ricordo di quei problemi scompariva potendo affermare che i credenti erano la sua corona che egli avrebbe portato per tutta l'eternità.
Un'altra importante ricompensa è il riconoscimento davanti a Dio (Matt.10:32-33; Luca 12:8). Gesù presentò due alternative, che sono entrambe il risultato della relazione che si ha con Lui: chi confessa Cristo pubblicamente, Cristo lo riconoscerà davanti al Padre ed agli angeli; chi rinnega e ripudia Cristo pubblicamente, sarà ripudiato in cielo.
Infine la Bibbia parla di Corone che riceveranno i credenti (II Tim. 4:7; Giac.1:12; I Pietro 5:4).
Ad ogni credente è stata promessa una corona celeste ed eterna. I tre passi citati parlano della corona della vita, di giustizia e della gloria. Dal momento della sua conversione fino al suo ultimo respiro, la vita di Paolo fu spesa per testimoniare di Cristo. Quando egli comprese che il suo martirio era vicino, si rallegrò nella certezza che avrebbe presto ricevuto la sua ricompensa. Il termine tradotto "corona", in II Tim. 4:8, si riferisce alla corona posta sul capo dei vincitori nelle competizioni atletiche. Paolo non si vedeva soltanto come un soldato che aveva combattuto il buon combattimento, ma anche come un corridore che aveva corso e finito con successo la sua corsa. La corona gli sarebbe stata assegnata dal Signore in persona, sarebbe stata una corona di giustizia poiché, nonostante l'odio dei suoi nemici, l'Apostolo era in Cristo e quindi considerato giusto da Dio.
In Apocalisse 2: 10, Gesù parla della corona della vita promessa a quei cristiani che avrebbero affrontato la prigione e forse anche il martirio, rassicurandoli che la morte fisica non può togliere loro la corona della vita eterna. Ai cristiani spesso provati duramente, Giacomo presenta la stessa corona, che li attende alla fine della battaglia di questa vita.
Queste ricompense sono per tutti i credenti che assumono con gioia le proprie responsabilità come testimoni di Cristo, sapendo che Egli li ricompenserà sulla terra e nel cielo.


ATTUALITA' DEI MESSAGGERI E DEL MESSAGGIO 

In ultima analisi diciamo che, il fenomeno dei falsi messaggeri è ancora presente nella Chiesa di oggi. Essi sono i nemici sempre in agguato verso coloro che sono esposti e chiamati a predicare la Parola di Dio nel loro tempo e fra gli uomini del loro tempo.
Oggi giorno, culti e sette, creano una tale confusione religiosa forse mai verificatasi in altri tempi. Una parte sempre crescente dell'umanità s'interessa ai culti non cristiani o pseudocristiani. E' da far notare che le nuove sette sorgono sempre a causa di falsi messaggeri che si dichiarano illuminati da Dio. In questo caos il vero messaggero deve continuare a far emergere la verità biblica per glorificare la persona divina di Gesù Cristo. Ecco letteralmente un'affermazione di Spurgeon:
"Come oratori vi posso dire di essere io persuaso che noi dovremmo prepararci con diligenza, e fare tutto il nostro meglio nel servizio del nostro gran Maestro.
Credo aver letto che quando un manipolo di greci guardava a guisa di leoni il passo contro i persiani, una spia, venuta per vedere cosa ivi facessero, ritornò rapportando al gran re che erano povere creature, perchè stavano acconciando le loro capigliature. Il re però vide le cose nella loro vera luce, allorché venne a giudicare che un popolo il quale si dava tempo nell'acconciare i capelli prima della battaglia, aveva messo un gran valore sul suo capo, e non lo avrebbe abbassato per una morte codarda. Se ben ci curiamo di usare il nostro miglior linguaggio nel proclamar le verità eterne, i nostri avversari avranno campo di dedurre che esercitiamo ancor maggior studio per le dottrine medesime. Non dobbiamo essere soldati sciattoni, lorchè ci si presenta un gran combattimento, perchè questo avrebbe l'aria di scoraggiamento. Nella pugna contro le false dottrine, contro la follia mondana e contro il peccato, noi avanziamo senza timore dell'esito finale, e perciò il nostro parlare non sia quello di una passione smaniosa, ma di un principio ben considerato".
Le ultime parole di questa citazione ci dicono che il compito del predicatore è un compito delicato, difficile e di grande responsabilità, perchè si tratta del destino eterno delle anime. L'annunzio della Parola di Dio richiede molta sensibilità spirituale da parte del predicatore. Egli si trova davanti ad ascoltanti diversi l'uno dall'altro, ognuno dei quali ha dei problemi particolari di carattere spirituale, fisico, materiale e morale. Costoro guardano con ansia ed interesse il predicatore, e si chiedono ogni qualvolta si recano nelle adunanze: I!Avrà oggi una parola da parte del Signore per il mio bisogno?1! Si, anche i credenti hanno dei particolari bisogni! Allora come potrà un predicatore rispondere ai vari bisogni dell'uditorio? Come il messaggio potrà arrivare al cuore degli astanti? Per adempiere bene a questa alta responsabilità si deve ricorrere ai mezzi che Dio stesso mette a disposizione per coloro che predicano la Sua Parola. Essi sono di somma importanza:
1) La Parola di Dio;
2) Lo Spirito Santo


