IL DIGIUNO BIBLICO: VALIDITÀ E ATTUALITÀ
di Pino Tarantino

 

 

 

    Dopo il convito in casa di Matteo Levi, che da quel momento seguirà il Signore, sorse una non piccola discussione intorno al digiuno e per questa ragione fu posta a Gesù la domanda: "Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?"
Scopriamo alla luce della Scrittura che cosa era e cos'è il digiuno e soprattutto vediamo come cristiani "nati di nuovo", se il digiuno è una pratica evangelica e qual è la vera ragione che ci spinge a rinunciare a qualsiasi tipo di cibo per un determinato periodo di tempo. Cominciamo dalla definizione.

 

COS'È IL DIGIUNO?

    Colui che digiuna, rinuncia a qualunque cibo per un tempo limitato (l'astinenza completa e durevole da determinati cibi "proibiti" riguarda un altro ambito). Il digiuno biblico presenta un'astinenza da alimenti e talvolta anche da acqua. Nella maggior parte dei casi il digiuno si riferisce all'astinenza totale da alimenti.
L'astensione da cibo e bevanda è una pratica molto comune in tutte le religioni

 

IL DIGIUNO NEL PAGANESIMO

    Nelle religioni pagane si praticava spesso. Era normalmente impiegato come manifestazione del lutto: "Intanto che l'anima dei morti è ancora vicina, nel mangiare e nel bere si deve temere un'infezione demoniaca". 
Nei riti magici il digiuno era considerato un efficace metodo per entrare in contatto con la deità, il modo giusto per aprirsi all'influsso divino ed ottenere quello che era richiesto. Nell'antichità pagana si digiunava per il timore di essere attaccati da demoni. 
Il digiuno era
richiesto anche in certi riti della fertilità. Cosi ad Atene vi era un giorno con il nome del digiuno, celebrato nella festa per la fecondità delle donne, nel mese delle semine (ottobre): "L'astinenza, anche quella sessuale, rende più ricettivi per le forze divine della fecondità"

 

IL DIGIUNO NELL'ANTICO TESTAMENTO

    La Scrittura ci presenta diversi casi di digiuno. Analizziamone alcuni per scoprire cosa spingeva un uomo o un popolo a digiunare:

a) MOSÈ 
Digiunò due volte 40 giorni e 40 notti. La prima volta fu quando si trovava sulla montagna con Dio e ricevette le due tavole della Legge: "Quando io salii sul monte a prendere le tavole di pietra, le tavole del patto che il Signore aveva stipulato con voi, io rimasi sul monte quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane né bere acqua" (Deuteronomio 9:9).
Nel secondo caso era disceso dalla montagna con le tavole della Legge e aveva scoperto che Israele si era ribellato a Dio, adorando un vitello d'oro. Mosè distrusse quest'idolo e implorò Dio di non distruggere il popolo com'Egli aveva dichiarato. Il suo dolore lo riportò a Dio e di nuovo digiunò: "Presi le due tavole, le gettai dalle mie mani e le spezzai sotto i vostri occhi. Poi mi prostrai davanti al Signore, come avevo fatto la prima volta, per quaranta giorni e per quaranta notti; non mangiai pane e non bevvi acqua, a causa del gran peccato che avevate commesso facendo ciò che è male agli occhi del Signore, per irritarlo. Poiché io avevo paura davanti all'ira e al furore da cui il Signore era invaso contro di voi, al punto di volervi distruggere. Ma il Signore mi esaudì anche quella volta" (Deuteronomio 9:17-19).

