LE SETTE GIUDAICHE

GLI ERODIANI

Chi erano gli Erodiani dei vangeli?
Secondo Marco 3:6 furono gli Erodiani insieme ai Farisei a decidere di far morire Gesù. Secondo Matteo 22:16 e Marco 12:13 entrambi i gruppi vollero mettere alla prova Gesù con la domanda sul tributo a Cesare.
Potrebbe inoltre esserci un'allusione nei loro confronti in Marco 8:15, quando Gesù usa l'espressione "lievito di Erode". Questo è quanto abbiamo dal Nuovo Testamento.
Letteralmente, il termine può riferirsi ad alcuni funzionari o addetti alla casa reale di Erode (cfr. un termine analogo in G.Flavio Ant.14,450; Guer.1,319). In questo caso però, i Farisei non si sarebbero legati con persone subalterne a corte, dato che la casta farisaica era nazionalista, e quindi fortemente avversa, come spieghiamo in seguito, alla dinastia reale idumea.
Altri studiosi, pensano ad una fazione religiosa filogovernativa, forse i Boetusiani, membri di una famiglia sacerdotale insediatasi sotto Erode il Grande, (Boethos, sacerdote di Alessandria, la cui figlia Mariamne divenne sposa di Erode nel 24aC). Questi condividevano alcune concezioni con gli Esseni, discendevano come i Sadducei dal sommo sacerdote Tsadok, tanto che sono spesso confusi tra loro anche nella letteratura rabbinica (A.Schlatter, Geschlichte Israels, 1925,167). Sono di valore discutibile alcune notizie della chiesa primitiva, che parlano di un gruppo religioso giudaico di Erodiani (E.Bikerman,RB47(1938) 184-197).
Sono invece in molti a pensare che questo fosse un partito politico giudaico, devoto probabilmente all'imperatore romano, ed al suo rappresentante Erode, partito di corte che formava l'estremo opposto ai farisei. Può darsi che tra loro vi fossero alcuni che considerassero Erode come il messia, e forse avrebbero voluto vedere la Giudea affidata a lui piuttosto che amministrata dai romani. Tertulliano, Girolamo, Crisostomo ed altri antichi scrittori hanno sostenuto questa tesi. I vangeli di Luca e Giovanni evitano di menzionare gli Erodiani, e anche in Matteo il loro nome è più raro che in Marco, si può forse dedurre che già all'epoca dei vangeli più tardivi il suo significato non fosse del tutto chiaro. Forse era stato un movimento effimero, che non aveva lasciato ricordo di sé.
Le attuali scoperte, sembrano provare che essi non formavano né una setta religiosa, né un partito politico. Erano probabilmente giudei che occupavano posti importanti, favorevoli agli Erodi e quindi anche ai Romani che li appoggiavano. Essendo la dinastia di Erode di origine idumea e politicamente filoromana, si comprenderà l'opposizione che incontrava negli ambienti tipicamente giudaici, nonostante che i re, (gli erodi) fossero sempre compiacenti con i farisei (setta più importante del popolo), e si preoccupassero di abbellire le città, specialmente Gerusalemme. Ad ogni modo la casa reale d'Erode ebbe sempre alcuni simpatizzanti tra i giudei.
All'epoca di Gesù Cristo, gli Erodiani dovevano essere una piccola fazione, fedele al tetrarca Erode Antipa (-4aC-39dC), come possibile candidato per occupare il trono di Israele, tenuto già prima da suo padre Erode il Grande. Probabilmente non appartenevano alle forze della giustizia, altrimenti i farisei se ne sarebbero serviti per cercare di intimidire Gesù, piuttosto che tendergli trappole (tributo a Cesare ecc.). Inoltre in oriente, gli esattori non hanno l'abitudine di far domande a persone loro inferiori, sulla legalità delle imposte.

L'origine degli Erodiani e il loro pensiero
E' da ricercarsi nella condizione politica della Giudea, dopo l'arrivo, prima di Giulio Cesare poi di Marco Antonio, nella Siria, l'intervento della potenza romana nel governo dei Giudei, fu tale che divise la Palestina in tetrarchie, dopo aver osteggiato la dinastia reale nativa, cioè l'asmonea. Erode il Grande, seppe rendersi accetto prima ad Antonio poi ad Augusto, e fu da questi nominato finalmente re della Giudea (37 aC), escludendo così la linea degli Asmonei. Il timore e l'odio che sentivano i Farisei e la grande maggioranza del popolo contro la potenza romana ed ora anche contro Erode, erano basati su Deuter. 17:15 dove viene detto: "Costituisci per re sopra te uno d'infra i tuoi fratelli". I Farisei insegnavano quindi che non era lecito sottomettersi all'impero romano o pagar tributi ai suoi ufficiali. Da qui deriva anche il disprezzo e l'odio in cui erano tenuti i pubblicani, ossia i gabellieri romani. Da qui le frequenti rivolte come il tentativo di Giuda il Galileo, o secondo Flavio, Giuda il Gaulonita, "ai giorni della riscossione delle tasse" (At 5:37; Ant 18,1,1). Erode e i suoi seguaci, intendevano invece quel passo del Deuteronomio, come proibitivo, soltanto dietro ad una scelta volontaria di straniero dominatore, e non applicabile in questo caso, in cui la forza aveva reso impossibile ogni scelta, e sostenevano fosse perfettamente lecito, tanto il sottomettersi all'imperatore romano, quanto il pagargli il tributo. Questa era una delle dottrine degli Erodiani. Altra dottrina erodiana, molto più subdola ed ipocrita della prima, era: "che fosse lecito, quando si era sopraffatti e costretti da forza maggiore straniera, il vivere senza osservare la legge mosaica, e perfino abbandonarsi a pratiche idolatre". Pare che Erode propagasse tra i suoi, questo insegnamento per giustificare la propria condotta, così poteva costruire templi a Cesare ed ingraziarsi l'imperatore, poteva fabbricare teatri, introducendo nel suo regno il gusto dei giochi, spendendo enormi somme per offrire pubblici spettacoli alla popolazione di Roma. Ascoltiamo direttamente le parole di Giuseppe Flavio: "quella sottomissione ad un tempo, e liberalità che Erode esercitava verso Cesare e i più potenti di Roma, lo obbligavano a trasgredire le costumanze della sua nazione, e a porre in modo non chiaro molte leggi di essa, col fabbricare città in un modo stravagante, e con l'erigere templi, non nella Giudea, che ciò non sarebbe stato tollerato, essendo vietato a noi di rendere onore alcuno ad immagini e rappresentazioni di animali, secondo l'usanza dei greci; ma questo egli faceva nel territorio fuori dei nostri confini, e nelle città di quello. La scusa che ne adduceva con i Giudei era che queste cose egli le faceva non già per propria inclinazione, ma per comando e ingiunzione di altri, alfin di piacere a Cesare e ai romani, come se gli stessero meno a cuore le costumanze giudaiche, che non l'onore dei Romani" (Ant.15,9,5).

