“FATELE FRUTTARE FINO AL MIO RITORNO”

 

 

 

Luca 19:12-27: “Mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio stesse per manifestarsi immediatamente. Disse dunque: «Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l'investitura di un regno e poi tornare. Chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Or i suoi concittadini l'odiavano e gli mandarono dietro degli ambasciatori per dire: “Non vogliamo che costui regni su di noi”. Quando egli fu tornato, dopo aver ricevuto l'investitura del regno, fece venire quei servi ai quali aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ognuno avesse guadagnato mettendolo a frutto. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci”. Il re gli disse: “Va bene, servo buono; poiché sei stato fedele nelle minime cose, abbi potere su dieci città”. Poi venne il secondo, dicendo: “La tua mina, Signore, ha fruttato cinque mine”. Egli disse anche a questo: “E tu sii a capo di cinque città”. Poi ne venne un altro che disse: “Signore, ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato”. Il re gli disse: “Dalle tue parole ti giudicherò, servo malvagio! Tu sapevi che io sono un uomo duro, che prendo quello che non ho depositato e mieto quello che non ho seminato; perché non hai messo il mio denaro in banca, e io, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l'interesse?” Poi disse a coloro che erano presenti: “Toglietegli la mina e datela a colui che ha dieci mine”. Essi gli dissero: “Signore, egli ha dieci mine!” “Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che io regnassi su di loro, conduceteli qui e uccideteli in mia presenza”». 

 

LA PARABOLA DELLE MINE

Cos’aspettavano i contemporanei di Gesù? Un nuovo re, più forte di Davide, che avrebbe instaurato un regno glorioso. I discepoli, e quanti stavano seguendo Gesù, si rendevano conto che il loro Maestro stava per raggiungere Gerusalemme e, con essa, la fase culminante della Sua missione, perché i capi religiosi si stavano preparando ad arrestarLo. I discepoli, tuttavia, non credevano che Gesù si sarebbe lasciato vincere. Essi conoscevano la potenza di Cristo ed erano sicuri che Egli avrebbe sconfitto i nemici, liberato Israele dal giogo romano e sarebbe stato loro re. Per questo motivo la crocifissione rappresentò per i discepoli una sconfitta e generò in loro scoraggiamento, delusione e frustrazione ed alcuni di loro tornarono indietro: “Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi; e parlavano tra di loro di tutte le cose che erano accadute. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano. Egli domandò loro: «Di che discorrete fra di voi lungo il cammino?» Ed essi si fermarono tutti tristi. Uno dei due, che si chiamava Cleopa, gli rispose: «Tu solo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che vi sono accadute in questi giorni?» Egli disse loro: «Quali?» Essi gli risposero: «Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele” (Luca 24:13-21).

Anche dopo la resurrezione, una delle ultime domande che i discepoli posero a Gesù, riguardava l’instaurazione del Regno: “Quelli dunque che erano riuniti gli domandarono: «Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?” (Atti 1:6).

Tutti costoro, però, si sbagliavano sia sulla natura del Regno di Dio, sia in merito al tempo della sua instaurazione, sia sulla loro responsabilità nei riguardi del Re. Il Signore cercò di correggere le loro presunte attese e lo fece anche servendosi di parabole, come quella che ci stiamo accingendo a studiare. È molto probabile che quest’illustrazione alluda ad un avvenimento pubblico, noto a tutti. Circa trenta anni prima, Archelao, figlio di Erode il Grande, era giunto fino a Roma per ricevere l’investitura per governare su Israele. Quando questi tornò, i Giudei si opposero al suo governo, perché ne conoscevano l’indole ed il carattere. Costoro, perciò, mandarono un’ambasciata all’Imperatore romano, tuttavia Archelao ritenne la corona. Naturalmente egli non usò clemenza verso quanti lo avevano avversato.

 

NON È UN DUPLICATO DELLA PARABOLA DEI TALENTI

Molti hanno considerato la parabola delle mine come una narrazione artefatta di quella dei talenti. In entrambe si parla di un ricco potente, di servitori, dei quali uno è infedele, e presentano uno stesso messaggio: “Trafficate finché io venga”. Anche se la parabola delle mine ricalca quella dei talenti, le due sono diverse. Vediamo queste diversità.