b) ESDRA
Era l'uomo scelto da Dio per dirigere il ritorno del popolo d'Israele da Babilonia verso la propria città di Gerusalemme. Con grande gioia attraversarono i domini del re, finché arrivarono alla frontiera dove dovettero affrontare il terribile deserto infestato da banditi e da ladri. Erano completamente disarmati e questo li spinse a digiunare ed a pregare: "Laggiù presso il fiume Aava, proclamai un digiuno per umiliarci davanti al nostro Dio, per chiedergli un buon viaggio per noi, per i nostri bambini e per tutto quello che ci apparteneva. Infatti mi vergognavo di chiedere al re una scorta armata e dei cavalieri per difenderci lungo il cammino dal nemico, poiché avevamo detto al re: "La mano del nostro Dio assiste tutti quelli che lo cercano; ma la sua potenza e la sua ira sono contro tutti quelli che l'abbandonano". Così digiunammo e invocammo il nostro Dio a questo scopo, ed egli ci esaudì" (Esdra 8:21-23).

c) NEEMIA
Questo uomo provò grande dolore nel sapere della condizione in cui Gerusalemme versava, per questo si ritrovò ai piedi del Signore con un cuore rotto ed uno spirito contrito: "Anani, un mio fratello e alcuni altri uomini arrivarono da Giuda. Io li interrogai riguardo ai Giudei scampati, superstiti della deportazione e riguardo a Gerusalemme. E quelli mi risposero: "I superstiti della deportazione sono là, nella provincia, in gran miseria e nell'umiliazione; le mura di Gerusalemme restano in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco". Quando udii queste parole, mi misi seduto, piansi e per molti giorni fui in grande tristezza. Digiunai e pregai davanti al Dio del cielo" (Neemia 1:2-4).

d) ESTER
Quando fu decretato lo sterminio del popolo d'Israele, Ester decise di bandire un digiuno, perché era in pericolo la vita del suo popolo oltre che la sua: "Va', raduna tutti i Giudei che si trovano a Susa e digiunate per me, state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno. Anch'io con le mie ancelle digiunerò allo stesso modo; e dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge; e se io debbo perire, che io perisca!" (Ester 4:16).
Il digiuno veniva praticato per prepararsi all'incontro con Dio, come fece Daniele: "Volsi perciò la mia faccia verso Dio, il Signore, per dispormi alla preghiera e alle suppliche, con digiuno, con sacco e cenere" (Daniele 9:3).
Si digiunava anche quando si era tormentati da gravi problemi: "Davide quindi rivolse suppliche a Dio per il bambino e digiunò; poi venne e passò la notte disteso per terra" (2Samuele 12:16).
In una circostanza luttuosa: "Fecero cordoglio e piansero e digiunarono fino a sera, a motivo di Saul, di Gionatan, suo figlio, del popolo del Signore e della casa d'Israele, perché erano caduti in battaglia" (2Samuele 1:12).
Veniva praticato il digiuno anche quando si era in presenza di grandi pericoli nazionali: "Giosafat ebbe paura, si dispose a cercare il Signore e bandì un digiuno per tutto Giuda" (2Cronache 20:3).
Secondo lo spirito della legge mosaica, scopriamo che il digiuno non doveva essere una pratica mistica per rendersi gradito a Dio, ma era un mezzo usato per esprimere la propria umiliazione ed era sempre accompagnato dalla preghiera. 
La legge mosaica imponeva il digiuno soltanto durante il giorno dell'espiazione come "umiliazione dell'anima" ("innah nefesh"): "Questa sarà per voi una legge perenne: nel settimo mese, il decimo giorno del mese, vi umilierete e non farete nessun lavoro, né colui che è nativo del paese, né lo straniero che abita fra di voi" (Levitico 16:29).
Col tempo il digiuno perse il suo vero significato e assunse il valore d'opera meritoria. La lotta dei profeti contro tale atteggiamento e svuotamento spirituale risulterà vana: "Se digiunano, non ascolterò il loro grido; se offrono olocausti e offerte, non li gradirò; anzi io sto per consumarli con la spada, con la fame, con la peste" (Geremia 14:12)

 