Gesù e gli Erodiani
Circa la domanda sul "tributo a Cesare", Gesù si sottrae abilmente all'insidiosa trappola tesagli dai suoi interlocutori (Farisei ed Erodiani), trasferendo la questione, su un piano prettamente spirituale, quello del rapporto con Dio. Seguendo il metodo delle controversie, Egli costringe gli interroganti a prendere posizione davanti alla realtà di fatto. Denuncia la loro ipocrisia e dice: " Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un "denarion" d'argento, l'unità del sistema monetario romano dell'impero, con il quale nelle province si paga il tributo all'imperatore. Egli allora chiede: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". Gli rispondono : "Di Cesare". Di fatto le monete coniate sotto Tiberio, imperatore dal 14 al 37 dC, portano nel recto il profilo dell'imperatore (Cesare, nel linguaggio protocollare), nell'esergo l'iscrizione: "Tiberius Caesar divi Augusti filius Augustus" e nel verso o rovescio le parole: "pontifex maximus". La conclusione di Gesù nel Suo stile lapidario, è di un efficacia sorprendente : " Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Tutti gli evangeli notano che i suoi interlocutori restarono meravigliati per le Sue parole. L'originalità di Gesù consiste nel coniugare insieme la scelta realistica di pagare il tributo all'imperatore di Roma con il principio religioso della fedeltà a Dio, unico Signore. Gesù non disprezza questa dottrina del "tributo" in sé, non è a questa che Egli allude quando parla del " lievito di Erode", bensì alla generale ipocrisia del regnante, ed è di questa che Egli invita i suoi discepoli a stare alla larga. Anzi a dir il vero, in quest'impensabile caso di unione tra Farisei ed Erodiani, i quali cercano di coinvolgerlo nell'intrigo degli schieramenti politici, pro o contro il potere d'occupazione romana, Gesù, rispondendo "date a Cesare quel che è di Cesare", pare approvare questa dottrina, anche se Egli sembra abbastanza indifferente al problema dei doveri verso Cesare, perché quello che veramente gli sta a cuore è il problema dei doveri verso Dio. Tertulliano centocinquanta anni dopo disse: " pagare il tributo non è un atto idolatrico, perché quel che con questo pagamento si dà all'imperatore è il rispetto, non il culto, la moneta, non l'uomo".
Ed ora poniamoci alcune domande: perché gli Erodiani volevano far morire Gesù
? Era un odio, loro personale, politico, oppure erano "ingaggiati" in qualche modo, dai Farisei? Erode Antipa era tetrarca della Galilea e della Perea, quindi Gerusalemme non faceva parte della giurisdizione erodiana, come mai Marco12:13 ci fa vedere Erodiani e Farisei in Gerusalemme, che cercano di cogliere in fallo Gesù? Con le attuali conoscenze, non riusciamo a rispondere esaurientemente a queste, possiamo però dire, che la presenza del Figlio di Dio nel mondo, ha avuto un tale impatto nelle coscienze, che i sentimenti dei cuori sono stati rivelati, e che l'odio e l'amore sono stati portati all'estremo, tanto che Gesù disse: "Chi non è con Me, è contro di Me…". Inoltre di fronte al Re dei Re, molti si sono contraddetti, secondo la profezia di Simeone (Lc2:34), e pur di andare contro Gesù, molti che prima non lo erano, son diventati amici (Lc23:12)! Con questa puntualizzazione tutto può esser stato possibile, anche l'unione tra Farisei ed Erodiani.

Albino Caporaletti

GLI ESSENI

Gli Esseni, con i Farisei e i Sadducei, rappresentavano uno degli indirizzi religiosi che si svilupparono all'interno dell'Ebraismo dal II sec. a.C. circa. Gli Esseni non sono espressamente nominati dal Nuovo Testamento. Le nostre conoscenze sul movimento essenico sono state notevolmente modificate ed arricchite dalle scoperte di Qumran poiché, secondo la tesi attualmente prevalente, i settari di Qumran si identificano con gli Esseni o con una loro ala.
Questa ricerca perciò sarà caratterizzata da una duplice analisi:
- Gli Esseni nella tradizione degli scrittori antichi.
- Gli Esseni e la comunità di Qumran.

1. GLI ESSENI NELLA TRADIZIONE DEGLI SCRITTORI ANTICHI

Prima delle scoperte di Qumran, le notizie sugli Esseni ci derivavano essenzialmente dalle opere di Filone di Alessandria, Giuseppe Flavio e Plinio il Vecchio. Da tali fonti storiche e dalla critica ad esse connessa risultava:

a. L'etimologia del nome
Filone affermava che il nome Esseni derivasse da una parola greca che significava "santi", " puri". Giuseppe Flavio invece nella sua opera " Guerre Giudaiche" sembra volerlo fare risalire ad una parola che significava " venerabili", " religiosi". Alcuni studiosi hanno proposto altre soluzioni, indicando la probabile origine del nome nella radice sh', "bagnare" e da qui " bagnanti" ( in relazione al frequente uso di abluzioni e bagni rituali , tipico della setta ) ; ovvero in hasaim, " silenziosi", per l'obbligo del silenzio; ovvero nell'aramaico asayya, " guaritori", per la funzione di guaritori che era attribuita ai settari. L'etimologia più probabile , o almeno più generalmente accolta , è quella che fa risalire il nome greco alla trascrizione dell'ebraico hasidim, " pii", con una sottintesa connessione con il movimento degli Asidei dell'epoca maccabaica, il quale movimento, tuttavia, è ritenuto un precedente storico del Fariseismo e non dell'Essenismo.

b. Loro probabili stanziamenti
Secondo gli scrittori sopra indicati gli Esseni sono costantemente presentati come una comunità di tipo monastico avente varie sedi nella Palestina . Secondo quanto ci viene detto da Filone abitavano in villaggi o borghi, rifuggendo dalla corruzione delle città , ma la notizia è in contraddizione con quanto scrive Giuseppe Flavio, secondo il quale gli Esseni non erano raggruppati in un'unica città, ma avevano costituito colonie in diverse città ( non in borghi ). Plinio amplia le informazioni a loro riguardo circa gli stanziamenti e li pone ad occidente del Mar Morto, lontani, in ogni caso, dalla zona rivierasca "nociva" (nel senso che rappresentava un pericolo di contaminazione spirituale). Il rilievo di tale stanziamento è importante per il rapporto con le scoperte di Qumran, che dimostrano l'importanza della comunità del Mar Morto.

c. L'adesione alla setta
I neofiti erano ammessi all'ordine attraverso un periodo di iniziazione. Presentata la loro richiesta, erano tenuti in condizioni di aspiranti, per un anno fuori dell'Ordine, e, in tale periodo dovevano condurre vita essenica, ricevendo, come simboli della condizione, un'ascia, una cintura di lino e la veste comune. Dopo tale prova, venivano ammessi al bagno di purificazione del grado superiore, ma non entravano ancora nella setta. Per i due anni successivi rimanevano nella condizione di novizi, e, al termine, venivano ammessi al pasto comune e al giuramento dinanzi alla comunità. Nel giuramento il nuovo adepto si impegnava a praticare una vita di santità verso Dio, la giustizia verso gli uomini, la lealtà verso tutti, ma soprattutto nei riguardi del potere costituito ( poiché il potere viene da Dio). Il nuovo adepto inoltre era obbligato a non nascondere nulla ai membri della setta ma anche a non rivelare nulla ai profani, anche se sottoposto a violenze fino alla morte. Particolarmente interessante è, nel giuramento, l'obbligo al segreto circa le dottrine contenute nei libri antichi e circa i nomi degli angeli.