Ø      Ø      La parabola dei talenti è pronunziata sul monte degli Ulivi: “Mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si avvicinarono in disparte, dicendo: «Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell'età presente?» (Matteo 24:3).

q       q       La parabola delle mine è pronunziata tra Gerico e Gerusalemme: “Mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio stesse per manifestarsi immediatamente” (Luca 19:11).

Ø      Ø      La parabola dei talenti è rivolta solo ai discepoli: “Mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si avvicinarono in disparte” (Matteo 24:3).

q       q       La parabola delle mine è rivolta alla folla: “Veduto questo, tutti mormoravano, dicendo: «É andato ad alloggiare in casa di un peccatore!» Ma Zaccheo si fece avanti e disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo». Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d'Abraamo; perché il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto». Mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio stesse per manifestarsi immediatamente” (Luca 19:7-11).

Ø      Ø      La parabola dei talenti, presenta un ricco commerciante, che distribuisce otto talenti, tutti i suoi beni: “«Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì” (Matteo 25:14,15).

q       q       La parabola delle mine presenta un pretendente al trono, che affida dieci mine, parte dei suoi averi: “Disse dunque: «Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l'investitura di un regno e poi tornare. Chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: “Fatele fruttare fino al mio ritorno” (Luca 19:12,13).

Ø      Ø      Il valore del denaro è diverso, infatti, un talento vale 125.000 euro circa 250 milioni di vecchie lire.

q       q       Una mina vale 2.000 euro circa 4 milioni di vecchie lire.

Ø      Ø      Nella parabola dei talenti, questi sono assegnati a tre servitori: “A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì” (Matteo 25:15).

q       q       Nella parabola delle mine, esse sono assegnate a dieci servitori: “Chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: “Fatele fruttare fino al mio ritorno” (Luca 19:13).

Ø      Ø      Nella parabola dei talenti la suddivisione è diversa, infatti, un servo ha cinque talenti, un altro due e l’ultimo un talento.

q       q       Nella parabola delle mine, tutti hanno una mina.

Ø      Ø      Nella parabola dei talenti i servi fedeli raddoppiano il capitale: “Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due” (Matteo 25:16,17).

q       q       Nella parabola delle mine esse fruttano molto di più: “Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci”. Il re gli disse: “Va bene, servo buono; poiché sei stato fedele nelle minime cose, abbi potere su dieci città”. Poi venne il secondo, dicendo: “La tua mina, Signore, ha fruttato cinque mine”. Egli disse anche a questo: “E tu sii a capo di cinque città” (Luca 19:17-19).

Ø      Ø      Nella parabola dei talenti, uno dei servi sotterrò il talento per “custodirlo”: “Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone” (Matteo 25:18).

q       q       Nella parabola delle mine, il servo infedele conservò la mina in un fazzoletto: “Poi ne venne un altro che disse: “Signore, ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato” (Luca 19:20,21).

Ø      Ø      Nella parabola dei talenti non si parla di nemici, ma solo di servi fedeli ed infedeli.

q       q       Nella parabola delle mine i concittadini si oppongono al regno dell’uomo nobile: “Or i suoi concittadini l'odiavano e gli mandarono dietro degli ambasciatori per dire: “Non vogliamo che costui regni su di noi” (Luca 19:14).

I tanti particolari diversi dimostrano che le due stesure sono dissimili. Vediamo lo schema di seguito.

 

   PARABOLA DEI TALENTI                          PARABOLA DELLE MINE

È pronunziata sul monte degli Ulivi (Matteo 24:3).

È pronunziata tra Gerico e Gerusalemme (Luca 19:11).

È rivolta ai discepoli (Matteo 24:3).

È rivolta alla folla (Luca 19:7-11).

Presenta un ricco commerciante (Matteo 25:14,15).

Presenta un pretendente al trono (Luca 19:12,13).

Rappresentano tutti i beni del padrone (Matteo 25:14).

Sono parte degli averi dell’uomo nobile (Luca 19:12).

Un talento vale 125.000 euro

Una mina vale 2.000 euro

Sono assegnati a tre servitori (Matteo 25:15).

Sono assegnate a dieci servitori (Luca 19:13).

C’è differenza di distribuzione (Matteo 25:15).

Ciascuno riceve la stessa cifra (Luca 19:13).

I servi fedeli raddoppiano il capitale (Matteo 25:16,17).