IL DIGIUNO AI TEMPI DI GESÙ

    A conferma del fatto che il digiuno assumeva il valore di opera meritoria e si era dunque svuotato del suo vero significato spirituale, scopriamo che al tempo di Gesù, i farisei avevano stabilito almeno due giorni di digiuno ogni settimana e di tale regola si vantavano con tale ostentazione che il Signore dovette riprenderli più volte pubblicamente: "Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo" (Luca 18:11,12).
Vero è che Gesù iniziò il Suo ministerio con un lungo periodo di preghiera e digiuno ma non dimentichiamo che si parla di situazioni che si verificano alla "soglia della salvezza" e che delimitano il passaggio dalla vecchia alla nuova dispensazione "E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame" (Matteo 4:2).
I discepoli di Gesù non praticarono molto il digiuno, tanto che i farisei lo fecero notare: "I discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare. Alcuni andarono da Gesù e gli dissero: "Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?" Gesù disse loro: "Possono gli amici dello sposo digiunare, mentre lo sposo è con loro? Finché hanno con sé lo sposo, non possono digiunare. Ma verranno i giorni, che lo sposo sarà loro tolto; e allora, in quei giorni, digiuneranno" (Marco 2:18-20)

 

IL DIGIUNO NEL NUOVO TESTAMENTO

    Del digiuno si parla unicamente nei Vangeli sinottici e solo due sono i riferimenti contenuti nel libro degli Atti, insieme ad altri due autobiografici di Paolo. In tutto il Nuovo Testamento il termine "nestéuo" (digiunare) appare 20 volte solo nei sinottici e due volte negli Atti, mentre "nestéia" (il digiuno), appare 5 volte, delle quali solo due nelle lettere di Paolo. Scopriamo pertanto che questi vocaboli non compaiono affatto negli scritti Giovannei e nelle epistole Paoline ad esclusione dei due casi sopra citati. Perché si parla così poco del digiuno nel Nuovo Testamento? 
Sorge spontanea anche un'altra domanda: "Il digiuno è una pratica evangelica?" Facciamo rispondere alla Parola di Dio.
Analizziamo i testi del Nuovo Testamento nei quali si parla di digiuno, cominciando dal Vangelo di Marco: "I discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare
. Alcuni andarono da Gesù e gli dissero: "Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?" (Marco 2:18).
Gesù risponde a questa domanda di comprovata importanza con tre esempi servendosi della parabola.

Primo esempio: 
"Possono gli amici dello sposo digiunare, mentre lo sposo è con loro? Finché hanno con sé lo sposo, non possono digiunare. Ma verranno i giorni, che lo sposo sarà loro tolto; e allora, in quei giorni, digiuneranno" (Marco 2:19,20).
Matteo nel passo parallelo parlerà di cordoglio funebre: "Allora si avvicinarono a lui i discepoli di Giovanni e gli dissero: "Perché noi e i farisei digiuniamo e i tuoi discepoli non digiunano?" Gesù disse loro: "Possono gli amici dello sposo far cordoglio finché lo sposo è con loro? Ma verranno i giorni che lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno" (Matteo 9:14,15).
Il primo esempio è tratto dunque da una festa nuziale nella quale il lutto ed il digiuno sarebbero del tutto fuori luogo. Il digiuno, che era un simbolo esterno di cordoglio, non si concilia con una festa (il matrimonio), che a quei tempi durava circa una settimana. Pertanto il tempo in cui i discepoli potevano godere della presenza di Gesù doveva essere per loro una continua festa nella quale il cordoglio era del tutto inopportuno. La forma interrogativa qui usata, equivale ad una più energica affermazione. Il verso "ma verranno i giorni in cui lo sposo sarà tolto ed allora digiuneranno", è spesso citato da coloro che affermano che il digiuno deve essere "obbligatoriamente" praticato. Prima di essere così tassativi, occorre notare che Gesù fa uso della parola "sarà tolto" che esprime violenza, come qualcosa che avviene improvvisamente. È probabile che qui il Signore faccia allusione a quell'intervallo breve di tempo che corse fra il Suo arresto e la crocifissione e la Sua resurrezione. Dunque al gran dolore che aspettava i discepoli, dolore che non può essere sentito più da nessuno: "La donna, quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'angoscia per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana. Così anche voi siete ora nel dolore; ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi toglierà la vostra gioia" (Giovanni 16:21,22).
Taluni sostenitori del "digiuno a tutti i costi", propugnano l'idea che "i giorni in cui lo sposo sarà tolto" indica il periodo che va dal giorno in cui Cristo è risorto, fino al giorno del Suo ritorno. Affermando questo, si dimentica la gioia che provarono i discepoli alla notizia della resurrezione di Gesù che portò il "loro cuore ad ardere" (Luca 24:32).
Non portò gioia l'apparizione di Gesù ai discepoli riuniti e in seguito anche a Tommaso e poi a più di 500 discepoli? Non recarono una grande gioia i successivi e gioiosi effetti del battesimo nello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste, la diffusione del Vangelo e soprattutto la preziosa e positiva promessa che fece Gesù ai Suoi discepoli: "Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente" (Matteo 28:20).
Se dobbiamo condividere il pensiero dei sostenitori che lo sposo tolto rappresenta il Cristo asceso al cielo, dovremmo concludere che la resurrezione di Gesù ha messo la Chiesa in perpetuo dolore.