d. La struttura gerarchica della setta
Da quanto detto al punto precedente sembrerebbe che i "gradi" fossero tre : aspiranti, novizi e iniziati. Giuseppe Flavio però, riferisce esplicitamente che i gradi erano quattro ma senza indicare l'ulteriore nome. Lo storico aggiunge solo che la differenza fra quelli appartenenti al grado più basso e quelli che erano già arrivati al grado massimo, era tale che questi ultimi, quando venivano a contatto con i primi, si purificavano con abluzioni, come se fossero contaminati. Un altro storico, Ippolito, che riprende alcune informazioni di Giuseppe Flavio, fornisce invece una notizia confusa, poco attendibile ma comunque interessante: gli Esseni presentavano una suddivisione in quattro classi. Vi erano quelli che portavano la pratica fino agli estremi del rigidismo ascetico rifiutando persino di toccare delle monete, adducendo a giustificazione il divieto di rappresentare immagini. Una di queste classi, pare rappresentasse invece l'ala azionistica e militare del movimento, poiché se si imbattevano in persone che discutevano di Dio e della Torah accertandosi che erano incirconcise, le obbligavano a circoncidersi o le uccidevano ; costoro avrebbero ricevuto il nome di Zeloti o Sicari. Un'altra classe si caratterizzava per il rifiuto di attribuire ad alcuno al di fuori di Dio, il nome di signore. Vi erano infine gli ultimi arrivati nell'Ordine che secondo Ippolito, erano considerati così impuri al punto tale che se gli altri li toccavano provvedevano immediatamente a purificarsi.

e. L'amministrazione comunitaria
Nelle comunità, gli Esseni praticavano il comunismo cenobitico dei beni. Non avevano casa di proprietà personale, ma ogni edificio veniva considerato bene comune di tutti gli adepti, anche di quelli che appartenevano ad altre colonie e che, spostandosi, venivano ospitati dai loro confratelli. Comuni erano le vettovaglie e le vesti; il salario da loro guadagnato veniva versato ad una cassa comune ed amministrato da membri della setta eletti a tale funzione. Gli Esseni non tendevano a farsi tesori sulla terra né ad acquistare proprietà di vasti territori, ma si contentavano di provvedersi dello stretto necessario, divenendo così " quasi unici fra gli uomini …senza beni e senza possessi" (Filone). Chi entrava nell'ordine abbandonava ad esso le sue proprietà personali. Probabilmente non compravano e non vendevano ed i loro scambi erano fondati esclusivamente sul baratto. Potevano tuttavia accettare doni, senza nulla dare in cambio. Nel disporre dei beni del fondo comune, agivano soltanto dietro autorizzazione degli amministratori. Il permesso di questi ultimi era altresì condizione necessaria per ricevere sovvenzioni che supplissero ai bisogni delle proprie famiglie. Gli "uomini virtuosi" che venivano da loro eletti ad amministrare provvedevano ancora alla raccolta ed alla conservazione dei prodotti del suolo. Per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia avevano costituito a tal fine, un consiglio composto di non meno di cento persone, il quale ( secondo Giuseppe Flavio ) pronunziava sentenze irrevocabili. Addirittura coloro i quali si rendevano colpevoli di violazioni al giuramento pronunziato nell'essere ammessi alla regola, venivano esclusi dalla comunità e abbandonati senza assistenza, fino alla morte anche se, in molti casi , gli Esseni hanno riammesso membri così condannati, proprio all'ultimo respiro, ritenendo sufficiente la loro espiazione.

f. Il culto e la dottrina degli Esseni
Filone descrive gli Esseni come un popolo votato unicamente al servizio di Dio, che basava la propria esistenza sul fondamento della Torah, la quale leggevano continuamente ma in particolare nel Sabato, quando un adepto leggeva il Libro e un altro, fra i più istruiti, ne dava la spiegazione alla comunità riunita. L'osservanza del Sabato era rigidamente prescritta. Rispettavano inoltre il divieto di pronunziare non solo il nome di Dio, ma anche quello del Legislatore (da intendersi Mosè, o forse il fondatore della setta ) e per questo erano disposti persino a subire ogni tortura, finanche la morte .Sul piano dottrinale gli Esseni difendevano l'immortalità dell'anima, considerata prigioniera nel corpo corruttibile. Le anime dei giusti dopo la morte risalivano ad un mondo perfetto, che essi, secondo G. Flavio, ponevano al di là dell'Oceano, come luogo al di fuori di ogni turbamento. I cattivi invece, scendevano in una tenebrosa caverna dove venivano inflitte loro infinite punizioni. Credevano alla resurrezione, al giudizio finale ed alla consumazione del mondo. Erano in evidente polemica con il Tempio, al quale inviavano tuttavia le loro offerte, comunque non vittime sacrificali.

g. Alcuni aspetti etici
La setta si caratterizzava per la decisa avversione ad ogni violenza e ad ogni offesa fatta a creature viventi. Respingevano infatti il mestiere militare e si rifiutavano di costruire arnesi da guerra. Non possedevano schiavi e condannavano il rapporto di schiavitù come offensivo del diritto di natura, sostenendo l'uguaglianza fondamentale di tutti gli uomini.
Un altro aspetto etico importante riguardava il matrimonio. Le fonti storiche tradizionali hanno posizioni discordanti in merito.
Secondo Filone, gli Esseni avevano bandito il matrimonio e prescrivevano la perfetta continenza, ritenendo la donna causa di mali e di turbamenti nella vita di perfezione che essi avevano eletta. Di qui si spiegherebbe l'altra notizia di Filone, secondo la quale, le comunità erano costituite soltanto da anziani prossimi alla vecchiaia. Si pone quindi il problema di spiegare come queste comunità, rifuggendo dal matrimonio, siano sopravvissute per tanti anni. Secondo G. Flavio gli Esseni, riuscivano a rinnovare il numero degli adepti adottando i figli altrui come propri . Plinio il Vecchio scriveva invece che questo " popolo eterno nel quale non nasce mai nessuno" riuscisse a sussistere solo perché continuamente ad esso accedevano nuovi adepti giovani.
Altre fonti storiche riportano comunque l'esistenza di un ordine di Esseni dove ci si sposava, ritenendo essenziale la propagazione della specie.

h. Una tipica giornata degli Esseni
E' il risultato di quanto racconta Giuseppe Flavio nella sua opera " Guerre Giudaiche". Lo storico descrive una giornata regolata da uno stretto ritmo di preghiera e lavoro. Prima del sorgere del sole non pronunziavano alcuna parola profana, ma, levatosi il sole, rivolgevano a Dio la prima preghiera mattutina, forse lo sema, preghiera fondamentale ebraica. Quindi congedati dai capi o amministratori della comunità, lavoravano fino all'ora quinta ( circa le 11 del mattino ), quando, lasciate le opere, si riunivano nella casa comune, si cingevano con un panno di lino e si bagnavano nell'acqua fredda. Entravano nel refettorio solo dopo tali purificazioni. Quivi venivano loro distribuiti un pane e una sola scodella per un unico pasto, che veniva consumato solo dopo che il sacerdote aveva pronunziato la preghiera. Al termine del pasto, dopo un'altra preghiera di ringraziamento, si toglievano gli abiti usati per il pranzo e si riprendeva il lavoro fino alla sera, quando si consumava un altro pasto.

