Il nostro secolo è il secolo
delle imitazioni e dei surrogati. Sembra che lo sforzo scientifico sia teso
alla sostituzione dell'autentico con il falso, dell'originale con la copia.
Questo programma di ampio respiro include, nel suo sviluppo, tutte le realtà
della vita non facendo eccezione neanche per le realtà morali e spirituali.
La morale sana, permeata di
timore di Dio e di rettitudine sociale, viene ogni giorno
surrogata da una pacifica convivenza che è tutta infingimenti
e ipocrisie e la spiritualità pura ed elevata viene quotidianamente sostituita
da un vuoto formalismo religioso che si esaurisce in una liturgia priva di
significato.
In un mondo che ha elevato
questo programma a sistema di vita; in un mondo dove il luccichio dei diamanti
ed il brillare dell'oro suscitano le più legittime diffidenze, la domanda che
noi solleviamo rappresenta il più naturale degli interrogativi: sei cristiano?
È una domanda impegnativa che
esige una risposta franca e precisa e non per soddisfare chi ha posto
l'interrogativo, ma per illuminare coloro che hanno
l'eroismo di accettare la domanda.
A coloro che non amano
distinguere fra il vero e il falso la domanda sembrerà
superflua od inopportuna, ma ai pochi che ancora bramano possedere la verità
nel senso più elevato del termine, la domanda, non soltanto apparirà logica ed
attuale, ma apparirà anche come una favorevole opportunità per cercare la
verità in loro stessi.
Quindi, le pagine di questo volume
non s'indirizzano a tutti, ma soltanto a quei credenti che desiderano spezzare
le catene dell'illusione e dell'inganno per conquistare la libertà dello
spirito che si respira nel vero cristianesimo.
Cristiano vuol dire seguace di Cristo o, come si dice
più comunemente, discepolo di Cristo.
Non si può essere discepolo di un Maestro senza conoscerlo
e perciò non si può essere cristiani senza conoscere Cristo.
Il discepolo è colui che segue
gli insegnamenti del Maestro; quando gli insegnamenti di un Maestro
rappresentano anche la sua vita, il discepolo diventa l'imitatore perfetto del
Maestro.
Per essere cristiani, cioè allievi di Gesù ed
imitatori di Gesù, bisogna conoscere il Maestro:
bisogna conoscere il suo ammaestramento che è lo stesso che dire: bisogna
conoscere la sua vita perché in Gesù ammaestramento e
vita rappresentano la medesima cosa.
La conoscenza di Gesù sarà
completata soltanto nell'eternità, ma soltanto coloro che
hanno incominciato a penetrarla quaggiù possono essere definiti suoi
discepoli.
Se un
individuo non ha incontrato Cristo, non ha veduto Cristo, non ha udito Cristo,
non può neanche dichiararsi discepolo di Cristo. Egli può anche essere un
ammiratore entusiasta dell'eminente personalità del figliuolo
di Dio, ma non può assolutamente pretendere di essere suo discepolo.
Quindi la domanda "sei Cristiano?" può
essere sostituita da un'altra: conosci
Cristo?
Naturalmente, la risposta non può evadere la realtà perché
abbiamo già precisato che conoscere Cristo significa aver avuto un incontro con
Lui e aver stretto una relazione con Lui.
Coloro che lo conoscono attraverso le biografie
semplicemente in conseguenza di quello che si dice di Cristo, non lo conoscono
affatto. Possono anche aver lette le cose più belle riguardanti la Sua vita e
possono aver udito centinaia di sermoni intorno a Lui ma se non Lo hanno
incontrato personalmente se non Lo hanno udito con i loro orecchi e non Lo
hanno veduto con i propri occhi non lo conoscono, e perciò non possono
dichiarare di essere cristiani.
Purtroppo molti si accontentano della conoscenza degli
altri e vivono in una pigrizia spirituale che offre loro una forma religiosa,
ma nasconde irrimediabilmente il vero cristianesimo. Essere
membri di una comunità cristiana o appartenere ad una famiglia cristiana
può dare l'illusione di essere cristiani, ma in realtà non rappresenta
affatto una garanzia di salvezza perché, anche se coloro che ci circondano
hanno conosciuto Cristo, noi non possiamo dichiararci cristiani fino a tanto
che non esperimentiamo una conoscenza diretta e personale.
Ai profani, e forse a quanti non hanno ancora fatta una
personale esperienza cristiana, il concetto di un incontro con Cristo e di una
conoscenza di Cristo può risultare incomprensibile.
Vogliamo perciò precisare che noi consideriamo Cristo non come una idea astratta, ma come una persona reale e quindi non
come una realtà ideale che può essere conquistata soltanto intellettualmente,
ma come una realtà spirituale che può essere pienamente partecipata con tutta
la personalità umana.
Cristo è l'eterno figlio di Dio che è apparso nel mondo
per la salvezza del genere umano e che perciò si è manifestato in carne per
essere l'unico mediatore fra gli uomini e il Padre. Vero uomo e vero Dio, è
stato ed è il termine di mediazione, il tratto di unione
fra il cielo e la terra. Egli però non è soltanto il tratto di
unione fra gli uomini e Dio ma è la mediazione fra ogni uomo e il
Padre. Non è soltanto il Salvatore del mondo, ma è il Salvatore di ogni
uomo che viene nel mondo.