Secondo esempio: 
"Nessuno cuce un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio; altrimenti la toppa nuova porta via il vecchio e lo strappo si fa peggiore" (Marco 2:21).
Siamo al tempo dei nuovi inizi. Dio sta sopprimendo le cose antiche. Il vecchio e il nuovo non possono vivere insieme. Immaginate un pezzo di lana nuovo applicato su un vecchio vestito. Al primo lavaggio diventerebbe ruvida e ritirandosi il tessuto si staccherebbe e lo strappo sarebbe peggiore del precedente. Il "vestito vecchio" rappresenta le forme ed osservanze esteriori della dispensazione antica, ormai invecchiate e vicine a svanire. 
Il "vestito nuovo" è la spiritualità e la libertà evangelica recata da Cristo. La vita nuova del credente non potrebbe pertanto aggiungersi, a guisa di toppa, all'antico sistema legale al quale i farisei stavano attaccati. Il vecchio doveva sparire, tutto doveva rinnovarsi. In una nuova dimensione era collocato dunque anche il digiuno. 

Terzo esempio: 
"Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino fa scoppiare gli otri e il vino si perde insieme con gli otri; ma il vino nuovo va messo in otri nuovi" (Marco 2:22).
Gli otri di cui parlava Gesù erano ottenuti da pelle di capra o in alcuni casi da pelli di maiali e prendevano la forma dell'animale da cui provenivano. Gesù affermava che prima di versare "il vino nuovo", bisognava preparare nuovi otri. Infatti, il vino nuovo che non ha finito di fermentare, chiuso in una di queste pelli già indebolite e irrigidite per vecchiezza, le farebbe senza dubbio rompere ed il vino andrebbe perduto. Le pelli nuove invece, sono elastiche e capaci di sopportare la fermentazione. 
Secondo alcuni, questi otri rappresenterebbero le persone: quindi gli otri vecchi sarebbero i Farisei e gli uomini dell'ordine antico. Secondo altri rappresenterebbero due sistemi diversi. Nel vino nuovo è simboleggiato il Vangelo con la Sua forza d'estensione e gli otri nuovi sarebbero la legge della libertà, il servire secondo lo spirito e non secondo la lettera. Negli otri vecchi è indicata invece la dispensazione cerimoniale giudaica. Ecco allora che il digiuno rientra nelle osservanze cerimoniali che Giovanni Battista stesso metteva in pratica. 
Pertanto il digiuno assume una caratteristica ed una valenza diversa rispetto all'Antico Testamento. L'irruzione del regno di Dio, la presenza del Messia, la lieta novella che annuncia la salvezza senza bisogno di opere preliminari, sono tutte cose che significano gioia ed escludono quindi il digiuno in senso giudaico. Visto dal centro messianico della predicazione di Gesù, questo digiuno è qualcosa di passato, di superato. Quando i vangeli collegano le immagini della toppa nuova sul vestito vecchio e del vino nuovo negli otri vecchi, vogliono farci capire che con Gesù il digiuno è un fatto superato. Infatti, "dal primo secolo non abbiamo notizia di cristiani che si siano imposti volontariamente il digiuno" (Behm 933). 
Tuttavia l'unitarietà di questo modo di vedere è posta in discussione da una serie di affermazioni. Taluni a sostegno della loro tesi che il digiuno deve essere "necessariamente praticato", citano l'esempio di Gesù che all'inizio della sua attività ha digiunato quaranta giorni e quaranta notti. Non dimentichiamo che qui si tratta di un fatto che si pone "alle soglie" della salvezza.