2. GLI ESSENI E LA COMUNITA' DI QUMRAN

Fino al 1947 gli Esseni erano conosciuti indirettamente, tramite le notizie di G. Flavio, di Filone e di Plinio il Vecchio. Dal 1947, data in cui cominciarono le scoperte dei manoscritti nella regione di Qumran, la conoscenza degli Esseni cominciò ad essere diretta ed immediata, poiché tutti i manoscritti rappresentano probabilmente la biblioteca della stessa comunità essena. Alla documentazione letteraria dobbiamo aggiungere l'apporto archeologico degli scavi di Qumran, sede centrale della comunità essena.
Le affermazioni degli scrittori antichi hanno trovato conferma nella Regola della Comunità, uno dei manoscritti della grotta n° 1, chiamato anche dagli studiosi Manuale di Disciplina. Ma da queste e da altre fonti storiche si sono appresi anche altri aspetti della setta ed alcune particolari peculiarità proprie della comunità di Qumran. Apprendiamo innanzitutto che il gruppo era guidato da sacerdoti i quali avevano potere assoluto nel campo dottrinale ed economico; in posizione subordinata c'erano i laici. Per entrare a far parte della comunità bisognava impegnarsi solennemente a vivere secondo le regole e superare un esame. Il candidato una volta ammesso, doveva versare le sue sostanze alla cassa comune. I due riti principali della vita comunitaria erano i bagni di purificazione e i pasti in comune, ai quali tutti i membri erano tenuti a partecipare. La comunità era consapevole che i bagni di purificazione non potevano sostituirsi alla purità di cuore ; molti testi insistono sulla purezza interiore come unico mezzo per ottenere l'approvazione divina. La purificazione esterna era soltanto il simbolo della purificazione interiore. I pasti in comune costituivano uno stimolo per portare il gruppo ad agire all'unisono. Per gli uomini di Qumran, il tempo apparteneva a Dio ed era sacro. C'era così un tempo per il lavoro, e un tempo per la preghiera e la meditazione. Durante la notte, un apposito gruppo, a turno, studiava le Scritture. Solo nella grotta n°4 ( esaminando le decine di migliaia di frammenti rinvenuti ), si ritiene fossero state nascoste alcune centinaia di rotoli. Oltre cento di essi comprendevano parti dell'A.T., tra cui almeno diciassette copie di Isaia, e oltre venti copie del Deuteronomio ( pare che quelli fossero i libri preferiti ). Nella raccolta erano rappresentati tutti i libri dell'A.T., salvo quello di Ester. E' ragionevole pensare che quegli innumerevoli rotoli, di cui le grotte ci hanno restituito i resti, fossero stati tutti prodotti dagli scribi del Monastero, che nel corso di duecento anni si avvicendarono sui banchi della Sala di scrittura, nel duro estenuante lavoro di copiatura a mano dei testi biblici. La comunità di Qumran pensava che Dio l'avesse fornita di una luce particolare per comprendere le Scritture. Ciò che però stupisce gli studiosi moderni è il fatto che le loro interpretazioni erano tutte legate alla situazione contingente. Gli Esseni ritenevano che i profeti non avessero parlato dei tempi in cui erano vissuti, ma si riferissero all'epoca in cui vivevano i commentatori. Nei Commentari, il metodo consisteva nel citare il testo biblico, aggiungendo : " la spiegazione di questo passo significa che…" oppure : " oggi questo vuol dire che…". Ad esempio il passo di Habacuc 1:6: "Perché ecco, io sto per suscitare i Caldei, questa nazione aspra e impetuosa …" è accompagnato dal commento : " questo si riferisce ai Kittim, che sono uomini rapidi e valorosi in battaglia". ( Kittim era il nome usato per designare i Romani, che quando fu scritto il Commentario ricoprivano il ruolo di nemici del popolo di Dio ). In uno dei loro commenti si parla inoltre di due personaggi : il Maestro di Giustizia e l'Uomo di Menzogna. Erano certamente personaggi reali, ben noti ai componenti della setta, ma a noi sconosciuti. Molti studiosi tuttavia ritengono che nel Maestro di Giustizia vada ravvisato il capo e forse il fondatore della comunità.
Gli Esseni di Qumran si ritenevano il vero Israele, perseguitato dagli Ebrei infedeli e dominato da governi stranieri. E in tale spirito, attendevano la venuta del Messia ( o meglio di due Messia ). La setta credeva che le cose sarebbero finalmente cambiate con l'arrivo di un Sommo Sacerdote e di un Re, usciti dalla tribù di Levi e inviati da Dio per riscattare il popolo. Un documento della grotta n°4 ha mostrato che gli interpreti di Qumran usavano determinati passi dell'A.T. per appoggiare le loro idee messianiche : avevano messo insieme Deut. 18:18-19, che parla della venuta di un profeta, con Numeri 24: 15-17, che parla di un re, e Deut. 33:8-11, dove Mosè pronuncia la benedizione profetica sulla tribù sacerdotale di Levi. La comunità di Qumran era convinta che i due Messia sarebbero vissuti negli ultimi giorni, prima del conflitto finale tra i figli della luce e ifigli delle tenebre. Sia il monastero di Qumran sia la comunità degli Esseni furono distrutti dai Romani nel 68 d.C.

Vincenzo Labate

I  FARISEI

Prefazione
Con i Sadducei, gli Zeloti e gli Esseni, i Farisei rappresentano uno dei grandi movimenti interni, dottrinari e politici, dell'Ebraismo. Essi appaiono, come gruppo costituito, all'epoca di Giovanni Ircano ( 135- 104 a.C.), ereditando dottrine e posizioni da precedenti movimenti molto più antichi.
Il nome "fariseo", deriva da un aggettivo aramaico che significa "separato", "segregato", "diviso". Sembra che un tale nome sia stato loro attribuito dai nemici, poiché i cosiddetti Farisei vivevano separati da tutto ciò che era impuro, cioè "dal popolo della terra". Essi stessi solevano chiamarsi "compagni", e perfino "santi".