Ogni individuo perciò deve fare la sua personale
conoscenza e deve costituirlo il proprio mediatore e il proprio Salvatore.
Egli è una persona vivente e può essere incontrato, può
essere conosciuto proprio come qualsiasi persona può essere realmente
incontrata e conosciuta.
Egli vede, ode, ed Egli parla, tocca, si manifesta... è
una persona e quindi non deve essere considerato come se fosse soltanto
un'idea.
L'individuo che si professa cristiano, ma ha conosciuto
Cristo esclusivamente come idea e non lo ha incontrato come persona, si trova
ancora molto lontano dal vero cristianesimo il quale
non è fondato su un'idea, ma su una persona.
L'esperienza genuina del credente è soltanto
quella che gli permette di dire: - Ho incontrato Cristo; l'ho chiaramente
veduto con l'occhio spirituale; ho distintamente udita la Sua voce e sentita la
Sua mano.
E' un incontro che avviene mediante le pagine
dell'Evangelo, ma si verifica fuori di esse; è un
incontro che non ha nessuna relazione con quanto intellettualmente si conosce
di Cristo.
In altre parole, l'individuo che incontra Cristo non lo incontra nel senso che quello che
egli sa di Lui diventa più chiaro nella sua mente o che
quello che ha letto di Lui nelle pagine dell'Evangelo acquista un più profondo
significato nella sua coscienza, no! Lo incontra nel significato preciso di
questa parola attraverso un reale contatto fra Cristo persona divina e
la sua anima desiderosa di luce e di grazia.
L'incontro è colloquio, è contemplazione, è passione.
L'incontro è conoscenza positiva di quel Cristo che si
conosceva come idea o del quale, forse, si era udito parlare o si erano
studiati i dettagli biografici, ma che rimaneva purtroppo una realtà
sconosciuta e distante.
Il vero cristiano, cioè colui che
ha incontrato Cristo, che ha conosciuto Cristo, può testimoniare di quest'incontro sopranaturale e può dire con forza che
nonostante esso si sia verificato fuori dei sensi umani, è stato un incontro
reale e positivo.
Gli occhi, gli orecchi, le mani dell'uomo non sono
necessarie per vedere, udire e toccare Cristo perché, quando avviene un vero
incontro con Lui, i sensi dell'organismo fisico vengono
superati dai sensi spirituali dell'individuo ed è a mezzo di questi che viene
raggiunta la meravigliosa realtà.
Le realtà raggiunte dai sensi dello spirito non sono
immaginarie, come credono sovente coloro che non le hanno esperimentate, e non
sono neanche astratte, e perciò è logico parlare dell'incontro con Cristo
facendo uso dei medesimi termini che servono per esperimentare l'incontro con
una persona fisica.
Natanaele ebbe un incontro con Cristo, e Paolo
sulla via di Damasco ebbe anche un incontro con Cristo. Il primo di
questi due incontri non fu più reale dei secondo ed ambedue
queste esperienze generarono la conoscenza di Cristo indipendentemente dalla
mediazione dei sensi umani.
Questa considerazione ci conferma il principio
fondamentale che i sensi fisici sono soltanto mezzi per avere contatto con il
mondo fisico. Per avere relazione con il mondo spirituale, che non soltanto è
reale, ma eterno, bisogna servirsi di quei sensi spirituali a mezze dei quali
l'uomo può incontrare Cristo e conoscere Cristo.
Come già detto in precedenza, questa conoscenza è
inesauribile e noi possiamo approfondirla progressivamente nel tempo ed
esaurirla nell'eternità, ma per professarci cristiani dobbiamo almeno essere
penetrati in essa.
Hai incontrato Cristo?
Non è importante sapere se i genitori hanno incontrato
Cristo o se altri hanno personalmente conosciuto il Salvatore, ma è importante
ed urgente sapere se noi lo abbiamo veduto, udito, conosciuto.
Fuori di questa esperienza non
esiste il cristianesimo e perciò è vano il professarsi discepolo di Cristo se
non c'è stato un positivo incontro con Lui. Abbiamo diritto di nominarci
seguaci del Maestro soltanto quando abbiamo la possibilità di dichiarare:
Abbiamo conosciuto il Signore, ed ora proseguiremo a conoscerlo di più in più....
Incontrato, conosciuto, veduto, udito...; non devono
essere espressioni figurative, prive del loro reale significato, ma devono
essere termini capaci di esprimere in modo rigorosamente esatto le nostre reali
esperienze nel Signore.
Cristiano è anche sinonimo di figliuolo
di Dio. Non si può essere cristiani e non essere figliuoli
di Dio perché le due definizioni si equivalgono.
Coloro che non conoscono le dichiarazioni della Scrittura credono che creatura di Dio e figliuolo di Dio
voglia dire la medesima cosa mentre invece il significato è nettamente diverso.