Molti per sostenere il digiuno citano Matteo 6:1-6,18, affermando che qui Gesù condanna non il digiuno come tale, ma la maniera esibizionistica di praticarlo. Si può osservare che l'ammonimento è rivolto ai giudei e non alla comunità dei discepoli.
Si discute molto intorno al verso della liberazione del posseduto, ottenibile attraverso la preghiera ed il digiuno: "Questa specie di demòni non esce se non per mezzo della preghiera e del digiuno" (Matteo 17:21).
Scopriamo innanzi tutto che il passo parallelo non parla di digiuno: "Egli disse loro: "Questa specie di spiriti non si può fare uscire in altro modo che con la preghiera" (Marco 9:29).
Occorre poi mettere in evidenza che Gesù parla di una certa "specie" di demoni e quindi eventualmente si riferisce a casi particolari. Si deve riconoscere naturalmente che il Signore onora la fede semplice dei credenti e che, in diversi casi, molti sono stati liberati da legami e possessioni demoniache per la preghiera ed il digiuno esercitati sulla base di questa promessa. 
Appare tuttavia strano che in tutta l'esperienza della Chiesa dell'era apostolica non esista neanche un caso simile a quello del fanciullo lunatico, nel quale la liberazione di un "posseduto dai demoni" sia avvenuta per mezzo del digiuno. Bisogna notare che la dichiarazione del testo evangelico in questione è precedente al mandato di Gesù ai discepoli contenuto in Marco 16:17: "Questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: nel nome mio scacceranno i demòni; parleranno in lingue nuove".
È evidente che quest'ordine doveva essere adempiuto dopo che lo Spirito Santo sarebbe stato sparso su loro, infatti, allora soltanto i discepoli avrebbero ricevuto "potenza" per essere testimoni. Per ciò che riguarda la liberazione dalle possessioni demoniache, nel libro degli Atti degli apostoli abbiamo diversi casi: 

a) A Gerusalemme si parla di segni e prodigi compiuti fra il popolo per le mani degli apostoli. 
Dal contesto appare chiaro che la liberazione si verificava quando veniva ordinato ai demoni di lasciare l'individuo nel nome di Gesù: "La folla accorreva dalle città vicine a Gerusalemme, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi; e tutti erano guariti" (Atti 5:16).

b) A Samaria tutti prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo le liberazioni spirituali da demoni. 
Anche qui non si parla di preghiera e digiuno, ma viene rilevato l'immediato intervento della potenza di Dio: "E le folle unanimi prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, ascoltandolo e osservando i miracoli che faceva. Infatti gli spiriti immondi uscivano da molti indemoniati, mandando alte grida; e molti paralitici e zoppi erano guariti" (Atti 8:6,7).

c) Il caso di Filippi riporta con chiarezza il metodo usato nella chiesa dell'era apostolica.
Così leggiamo nel libro degli Atti: "Mentre andavamo al luogo di preghiera, incontrammo una serva posseduta da uno spirito di divinazione. Facendo l'indovina, essa procurava molto guadagno ai suoi padroni. Costei, messasi a seguire Paolo e noi, gridava: "Questi uomini sono servi del Dio altissimo e vi annunziano la via della salvezza". Così fece per molti giorni; ma Paolo, infastidito, si voltò e disse allo spirito: "Io ti ordino, nel nome di Gesù Cristo, che tu esca da costei". Ed egli uscì in quell'istante" (Atti 16:16-18).