Storia
Quando ebbe inizio la resistenza dei Maccabei vi fu un gruppo, detto degli Asidei, che si distingueva per la difesa della Legge, la sua concezione nazional-religiosa e la sua opposizione ad ogni influenza straniera. Sembra che tale gruppo si confondesse con i Farisei. Però questi ultimi si manifestano apertamente solo sotto gli Asmonei, al tempo di Giovanni Ircano che era stato loro discepolo e da essi era molto amato; tuttavia, per l'insulto di un fariseo, questi passò immediatamente dalla parte dei Sadducei. Quindi, Alessandro Ianneo, il grande persecutore dei Farisei, sostenne con essi una terribile guerra che durò sei anni. Con tutto ciò, quel re, in punto di morte, raccomandò alla sposa, la regina Alessandra Salome, di restituire qualche potere ai Farisei per accattivarsi la benevolenza del popolo. Una tale raccomandazione fu così bene eseguita che i Farisei governarono di fatto e la regina soltanto di diritto. Alla morte della regina, succedette sul trono Ircano II che parteggiava per i Farisei. Ma dopo tre mesi egli fu deposto dal fratello Aristobulo II al quale si erano uniti i Sadducei. Tuttavia, la gran parte del popolo riconosceva sempre più l'autorità dei Farisei.

Condotta
Sia Giuseppe Flavio che il NT parlano spesso dei Farisei, sebbene in diverso senso. Giuseppe Flavio ne parla diffusamente e con molti particolari, lasciando di essi una buona impressione: la loro austerità e cortesia; la loro benevolenza nel giudicare gli altri; essi ammettono la libertà degli uomini e l'immortalità dell'anima; affermano che tutte le cose sono governate dalla Provvidenza. Oltre alla Legge essi hanno la tradizione che venerano in maniera esagerata specialmente per quel che riguarda il sabato, la purezza legale e le decime1. Tutte le cose che essi insegnavano a voce è scritto nel Talmud, al quale essi davano un'importanza maggiore che alla Legge.
Scendevano a minuzie, ad inezie, a sottigliezze e si fissavano sulle pratiche esterne2, su ciò che entra dal di fuori, e non sapevano che queste cose " non contaminano l'uomo3" , fino a rendere difficile la conoscenza delle nuove prescrizioni con le quali avevano complicato la vita. Circa il riposo del sabato, c'era chi arrivava a proibire il trasporto di un fico secco o di mangiare un uovo deposto dalla gallina nel giorno di sabato.
Questa casistica li aveva indotti a moltiplicare i precetti che possiamo dividere in due gruppi: duecentoquarantotto negativi e trecentosessantacinque positivi. Un numero così grande di precetti uccideva l'unità, disperdeva la vita spirituale e trasferiva l'attenzione dalla sfera dell'etica a quelle delle cerimonie. Si perdeva perciò la distinzione tra il grande ed il piccolo, tra ciò che nella Legge era primario o secondario: un fariseo, dottore della Legge, domanda a Gesù quale sia il massimo comandamento4. In tal modo, la pietà, che è del cuore, diventa pura erudizione, giacché si devono conoscere tutti i precetti; ora tutto ciò esige tempo e la massa del popolo non ne dispone di troppo, per cui verrà chiamata impura.

Il "lievito"
Questo eccessivo formalismo, così contrario agli insegnamenti di Gesù, rese, sin dal principio, i Farisei nemici del Maestro. E Gesù li tratterà con maggior durezza degli altri mentre rivolgerà la sua compassione e la sua misericordia ai peccatori. Nell'Evangelo secondo Giovanni abbiamo una chiara visione della disputa con i Farisei che lo scrittore del IV Vangelo chiama "Giudei". Nel c. 23 dell'Evangelo secondo Matteo possiamo vedere fin dove arrivano il rimprovero e la condanna per i Farisei: Gesù li chiama ipocriti che non entrano nel cielo e non vi lasciano entrare neppure gli altri che pur vorrebbero; stolti, ciechi e guide di ciechi; essi trascurano la parte più importante della Legge che è rappresentata dalla giustizia, dalla misericordia, dall'amore e dalla buona fede; sepolcri imbiancati, apparentemente perfetti ma pieni all'interno di bruttura e di iniquità; serpenti, razza di vipere, ecc. Perché mai Gesù se la prese tanto con i Farisei? Perché la loro condotta mirava a distruggere l'opera di Dio. Perché il pericolo del fariseismo sussisterà sempre nella religione. Anche Paolo lotterà contro il fariseismo, ma in un modo diverso dal Maestro. Cristo alzò la sua voce contro l'ipocrisia di coloro che confidavano in se stessi, Paolo invece nel suo epistolario stigmatizzerà coloro che aspettano la giustificazione delle loro opere. Non dobbiamo gloriarci in noi stessi e neppure nelle nostre opere, ma soltanto nel Signore5. Perciò dobbiamo osservare che dovunque esiste una legge esiste anche questo pericolo: il pericolo di polverizzare e di disperdere la vita spirituale, di insistere troppo sull'osservanza esterna con la conseguente superbia per averla osservata.

Il valore
G. Flavio e i Vangeli ci presentano due quadri diversi. Quello di G. Flavio è ben lusinghiero: i principi da essi osservati saranno stati anche quelli, ma il loro eccessivo attaccamento ed il loro amore alla tradizione e la loro grande austerità li avevano portati a quegli eccessi così aspramente condannati da Gesù. Anche i Vangeli citano dei Farisei cui sono rivolte parole di lode e con i quali Gesù mantenne rapporti di amicizia. Egli mangia nella casa di uno dei capi dei Farisei6; Nicodemo gli rende visita nella notte7 e sia egli che un altro fariseo, Giuseppe d'Arimatea, si prendono cura, dopo la morte di Gesù, della sua salma8. Gli Atti degli Apostoli raccontano la Meravigliosa difesa degli apostoli fatta dal fariseo Gamaliele. Paolo si vanta di essere stato educato ed istruito alla scuola di Gamaliele9, ed afferma di essere un fariseo quanto alla Legge10. Ancora negli Atti degli Apostoli11 si parla di alcuni della setta dei Farisei che avevano creduto in Gesù Cristo12.

Gli scribi
Per quel che riguarda gli Scribi, possiamo parlare di una quasi coincidenza, ma no di una totale identificazione. I Farisei dotti erano Scribi, ma per diventare tali dovevano esercitarsi nella Scrittura per molti anni, la qual cosa, per la maggior parte di essi, non era né semplice né facile. Scribi e Farisei costituivano un gruppo compatto e forte. Raramente uno scriba apparteneva alla setta dei Sadducei, tanto che Gesù, secondo il capitolo 23 di Matteo ed in altri passi dei Vangeli, mette assieme Scribi e Farisei. Gli Scribi erano le guide spirituali del popolo, i suoi moralisti. I loro insegnamenti erano decisivi, perché godevano di un grande ascendente. Fondendo insieme Scribi e Farisei, come fa il Vangelo, possiamo affermare che essi erano seguiti dalla gran massa del popolo e che essi erano i responsabili, specialmente ai tempi del Signore Gesù Cristo.
Il fariseismo dopo la sua nascita continuò la propria attività per circa due secoli e mezzo, fino ad essere assorbito dal Rabbinismo, dopo la rovina di Gerusalemme, nel 70 d.C.