I servi fedeli hanno risultati diversi (Luca 19:17-19).

Il terzo servitore lo sotterrò (Matteo 25:18).

Il terzo servitore la conservò in un fazzoletto (Luca 19:20,21).

Non si parla di nemici

Si parla di nemici (Luca 19:14)

 

I PERSONAGGI DELLA PARABOLA

 

A. Un uomo nobile. La parabola presenta “un uomo nobile”, col quale Gesù raffigura Se stesso. Egli è, infatti, di nobile origine: “L'Eterno mi disse: Tu sei il mio figlio, oggi io t'ho generato” (Salmo 2:7).

Quest’uomo nobile, ha dei discepoli ai quali promette che sarebbe partito per poi ritornare. Non è ciò che ha fatto il Signore?: “Dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi. E come essi avevano gli occhi fissi al cielo, mentre egli se ne andava, due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo» (Atti 1:9-11).

 

B. I servitori. Costoro sono delle persone qualunque, che hanno il solo pregio di essere stati chiamati al servizio di questo uomo importante. Essi ricordano i credenti, scelti da ogni estrazione sociale e resi ambasciatori di Sua Maestà il Re dei re!: “Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia” (1Pietro 2:9,10).

 

C. I concittadini. La parabola presenta, infine, i concittadini, dei quali la Scrittura registra l’accanimento contro quell’uomo nobile. Costoro si dimostrano compatti nel rifiuto e nell’opposizione al suo governo. Essi rappresentano i Giudei come nazione e ricordano i religiosi del tempo, ostili a Cristo e forse rappresentano anche tutti coloro che si oppongono a Cristo.

 

LA MISSIONE DEI SERVI

 

Prima di partire per “un paese lontano” quell’uomo nobile affida ai servi una missione di fedeltà: trafficare una mina. Egli assegnò una moneta del valore di cento dramme ad ogni servitore, perché, nell’attesa del suo ritorno, gli dessero prova di fedeltà. Nessuno dei servi sapeva quali sarebbero stati i progetti del loro padrone, la podestà su delle città, perché forse allora si sarebbero impegnati ancora di più. Bastava, però, l’ordine del loro signore per indurli al servizio fedele. Quell’uomo nobile non dà nessun particolare di quanto avverrà in seguito, tranne che ingiunge loro di trafficare fino al suo ritorno. Tale è l’invito che Cristo fa oggi a ciascuno di noi: “Beati quei servi che il padrone, arrivando, troverà vigilanti! In verità io vi dico che egli si rimboccherà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Luca 12:37).

La mina non rappresenta i beni materiali o le capacità spirituali, che come i talenti sono distribuiti in modo disuguale, ma piuttosto i doni che Dio dà equamente a tutti i credenti, come la salvezza, il perdono dei peccati, la fede, il suggello dello Spirito Santo, l’Evangelo, la speranza della gloria.

a.      a.      Si deve trafficare la salvezza per crescere nella grazia: “Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l'autocontrollo; all'autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l'affetto fraterno; e all'affetto fraterno l'amore” (2Pietro 1:5-7).

b.      b.      Si deve trafficare il suggello dello Spirito Santo per vivere la pienezza: “Affinché giungiate ad esser ripieni di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:19).

c.      c.      Si deve trafficare l’Evangelo per condurre le anime a Cristo: “Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato” (Marco 16:15).

d.      d.      Si deve trafficare la fede per permettere il compimento dell’opera di Dio in noi: “Poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com'è scritto: «Il giusto per fede vivrà» (Romani 1:17).

Qualunque sia il valore dato alla mina, più questa viene trafficata e più acquista valore: “Seguendo la verità nell'amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo” (Efesini 4:15); - “Ma crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. A lui sia la gloria, ora e in eterno. Amen” (2Pietro 3:18).

 

IL RITORNO DEL RE

Quell’uomo nobile parte senza aver preso il regno, ma lasciandosi dietro solo dei servi; Egli ha solo dichiarato il suo certo ritorno, ma non ne ha stabilito alcun tempo specifico. La menzione di un paese lontano potrebbe indicare che sarebbe passato del tempo prima che quello fosse tornato investito del potere regale. Nell’attendere il ritorno del loro re, i servitori avrebbero dovuto trafficare e non essere indolenti. Nessuno, infatti, doveva pensare che, poiché quell’uomo nobile doveva rimanere lontano molto tempo, non ci sarebbe stata alcun’urgenza nell’impegnarsi a trafficare. Allo stesso modo il Signore chiede che i credenti servano nella Sua opera, non solo nella certezza, ma anche nell’imminenza del Suo ritorno: «Ecco, sto per venire. Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro» (Apocalisse 22:7).