d) Ad Efeso. 
In questa città avvenne la stessa cosa: "Dio intanto faceva miracoli straordinari per mezzo di Paolo; al punto che si mettevano sopra i malati dei fazzoletti e dei grembiuli che erano stati sul suo corpo e le malattie scomparivano e gli spiriti maligni uscivano" (Atti 19:11,12).

e) Sempre ad Efeso.
Alcuni sconsiderati cercarono di scacciare i demoni, ma senza che vi fosse da parte loro l'impiego del digiuno: "Or alcuni esorcisti itineranti giudei tentarono anch'essi d'invocare il nome del Signore Gesù su quelli che avevano degli spiriti maligni, dicendo: "Io vi scongiuro, per quel Gesù che Paolo annunzia" (Atti 19:13).
I testi citati testimoniano chiaramente che la pratica della prima Chiesa cristiana, nella liberazione dai legami demoniaci, era quella di scacciare gli spiriti maligni nel nome di Gesù e non quella della preghiera e del digiuno. 
Abbiamo già detto che nel libro degli Atti degli apostoli esistono soltanto due riferimenti al digiuno:

A. In Antiochia di Siria. 
Leggiamo cosa scrive San Luca: "Mentre celebravano il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: "Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati". Allora, dopo aver digiunato, pregato e imposto loro le mani, li lasciarono partire" (Atti 13:2,3).
Il testo è molto chiaro e riproduce la celebrazione del culto al Signore in una comunità cristiana del primo secolo. La chiesa è radunata per conoscere la volontà di Dio in merito all'adempimento del Suo programma e sembra quasi che i credenti abbiano deciso di passare la giornata in preghiera. Considerando l'impegno primario, che è quello di consacrare appieno la propria vita al Signore, i credenti hanno ritenuto di non interrompere la preghiera per pensare al cibo e restare così uniti nell'adorazione e nella comunione con Dio. Ad un certo punto si manifesta un carisma dello Spirito Santo (profezia oppure lingue ed interpretazione) che conferma ciò che Paolo e Barnaba sentivano in cuore. La comunità, però, rimane ancora davanti al Signore in preghiera fino a che lo Spirito Santo non conferma a ciascuno ciò che aveva precedentemente comunicato a tutti, dopo di che i credenti riconoscono, con l'imposizione delle mani, la particolare vocazione di Paolo e di Barnaba impegnandosi a sostenerli spiritualmente, moralmente e materialmente. Non compare alcun riferimento al digiuno, come mortificazione o particolare opera meritoria che induca Dio a rispondere. Troviamo soltanto manifestato il principio della priorità. 
Quante volte quando abbiamo qualche impegno importante da assolvere, diciamo ai nostri familiari: "Oggi non torno a casa per il pranzo, non posso interrompere le mie attività, è troppo importante". Rispettando lo stesso principio che attribuisce importanza primaria alla causa di Cristo, i credenti di Antiochia decisero di rimanere davanti al Signore senza alcuna interruzione. 