Renato Genovese

GLI  ZELOTI

Storia
Una delle fazioni giudaiche presenti nel periodo storico descritto negli Atti degli Apostoli è quella degli Zeloti. Sorti all'inizio del I secolo con Giuda il Galileo come movimento di resistenza partigiana, sono i nemici giurati dei sadducei, degli erodiani e soprattutto della potenza occupante; condividono gli ideali religiosi e le aspirazioni politiche dei farisei, ma si distinguono per l'inestinguibile amore di libertà, per il loro disprezzo della morte e soprattutto per il ricorso alla violenza e al terrorismo.

1. Significato e condotta
Zelota significa propriamente "zelante", anche nel senso di "intransigente" o "fanatico", ed è proprio con questo zelo, paragonabile a quello dei Maccabei nel rovesciare il giogo siriano, che essi volevano cacciare i Romani dalla Palestina, poiché erano convinti che solo dopo la loro cacciata dal territorio Dio avrebbe redento il suo popolo. Rifiutavano specialmente di pagare i tributi ai Romani, considerando questa come una cosa illecita e come una violazione della costituzione teocratica della loro nazione. Quando Archelao (che era succeduto a suo padre Erode il Grande, nel governo della Giudea), fu sommariamente rimosso dai Romani, il suo piccolo regno venne annesso alla provincia di Siria, retta in quel tempo da Quirino, ed allora soltanto si cominciò a riscuotere la tassa, per stabilire la quale si era fatta la rassegna di tutto il popolo al tempo della nascita di Cristo (Luca 2:2). Giuda il Galileo, chiamato anche il Galaunita perché nativo di Gamala nella Galaunite (di lui abbiamo notizie tramite le testimonianze di Giuseppe Flavio), in compagnia di un certo Zaduc, Fariseo, eccitò il popolo a resistere all'imposta, come ripugnante alla legge di Mosè, la quale insegnava che i Giudei non avevano altro re che Dio, ad insorgere e ribellarsi, piuttosto che sottomettersi ad essa. In questa situazione di malcontento generale, la promulgazione di un secondo censimento da parte di Quirino nel 6 d.C. fu la scintilla che fece scoppiare la sommossa popolare guidata da Giuda stesso. La rivolta fu sedata, non senza sforzo, dai romani, ma le sue conseguenze remote furono gravissime. Giuda fu ucciso ed i suoi seguaci furono dispersi (Atti 5:37), ma proseguirono occultamente la loro azione, si formò così la corrente degli zeloti. Quando i figli di Giuda si ribellarono nuovamente (46-48 d.C.), vennero crocifissi da Tiberio Alessandro, governatore della Giudea, ed Eleazar, uno dei discendenti del galileo, prese la guida del gruppo.

2. Valutazioni esterne
I romani chiamavano gli zeloti più estremisti "sicari", cioè "uomini del pugnale", per via del piccolo pugnale (in latino "sica") che essi portavano nascosto sotto le vesti, col quale erano continuamente in azione. Essi fecero la loro prima comparsa al tempo di Felice assassinando il Sommo Sacerdote. Specialmente nelle feste, mescolati tra la folla con il loro pugnale trafiggevano gli avversari, non risparmiando nemmeno i loro connazionali che mostrassero volontà di sottomettersi alla forza delle circostanze; quindi, caduti che fossero, si univano con coloro che erano sdegnati, cosicché anche per la sembianza di fiducia rimanevano assolutamente irreperibili.
Lo sviluppo del movimento nazionalista zelota, insieme all'atteggiamento sempre più rigido dei governatori Albino (62-64) e Floro (64-65), condusse allo scoppio della prima grande rivolta giudaica del 66 d.C., che portò alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. All'inizio della rivolta gli zeloti si impadronirono della fortezza di Masada, sul Mar Morto, che Erode il Grande scelse come rifugio personale in virtù della sua inaccessibilità, in quanto situata su un altipiano roccioso a 434 m. Lì si rifugiarono ed adattarono i palazzi di Erode alle nuove esigenze trasformandoli in accampamenti e in posti di comando. Le costruzioni di carattere ornamentale più che funzionale furono smantellate e il materiale impiegato per altre costruzioni. Gli ambienti più spaziosi vennero divisi per farne alloggi per più famiglie; anche le stanze ricavate nelle mura furono trasformate in alloggi. Alcuni zeloti erano di estrazione sociale elevata. In una costruzione sono stati trovati resti di vasi d'alabastro e d'oro oltre a gruzzoli di monete. Gli zeloti costruirono bagni rituali, piscine per le abluzioni e una sinagoga orientata in direzione di Gerusalemme. Era rettangolare con quattro file di panche disposte lungo i muri per far sedere la congregazione. Verso la fine della rivolta molte famiglie si rifugiarono a Masada. Per costoro furono costruite baracche di fango e di piccole pietre, in genere a lato degli edifici esistenti. Dopo la distruzione di Gerusalemme, Masada costituì l'ultima roccaforte dei rivoltosi. Nel 72 d.C. la Decima Legione romana fu inviata ad espugnarla con truppe ausiliarie forti di un migliaio di uomini. Intorno a Masada furono costruiti otto accampamenti e fu eretto un muro d'assedio lungo 4,5 km. al fine di impedire ogni tentativo di fuga. Un'enorme rampa di assalto fu costruita con terreno di riporto e così, alla fine, nel 73 d.C., i romani riuscirono a far breccia nelle mura. Ma gli zeloti, piuttosto che arrendersi, raccolsero tutto quello che possedevano per darlo alle fiamme. Scelsero quindi 10 uomini con il compito di uccidere ogni famiglia fino alla morte di tutti i 960 difensori. A questa strage sopravvissero soltanto due donne e cinque bambini che riuscirono a mettersi in salvo in una grotta.
Gli zeloti furono ancora in azione al tempo dell'ultima grande rivolta giudaica, guidata da Bar Kochba nel 131-135 d.C., durante l'impero di Adriano. Malgrado questa sollevazione e la prolungata resistenza dei giudei, Gerusalemme fu conquistata dai romani nel 134 e Bettar, l'ultima fortezza a sud-ovest della città, capitolò nel 135. Adriano ricostruì poi Gerusalemme rendendola una città pagana alla quale fu posto il nome di Elia Capitolina e proibì ai giudei, compresi i giudeo-cristiani di entrarvi.

3. Riferimenti scritturali
Probabilmente dalle file degli zeloti proveniva almeno uno dei discepoli, Simone, detto lo Zelota (Luca 6:15 ; Atti 1:13) o il Cananeo (Marco 3:18 ; Mat. 10:4); alcuni hanno avanzato l'ipotesi che anche Simon Pietro, Giacomo e Giovanni appartenessero a quella corrente (a quello alluderebbe il soprannome di Boanerges dato agli ultimi due), e che l'iscrizione posta sulla croce di Gesù riveli che l'autorità romana potrebbe averlo considerato colpevole di zelotismo (Pilato cioè avrebbe inteso le parole "Gesù Nazareno Re dei Giudei" in senso politico-nazionalistico). L'ipotesi che Gesù simpatizzasse con il movimento zelota trascura il fatto che un altro discepolo, Matteo, era invece un ex-esattore delle tasse. Inoltre, contro l'atteggiamento degli zeloti, quando gli fu mostrata una moneta con l'immagine di Cesare, Gesù disse: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio" (Mat. 22:15-22).