I credenti devono, perciò, trafficare i doni di Dio, aspettando fiduciosi la Sua apparizione: “Infatti la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata e ci insegna a rinunziare all'empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù” (Tito 2:13).

 

IL PREMIO

Un giorno improvvisamente il re tornò per governare nel suo regno, ma prima di ciò egli chiamò i servi a rendergli conto del loro operato. Egli ben sapeva che i suoi concittadini lo odiavano ed erano imperterriti a respingere il suo governo, però si aspettava che almeno i suoi servitori avessero dato prova di fedeltà. Mentre il mondo esalta il successo, il Signore ricerca la fedeltà: “Coltiva la fedeltà” (Salmo 37:3).

Egli chiede di essere fedeli in tutti quei compiti che ci sono stati assegnati, e così valuterà il nostro operato: “Del resto, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele” (1Corinzi 4:2).

Quell’uomo nobile aveva dato la mina a dieci servitori e di quelli solo tre comparvero davanti al Re. Gli altri dissiparono i beni affidati. Prima della sua partenza tutti e dieci erano servitori, ma al suo ritorno sette non vi si riconoscono più. Quando il nostro re tornerà, troverà in noi la fedeltà?: “Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca 18:8).

Ancora un brevissimo tempo e Colui che ha promesso di tornare, tornerà: “«Ancora un brevissimo tempo e colui che deve venire verrà e non tarderà; ma il mio giusto vivrà per fede; e se si tira indietro, l'anima mia non lo gradisce» (Ebrei 10:37,38).

Quei sette, quindi, si sono autoesclusi, perché avevano rinnegato il loro signore e non si erano preoccupati di attendere alla sua volontà. I tre servitori, che si presentarono davanti al Re, rappresentano tre classi di credenti:

 

A. Il primo guadagna dieci volte il capitale affidato. Egli riceve parole d’elogio per la sua fedeltà nelle cose minime: “Chi è fedele nelle cose minime, è pur fedele nelle grandi”: “Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci”. Il re gli disse: “Va bene, servo buono; poiché sei stato fedele nelle minime cose, abbi potere su dieci città” (Luca 19:16,17).

Il Re lo costituisce governatore di una decapoli.

 

B. Il secondo guadagna cinque volte il capitale affidato. Egli rappresenta quanti avrebbero potuto fare di più. Anche per questo servitore ci sono parole di elogio, anche se non nel modo con cui il Re si è rivolto al primo: “Poi venne il secondo, dicendo: “La tua mina, Signore, ha fruttato cinque mine”. Egli disse anche a questo: “E tu sii a capo di cinque città” (Luca 19:18,19).

Il Re lo costituisce governatore di una pentapoli. La fedeltà dimostrata anche nei compiti più semplici, c’innalza verso posizioni d’autorità. Quei servitori avevano ricevuto l’amministrazione di mine, ma ora avranno la responsabilità su città, quindi per ricompensa ottennero una più grande opportunità di servizio. Naturalmente non possiamo precisare in cosa consista quel tipo di amministrazione, perché non ci sono altri cenni nelle Scritture. È importante però ricordare che quei due servitori non si attribuirono il merito di quanto guadagnato, perché riconobbero che era stata la mina a far fruttare altro capitale.

 

C. Il terzo non è riuscito a guadagnare nulla. Non solo non ha fatto fruttare la mina affidatagli, ma addossa la colpa della mancata capitalizzazione alla durezza del suo padrone: “Poi ne venne un altro che disse: “Signore, ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato” (Luca 19:20,21).

Questo servitore lo aveva descritto ingiustamente come un uomo esigente, ma non aveva riflettuto che, in quanto servo, costui aveva il dovere di ubbidire incondizionatamente. Quell’uomo nobile era davvero duro? L’aver dichiarato quanto il servo pensava non implica il comprovare la propria severità. Infatti, a motivo di poche mine guadagnate, due conservi avevano ricevuto grandi responsabilità. Può essere duro un Re tanto generoso? Taluni affermano che Dio è severo. La Scrittura non ce Lo rivela così: “Il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (Esodo 20:5,6).