b. Un caso simile al precedente. 
Lo troviamo in Atti 14:23: "Dopo aver designato per loro degli anziani in ciascuna chiesa e aver pregato e digiunato, li raccomandarono al Signore, nel quale avevano creduto".
Il digiuno anche qui segue e non precede la preghiera ed è usato non come mezzo per avvicinarsi di più a Dio, ma unicamente per dimostrare la fondamentale importanza che hanno le cose di Dio rispetto alle necessità quotidiane della vita. I discepoli, pertanto, praticano il digiuno, quasi inconsapevolmente, quando credono di dover trascorrere un periodo di preghiera senza essere interrotti da pensieri secondari. Dando spazio e tempo alle cose più importanti, quasi automaticamente, con grande semplicità e senza ostentazione, si astengono dal partecipare alla mensa, perché questa può rappresentare una distrazione dallo scopo che si sono prefissi. Quindi, non si tratta di un'ingiunzione con carattere di limitazione, privazione, penitenza o rinuncia, ma è espressione di uno spontaneo sentimento rivolto a fare posto alle cose più importanti. Potremmo definire quest'attitudine: "Pregare digiunando". 
Quando si desidera una cosa a tal punto da non pensare al cibo, questo desiderio diventa un gemito del cuore con intercessioni che non possono essere espresse, per avere una maggior comunione con Gesù. Dio non desidera la distruzione del nostro corpo ma la nostra salute: "Carissimo, io prego che in ogni cosa tu prosperi e goda buona salute, come prospera l'anima tua" (3Giovanni 1:2).
Uno studioso afferma: "Con Gesù il digiuno è un fatto superato. Infatti, dal primo secolo non abbiamo notizie di cristiani che si siano sottoposti volontariamente al digiuno. Le lettere del Nuovo Testamento non ci spendono sopra una parola". 
Sembra che l'usanza del digiuno fosse completamente assente dalle comunità ellenistiche, come fa pensare la mancanza di questi concetti nella letteratura epistolare, soprattutto in Paolo (i due passi di 2Corinzi sono dati autobiografici). 
È evidente che i cristiani del primo secolo consideravano superato il concetto di sacrificio e di opera meritoria attribuito al digiuno, in quanto non occorre più la mortificazione e la penitenza per entrare in rapporto con Dio. Gesù ha pagato completamente il prezzo per il riscatto dell'anima dei credenti e la Sua opera è perfetta, perché da Dio siamo adottati, per mezzo di Gesù Cristo, come Suoi figli: "Avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio" (Efesini 1:5-6)

 

IL DIGIUNO NEI MOVIMENTI DI RISVEGLIO

    Ogni grande leaders cristiano, che ha mosso la sua generazione con la potenza di Dio, ha comunque fatto l'esperienza del digiuno. Il primo raggio di luce per una vera riforma spirituale che apparse per disperdere le tenebre della notte spirituale nell'epoca dell'oscurantismo, venne nel secolo XIV con la predicazione di Savonarola in Italia, a Firenze. Il risultato ottenuto da questo famoso predicatore fu che durante un certo tempo quasi tutta la città di Firenze si convertì a Cristo. Questo grande predicatore era continuamente ai piedi del Signore, per cui il mangiare spesso perdeva l'aspetto prioritario nella sua vita. Gli storici affermano che con difficoltà poteva mantenersi in piedi dietro il pulpito data la sua gran debolezza per mancanza d'alimentazione. Il suo movimento spirituale divenne tanto pericoloso per il papato che le autorità della chiesa lo tradirono e alla fine lo bruciarono al rogo nella piazza della stessa città dove molti dei suoi potenti sermoni e trionfi furono acclamati. Mentre le fiamme che chiudevano la vita di questo meraviglioso uomo di Dio illuminavano il cielo di Firenze, Dio stava preparando la Germania per la nascita della grande riforma diretta da Martin Lutero. Anche di questo fedele e coraggioso cristiano si dice che abbia digiunato. 
Giovanni Calvino a Ginevra fece l'esperienza della preghiera seguita dal digiuno. Giovanni Knox in Scozia pregò, digiunò e aspettò fino a che Dio tolse a Maria il trono di Scozia. Ella che era molto nemica dei cristiani, finì in esilio in Inghilterra e alla fine fu ghigliottinata. I libri di storia raccontano che questa donna affermò di avere più paura delle preghiere di Giovanni Knox che di tutti gli eserciti di Elisabetta, regina d'Inghilterra. 
Potremmo parlare di John Wesley, Jonathan Edwards, Charles Finney e l'elenco potrebbe essere lungo ed interminabile a conferma che se è vero che il digiuno è stato ed è praticato da tutti gli uomini di Dio è anche vero che mai è stato fatto per muovere a compassione il Signore, ma semplicemente perché chi andava ai piedi del Signore, desiderava rimanerci il più tempo possibile.