Alessandro Quartana

I SADDUCEI

Introduzione
I Sadducei, come appartenenti ad un movimento interno della tarda epoca di sviluppo dell'Ebraismo, rappresenta uno dei problemi non completamente chiariti della storia religiosa giudaica, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, fondate su documenti (Giuseppe Flavio, N.T., tradizione rabbinica, tradizione cristiana dei Padri della Chiesa) che, per vari motivi, li considerano eretici o settari e che, comunque, rappresentano tendenze avverse a quelle sadducee.

1. Etimologia del nome
Il nome "Sadducei" non può provenire, come già pensarono alcuni Padri della Chiesa, dall'aggettivo ebraico saddiq ("giusto"). Questo qualificativo, oltre ad essere improprio per tale categoria di persone, non potrebbe spiegare come mai la u si conserva nella parola, sia in ebraico sia in greco. Secondo W. Manson, "Sadducei" deriverebbe da un termine che significa "avvocato", "difensore della giustizia", perché essi erano membri del sinedrio. Il nome si connette verosimilmente con quello proprio di Sadoc. Questo era il nome del sommo sacerdote che Salomone sostituì ad Abiatar perché si compisse la parola che Dio aveva pronunciato contro la casa di Eli, in Siloh13. Già nella restaurazione ideale che Ezechiele fa di Gerusalemme e del Tempio solo i figli di Sadoc saranno i ministri del culto14; realmente essi ebbero sempre una preponderanza speciale; già da allora dire "Sadducei" era come dire la famiglia sacerdotale di maggiore influenza.

2. Storia
I discendenti di Sadoc esercitarono il sacerdozio sino alla cattività in Babilonia15 e poi di nuovo dopo l'esilio16. Non si sa però determinare in che periodo inizi l'origine dei Sadducei come gruppo. Durante il governo di Gionata si parla di un partito ellenizzante che si oppose al capo maccabaico. Si nomina pure un gruppo yahwista che, con coscienza più scrupolosa, mal tollerava che il sommo sacerdozio fosse stato affidato ai Maccabei da alcuni stranieri, perché ciò significava un'intromissione dei pagani nella designazione del primo capo spirituale nello yahvismo giudaico. Ciò avvenne quando il monarca Alessandro Bala, nell'anno 153 a.C., concesse il titolo di sommo sacerdote e di capo del suo popolo a Gionata.
Solo però con Giovanni Ircano, il primo degli Asmonei, notiamo la distinzione tra il gruppo dei Sadducei e quello dei Farisei. Ircano si appoggiava a quest'ultimi ed era stato loro discepolo, ma ben presto passò ai Sadducei che incominciarono ad acquistare maggiore importanza. Dato che sotto il suo governo la nazione giudaica s'era estesa sin quasi a raggiungere i confini dell'antico regno davidico, si sentiva sempre più la necessità di persone che, sia in campo amministrativo, sia in campo politico, fossero pronte ad uniformarsi ai sistemi delle nazioni confinanti. Queste persone potevano provenire solo dalla corrente sadducea più aperta all'ellenismo. Fu così che incominciò ad imporsi il sadduceismo. G. Flavio ci racconta l'episodio che fornì l'occasione a Giovanni Ircano per romperla con i Farisei. Avendo, durante un banchetto, chiesto consigli sulla perfezione, si sentì rispondere da un Fariseo che avrebbe dovuto lasciare la carica di sommo sacerdote, perché sua madre era stata una schiava e questa condizione contrastava con le prescrizioni rabbiniche. Ircano rimase profondamente offeso. Domandò allora agli altri Farisei che pena meritasse colui che aveva detto tali cose; questi proposero battiture e prigionia. Ma Ircano, che desiderava per quello che l'aveva offeso la morte, considerò i Farisei tutti complici e si dichiarò loro nemico. Da allora i Sadducei divennero il partito del governo sotto tutti gli Asmonei, ad eccezione del periodo del regno di Alessandra che, accogliendo l'ultima volontà del suo sposo, si unì ai Farisei. I Sadducei ripresero ad essere il partito più importante sotto Aristobulo II, e pare sia questa la causa dell'ostilità che Erode il Grande manifestò verso loro.
Quando la Giudea fu unita alla provincia romana della Siria, i Sadducei praticarono una politica conciliatrice con i Romani. È vero che non collaborarono apertamente con loro, però cercarono di evitare conflitti e si sforzarono di contenere movimenti popolari. Durante il periodo romano i Sadducei, tenendo sotto ipoteca il sommo sacerdozio, in sostanza dominavano nel campo religioso, mentre i Farisei, con l'appoggio degli scribi, esercitavano maggiore influenza presso il popolo. Con la distruzione di Gerusalemme e la scomparsa della nazione giudaica, sparì pure il sadduceismo.