Il Signore è buono, ma Egli è anche giusto ed è il Giudice di chi si rifiuta di esserGli amico. Questo servitore infedele e pigro, però, ha almeno curato quanto il suo signore gli aveva affidato e si è preoccupato di restituirglielo. Egli ricorda quanti, pur essendo credenti, non si danno peso di ubbidire al Signore e di partecipare agli altri quanto hanno ricevuto in dono: “Il re gli disse: “Dalle tue parole ti giudicherò, servo malvagio! Tu sapevi che io sono un uomo duro, che prendo quello che non ho depositato e mieto quello che non ho seminato; perché non hai messo il mio denaro in banca, e io, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l'interesse?” Poi disse a coloro che erano presenti: “Toglietegli la mina e datela a colui che ha dieci mine”. Essi gli dissero: “Signore, egli ha dieci mine!” “Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Luca 19:16-22).

La parabola ne descrive il giudizio, ma il suo è ben diverso da chi ha nascosto il talento nella terra: “E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti” (Matteo 25:30).

In quanto servitore, che ha amato il Re, egli resta nella Sua reggia, anche se non riceve nessun premio per la sua fedeltà. Questo tipo di giudizio ricorda quello che è riservato ai credenti: “Poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù. Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l'opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l'opera di ciascuno. Se l'opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l'opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco” (1Corinzi 3:11-15).

Questo è il giudizio delle opere, dove la fedeltà è premiata e l’infedeltà punita: “Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male” (2Corinzi 5:10).

Quel Re ordina ai suoi servitori di togliere la mina all’immeritevole del premio e di darla a chi ne aveva guadagnate dieci. Questa dichiarazione suscita la sorpresa dei presenti, ma ciò consente al Signore di esporre una verità molto importante: quanto maggiore è l’impegno e la fedeltà dimostrata, tanto più la ricompensa è abbondante: “Toglietegli la mina e datela a colui che ha dieci mine”. Essi gli dissero: “Signore, egli ha dieci mine!” “Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Luca 19:22).

Di contro alla pigrizia ed all’infedeltà consegue la perdita del premio.

 

L’EPILOGO DELLA PARABOLA

Dopo che i concittadini ebbero saputo che quel nobile uomo avrebbe avuto il diritto di regnare, anziché accettarlo, lo rifiutarono. La condanna dei concittadini è diversa da quella del servo disutile: “E quei miei nemici che non volevano che io regnassi su di loro, conduceteli qui e uccideteli in mia presenza” (Luca 19:27).

Gli antichi potenti sovrani orientali hanno spesso inaugurato il regno, scannando i propri nemici. Nebucadnetsar accecherà Sedechia, dopo avergli ucciso i figli sotto gli occhi (2Re 25:7). Non sappiamo se Archelao abbia agito allo stesso modo, tuttavia la Scrittura conferma che l’epilogo degli impenitenti e dei ribelli è lo stagno di fuoco e di zolfo: “Ma per i codardi, gl'increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda» (Apocalisse 21:8).

 

Conclusione

Con la parabola delle mine, il Signore ricorda a tutti noi, Suoi servitori che, nell’attesa del Suo ritorno, abbiamo ricevuto dei doni da amministrare. Noi abbiamo accettato di servirLo, quindi, non dobbiamo “riporre in un fazzoletto” quanto potrebbe contribuire alla Sua gloria. Qualcuno potrebbe affermare che, in ogni caso, quel servo rimase alla reggia del Re, nonostante la sua negligenza. È importante ricordare che:

·        ·        La Scrittura, tanto meno la parabola, non esalta la pigrizia, ma anzi la fedeltà.

·        ·        È preferibile ricevere il premio per la fedeltà, piuttosto che il biasimo per l’indolenza.

·        ·        La fedeltà del servitore esalta la Persona del Re nel Suo Regno.

Il Signore ci vuole fedeli (1Corinzi 4:1,2). Studiamoci di agire in conformità della Sua volontà, perché, oltre alla salvezza, possiamo ricevere anche l’approvazione più ambita: “Il suo padrone gli disse: “Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore” (Matteo 25:21).