 

LA GIUSTA ATTITUDINE

    Possiamo terminare lo studio affermando che:

1. Il digiuno non è un MERITO: 
"Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo, che egli ha sparso abbondantemente su di noi per mezzo di Cristo Gesù, nostro Salvatore, affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna" (Tito 3:5-7).

2. Il digiuno non "costringe" Dio a rispondere.

3. "Sia fatta la tua volontà", deve continuamente essere l'obiettivo del vero credente.

4. Il digiuno non deve essere un affliggere il corpo, ma una ricerca da parte del credente a trovare o ritrovare comunione con Dio: 
"Infatti io so i pensieri che medito per voi", dice il Signore: "pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. Voi m'invocherete, verrete a pregarmi e io vi esaudirò. Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; io mi lascerò trovare da voi", dice il Signore; "vi farò tornare dalla vostra prigionia; vi raccoglierò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho cacciati", dice il Signore" (Geremia 29:11-14).
Ricordiamoci che viene prima la preghiera e poi il digiuno e quando lo pratichiamo domandiamoci con grande sincerità di cuore:

A) È completamente assente in noi l'idea che Dio si "commuova" e ci risponda? 

B) È lontano dalla nostra mente il concetto di opera meritoria?

C) Lo pratichiamo senza ostentazione e vanto? 

D) Diamo maggior valore alla preghiera ininterrotta o al digiuno che ne consegue?

CONCLUSIONE

Se sinceramente, davanti a Dio, possiamo rispondere in maniera affermativa, allora esercitiamo pure il digiuno, perché corrisponde allo spirito di semplicità che deve caratterizzare ogni azione dei credenti evangelici. Se invece non siamo certi dei nostri sentimenti, aspettiamo che lo Spirito Santo c'illumini e ci aiuti perché non corriamo lo stesso rischio di coloro che digiunano e si sacrificano pensando così di ottenere un particolare privilegio dal Signore: "Grida a piena gola, non ti trattenere, alza la tua voce come una tromba; dichiara al mio popolo le sue trasgressioni, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. Mi cercano giorno dopo giorno, prendono piacere a conoscere le mie vie, come una nazione che avesse praticato la giustizia e non avesse abbandonato la legge del suo Dio; mi domandano dei giudizi giusti, prendono piacere ad accostarsi a Dio. "Perché", dicono essi, "quando abbiamo digiunato, non ci hai visti? Quando ci siamo umiliati, non lo hai notato?" Ecco, nel giorno del vostro digiuno voi fate i vostri affari ed esigete che siano fatti tutti i vostri lavori. Ecco, voi digiunate per litigare, per fare discussioni e colpite con pugno malvagio; oggi, voi non digiunate in modo da far ascoltare la vostra voce in alto. É forse questo il digiuno di cui mi compiaccio, il giorno in cui l'uomo si umilia? Curvare la testa come un giunco, sdraiarsi sul sacco e sulla cenere, è dunque questo ciò che chiami digiuno, giorno gradito al Signore? Il digiuno che io gradisco non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo? Non è forse questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne? Allora la tua luce spunterà come l'aurora, la tua guarigione germoglierà prontamente; la tua giustizia ti precederà, la gloria del Signore sarà la tua retroguardia. Allora chiamerai e il Signore ti risponderà; griderai, ed egli dirà: Eccomi! Se tu togli di mezzo a te il giogo, il dito accusatore e il parlare con menzogna; se tu supplisci ai bisogni dell'affamato e sazi l'afflitto, la tua luce spunterà nelle tenebre e la tua notte oscura sarà come il mezzogiorno; il Signore ti guiderà sempre, ti sazierà nei luoghi aridi, darà vigore alle tue ossa; tu sarai come un giardino ben annaffiato, come una sorgente la cui acqua non manca mai. I tuoi ricostruiranno sulle antiche rovine; tu rialzerai le fondamenta gettate da molte età e sarai chiamato il riparatore delle brecce, il restauratore dei sentieri per rendere abitabile il paese" (Isaia 58:1-12)