LA PAROLA DI DIO

 La Parola di Dio è l'arsenale del predicatore. Soltanto in essa si trova la potenza per risolvere i vari bisogni dell'uomo. A riguardo Spurgeon diceva: "Se altri hanno altra riserva, confesso subito che io non ne ho e null'altro avrò da predicare una volta terminato questo libro. Infatti non posso avere alcun desiderio di predicare, se non posso continuare a spiegare i soggetti che trovo in queste pagine. Qual'altra cosa vale la pena essere predicata? Fratelli, la verità di Dio è l'unico tesoro che cerchiamo, e la Scrittura è l'unico campo da cui la sterriamo".
Nelle Sacre Scritture abbiamo la completa rivelazione e non ci occorre nulla di più di quanto Dio ha voluto rivelarci. False dottrine continueranno ancora a sorgere ma la Parola di Dio continuerà a vincere i suoi infiniti nemici.
Un teologo disse: "Una volta morti i suoi nemici presenti, le loro orazioni funebri si ricaveranno da questo libro, senza omettere linea, dalla prima pagina della Genesi all'ultima dell'Apocalisse".
L'allontanarsi della gente dal sentire l'Evangelo, è ampiamente spiegato dal triste fatto, che non è sempre questo che sentono quando si recano in qualche posto di culto; ed ogni altra cosa non risolve e non sovviene al bisogno delle loro anime. Noi crediamo all'ispirazione verbale e plenaria delle scritture e che soltanto in questo libro vi è infallibilità. Pertanto i predicatori hanno l'obbligo di non lasciare nessuna verità nell'ombra per non rendersi colpevoli dinnanzi a Dio di eventuali decadimenti spirituali.


LO SPIRITO SANTO 

Il compito del predicatore non è solo quello di dare giuste informazioni religiose, bibliche, dottrina li e storiche, ma di raggiungere il cuore dell'uomo. Per poter raggiungere questo scopo Dio ha dato lo Spirito Santo come guida, in quanto Egli stesso conosce le debolezze dell'uomo e la sua incapacità nell'adempiere l'incarico di annunciare l'Evangelo "che è potenza di Dio per la salvezza di ogni credente" (Rom.8:14). L'Evangelo deve essere predicato nella potenza di Dio tramite l'unzione dello Spirito Santo che agisce in diverse maniere:


PREPARAZIONE DELLE PREDICHE. 

Il significato dei testi si riceve con la guida dello Spirito Santo. E la guida dello Spirito Santo è strettamente legata con la vita di preghiera.
"Il predicatore è al di sopra di tutti gli altri, distinto come un uomo di preghiera. Se prega come un ordinario credente, egli è anche un ipocrita. Se non prega più che un ordinario credente, egli è squalificato dall'ufficio che ha intrapreso…La preghiera è l'attrezzo del grande vasaio per il quale Egli modella il vaso…La preghiera è un esercizio che porterà molti soggetti davanti alla mente, così aiuta nella selezione di un argomento, mentre come un elevato impegno spirituale purificherà il vostro sguardo profondo, affinché possiate vedere la verità alla luce di Dio. Spesse volte alcuni testi rifiuteranno di rivelare i loro tesori fino a che loro si aprono con la chiave della preghiera. Come meravigliosamente furono aperti i libri a Daniele quando egli fu in supplicazione".


SUL PULPITO SI DEVE DIPENDERE DALLO SPIRITO SANTO. 

La caratteristica principale che distingue il predicatore è l'estemporaneità. Oltre alla giusta preparazione tenuta in disparte con la preghiera e lo studio, nell'esposizione del messaggio lo Spirito Santo può fare luce su cose che nella preparazione non erano pervenute al predicatore. Questa è la componente profetica della predicazione, cioè un'illuminazione momentanea operata da Dio per l'edificazione della chiesa.


I RISULTATI VENGONO DALLO SPIRITO SANTO.

 La chiesa è prospera quando lo Spirito Santo vivifica, rigenera, risveglia, convince, illumina, purifica, guida, conferma e perfeziona. Soltanto con la Sua presenza si possono ottenere risultati, perciò il predicatore deve cercare la Sua guida ed attribuire a Lui tutti i meriti del successo. "Allora Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il padre mi ha mandato, anch'io mando voi" (Gio.20:21).
Il Signore Gesù era consapevole di essere su questa terra non per Suo interesse personale, ma per operare le opere del Padre Suo, infatti disse: "Perché fo del continuo le cose che gli piacciono.." (Gio.8:29).
I veri messaggeri hanno Gesù per modello e vivono solo per Lui. Il loro scopo è quello di far conoscere Dio agli altri, di glorificaLo in ogni ambiente e di mostrare il Suo amore evangelizzando, testimoniando, esortando e servendo gli altri, offrendo la propria vita (I Gio.3:16).
"lo predico circa ottocento sermoni all'anno... Questo è il nostro grande lavoro: non soltanto indurre le anime a credere, ma edificarle nella nostra santissima fede...Mantenetevi fermi in un solo punto: Cristo è molto per noi e vivente in noi... Quando la vita di un uomo conferma le dottrine che professa, Dio confermerà la parola del suo messaggero...La perfezione che insegno è perfetto amore amare Dio con tutto il cuore e ricevere Cristo come Profeta, Sacerdote, e Re che unico regna sui nostri pensieri, parole ed azioni". 12
Dio aiuti i Suoi messaggeri a poter dire insieme all' Apostolo Paolo: "Io non sono stato disubbidiente…" (Atti 26: 19).