3. Natura
Il sadduceismo non era una setta nel senso che si a questa parola; non aveva una dottrina speciale distinta dal giudaesimo; era piuttosto un partito politico religioso. I Sadducei appartenevano alle classi facoltose, aperte alla cultura e al progresso delle altre nazioni; in questo si opponevano, principalmente, ai Farisei. Si differenziavano da questi anche perché non ammettevano se non la Legge scritta, le prescrizioni della Torah, che costituivano per loro l'unica regola di fede e di condotta. Gerolamo afferma che, secondo alcuni Padri, i Sadducei accettavano solo il Pentateuco. Rifiutavano così tutte le innovazioni e le falsificazioni che i Farisei avevano aggiunto allo spirito del vero giudaismo, di cui si consideravano i custodi; in tal modo erano liberi da tutti quei pesanti fardelli che i Farisei avevano imposto a tutti i loro concittadini17.
Nonostante i dati del N.T. e di G. Flavio, si può dire che manchiamo di fonti sulle dottrine professate dai Sadducei; le informazioni dello storico giudaico devono inoltre essere prese con cautela, in quanto provenienti da uno che era fariseo e pertanto nemico dei Sadducei.
Secondo G. Flavio, i Sadducei negavano la provvidenza e affermavano un fatalismo assoluto in tutto ciò che accade, poiché nulla dipende da Dio; negavano parimenti l'esistenza di premi o castighi dopo la morte, poiché l'anima scompariva con la decomposizione del corpo. La letteratura rabbinica attribuisce ai Sadducei questa massima: "Come la nube si disfà e scompare, così l'uomo discende nella tomba e più non ritorna".
Dal caso immaginario, che i Sadducei proposero a Gesù18, risulta che non ammettevano la risurrezione dei morti. Si tratta, in realtà, della legge del levirato, destinata ad assicurare la continuazione della famiglia19. Se un uomo moriva senza discendenza, il fratello doveva sposarsi con la vedova perché il nome del defunto, a cui si attribuiva il primo figlio nato da questo secondo matrimonio, non fosse estinto in Israele. I Sadducei nella loro domanda, per negare la risurrezione, presuppongono che in essa la vita continui con le stesse condizioni di quelle attuali. Però non sanno che il potere di Dio trasformerà i corpi risuscitati; alla risurrezione infatti gli uomini diverranno come angeli di Dio nel cielo20.
Possiamo dire che le idee dei Sadducei sull'altra vita sono le stesse, a quanto pare, di quelle che troviamo nei libri sapienziali, come i Proverbi o l'Ecclesiaste, in cui in realtà nulla si affermava o si negava su tale argomento. Per questo molti Sadducei, non trovando chiaramente nei libri dell'A.T. la dottrina della resurrezione, la negavano. Dagli Atti degli Apostoli21 sappiamo che non ammettevano neppure l'esistenza degli angeli, né di altri esseri spirituali al di fuori di Dio. In tutto ciò si differenziavano dai Farisei, soprattutto per la negazione della halakah, che era un complesso di precetti pratici, norme rituali e giuridiche. Siccome non ammettevano la tradizione, i Sadducei interpretavano letteralmente le leggi mosaiche in materia criminale e applicavano rigorosamente la legge del taglione. Secondo G. Flavio si mostravano duri e arroganti nel comportamento verso quelli che non erano membri del loro partito.
Vi erano pure discrepanze tra i due partiti sulla fissazione del giorno della Pasqua e della data della Pentecoste. Quando la Pasqua, secondo i recenti studi rabbinici, cadeva in venerdì, i Sadducei ne ritardavano la celebrazione al sabato, mentre i Farisei la celebravano secondo il calendario regolare. J. Klausner, giudeo e conoscitore delle tradizioni del suo popolo, dice che già dal tempo di Hillel (25 anni prima di Gesù Cristo) per i Farisei l'uccisione degli agnelli, nella festa della Pasqua, era un sacrificio pubblico, superiore pertanto al riposo sabatico; mentre i Sadducei lo consideravano come sacrificio privato che violava il giorno santo, per cui non poteva essere compiuto di Sabato. La festa di Pentecoste, per i Sadducei, doveva sempre coincidere con il primo giorno della settimana, e siccome doveva intercorrere un intervallo di cinquanta giorni tra la Pasqua e questa solennità, anticipavano o posticipavano qualche giorno del mese per ottenere il loro scopo; per i Farisei invece la Pentecoste poteva essere celebrata in qualunque giorno della settimana, sempre che fossero passati cinquanta giorni dalla Pasqua.

4. Importanza e influenza
I Sadducei, soddisfatti delle loro ricchezze e della loro posizione sociale, non si preoccupavano troppo della venuta del regno di Dio. Per questo si adattavano a quelli che comandavano, anche quando questi fossero degli stranieri.
A volte appaiono pure in ribellione con il governo imperiale. Comunque erano politicamente astuti e cercavano di ricavare il maggiore utile possibile da qualunque circostanza politica in cui si trovavano; il loro scopo era quello di conservare la posizione sociale da loro raggiunta e l'importanza del loro partito. Da quanto abbiamo detto, si deduce che avevano poca autorità e avevano poco credito tra il popolo. Comandavano, invece, nelle cose esterne e sociali, però dato che presso la gente prevalevano i criteri dei Farisei, gli stessi Sadducei dovevano uniformarsi in ciò che si riferiva al culto, di cui erano capi supremi; compivano questo solo perché faceva loro comodo. Secondo quanto riferisce G. Flavio, se i Farisei parlavano contro il sommo sacerdote erano subito creduti. Di più: i Farisei chiamavano "popolo della terra" coloro che non appartenevano al loro partito, quand'anche si trattasse di un sadduceo tra i più eminenti. A tutti applicavano il qualificativo di turba maledetta che non conosce la Legge22.

5. Loro rapporti con Gesù
Erano numericamente molto inferiori ai Farisei; per questo e perché a loro non interessavano le disquisizioni, ebbero pochissimi contatti con Cristo. Vengono nominati raramente nei Vangeli e mai nell'Evangelo di Giovanni, dove è usata circa settanta volte la parola "Giudei" come termine tecnico per designare i Sadducei, i Farisei e il giudaismo ufficiale, la cui caratteristica principale è l'ostilità verso Cristo. Sadducei e Farisei, sebbene nemici dichiarati tra di loro, si unirono nella lotta contro Gesù. Tuttavia, almeno all'inizio, i Sadducei si mostravano molto più miti; così si deduce già dalla ambasciata al Battista riferita da Giovanni all'inizio della vita pubblica di Gesù23. È diverso il comportamento dei Sadducei e dei Farisei: ai primi interessa la risposta perché devono rendere conto ai loro capi, in essi si nota, infatti, una certa indifferenza personale. Non vi è quella ostilità che si manifesta già dall'inizio nei Farisei, che incominciano ad essere aggressivi.
Il nome "Sadducei" viene ricordato solo una volta in Marco e un'altra volta in Luca a proposito dell'episodio ricordato più sopra. Matteo, oltre a ricordarli in tale occasione, li cita parlando della predicazione del Battista24 e dopo la moltiplicazione dei pani25.
Caiafa e i sacerdoti furono coloro che condannarono a morte Gesù e perseguitarono pure i primi cristiani26. Non si deve però per questo addossare, tutta la responsabilità della morte di Gesù ai Sadducei, sebbene questi fossero più rigidi nell'applicare le leggi e meno propensi alla clemenza dei Farisei. Si pensa che siano stati i Farisei, e non i Sadducei, i nemici più acerrimi di Gesù. Tutto il c. 23 di Matteo conferma questa opinione. È vero che la dottrina farisaica si avvicinava maggiormente a quella predicata dal Maestro; però le note che si opposero maggiormente allo Spirito di Cristo, sincero, umile ed interiore, furono l'ipocrisia, l'apparato esterno e la casistica illimitata propria dei Farisei.

Eliseo Esposito


  1) Lc 11:42.
  2) Mt 15:1,2.
  3) Mt 15:10,11.
  4) Mt 22:36-38.
  5) 2 Cor 10:17.
  6) Lc 14:1.
  7) Gv 3:1ss.
  8) Lc 23:50,51; Gv 19:38,39.
  9) Atti 5:34-39.
10) Atti 22:3.
11) Fil 3:5.
12) Atti 15:5.
13) I Re 2: 27, 35.
14) Ez 44:15; 48:11.
15) I Cr 5:34 -41; 6:8-15.
16) Esd 3:2.
17) Mt 23:4.
18) Mt 22:23-24; Mc 12:18,19; Lc 20:27-28.
19) Deut 25:5,6.
20) Lc 20:36.
21) Atti 23:8.
22) Gv 7:49.
23) Gv 1:19-26.
24) Mt 3:7.
25) Mt 16:1,6,11,12.
26) Atti 4:1-4; 5:17.