Creatura di Dio vuol dire creato da Dio; figliuolo
di Dio vuol dire invece generato da Dio. Tutti gli uomini sono creature di
Dio, ma soltanto i cristiani sono figliuoli di Dio perché
sono stati generati da Lui per la fede in Cristo.
Il figliuolo di Dio cioè il
cristiano, si differenzia da tutte le altre creature per una particolarità
fondamentale della propria personalità: la giustizia!
Il cristiano dunque è rivestito totalmente di giustizia e
manifesta le caratteristiche di Colui che Lo ha
generato mediante l'integrità morale e spirituale della propria personalità.
Questa affermazione non vuole intendere che il cristiano sia un essere
infallibile e neanche che egli possegga, abbia, una giustizia propria, quale
risultato di opere meritorie, ma vuole soltanto
dichiarare che figliuolo di Dio è colui che ha partecipato la
giustificazione.
Non si può essere cristiani senza aver realizzato la
giustificazione offerta da Dio in Cristo perché tutti i figliuoli
di Dio hanno il medesimo carattere, non per capacità propria, ma in conseguenza
dell'opera della grazia.
L'uomo non è naturalmente giusto; egli si conta mina sin
dalla sua prima infanzia per la trasgressione alla legge morale e perciò per
divenire giusto ha bisogno di essere giustificato in Cristo. Per essere
giustificati, però, non basta conoscere la dottrina della salvezza, ma bisogna
accettare personalmente l'opera di Cristo.
La dottrina cristiana c'illumina intorno all'opera della
salvezza e ci precisa che cosa rappresenta e come si compie la giustificazione;
ma questa luce è e rimane come un faro che vuoi
condurci alla realizzazione di questa meravigliosa opera di grazia.
Non mancano neanche oggi, infatti, uomini che conoscono il
valore dell'offerta di Cristo; uomini che sanno teoricamente che Gesù ha sofferto per gli ingiusti onde
poter partecipare la Sua giustizia a tutti coloro che accettano il Suo
sacrificio come un sacrificio vicario, cioè come un sacrificio compiuto per loro.
Questa categoria d'individui vi sa dire in maniera esatta
che la giustificazione è il risultato della fede in Cristo e che essa
stabilisce un rapporto di pace con Dio. Vi sa anche dire che, mediante la
giustificazione, l'uomo appare davanti al Padre come se non avesse mai peccato,
cioè appare ricoperto della giustizia di Colui che
poteva dire: Chi di voi mi
convince di peccato?
Si, tutte queste cose sono conosciute da un notevole
numero di persone, ma non tutti coloro che le
conoscono le hanno esperimentate e quindi non tutti coloro che le conoscono
sono cristiani perché, per essere cristiani, non basta conoscere teoricamente
il meccanismo della giustificazione Per essere cristiano, cioè per essere
figliuolo di Dio, bisogna aver partecipato la giustificazione che è offerta in
Cristo.
La domanda del capitolo precedente deve
essere quindi seguita da un secondo interrogativo Sei stato
giustificato?
Nessuno può essere giustificato se non adempie le
condizioni stabilite dalla Scrittura; esse sono:
1) Riconoscere la propria ingiustizia;
2) Riconoscere per fede la giustizia giustificante di
Cristo;
3) Chiedere in uno spirito di ravvedimento il dono della
giustizia.
Purtroppo, nel seno delle chiese che hanno una tradizione
dietro le spalle, queste condizioni sono frequentemente ignorate. Le giovani
generazioni che ricevono il messaggio dell'Evangelo in eredità dalle proprie famiglie credono di essere nate già salvate e non è
infrequente sentir dire: Io sono nato nella grazia..., Io non ho mai conosciuto
il peccato....
Queste giovani generazioni sono proclivi a sostituire il
cristianesimo reale, il cristianesimo delle esperienze, con un cristianesimo
formale, liturgico nel quale la morale diviene la causa anziché essere
semplicemente l'effetto.
Non basta essere bravi e buoni per essere
cristiani, come non basta essere nati in una famiglia cristiana per proclamarsi
figliuoli di Dio, perché soltanto coloro che hanno
partecipata la giustificazione sono stati fatti realmente cristiani.
L'uomo deve riconoscere la propria ingiustizia, il proprio
peccato. Deve essere consapevole che i suoi pensieri, le sue azioni, i suoi
sentimenti lo hanno reso ripetutamente trasgressore della legge di Dio. Egli è
indegno del Regno dei cieli...
Fino a tanto che l'individuo non si umilia per riconoscere
il proprio stato d'iniquità, non può neanche volgere lo sguardo alla croce del
Calvario.
Molti sedicenti cristiani parlano ogni giorno del figliuolo di Dio crocifisso, ma fino ad oggi non hanno
potuto avere una visione della sua offerta immacolata. Conoscono la croce in
senso iconografico, ma non lo hanno mai veduta nella sua realtà spirituale.
Invece non si può giungere a Cristo se non attraverso la croce alla quale si accede per la via della sincera umiliazione.
Le prime due condizioni sono dunque adempiute nel
riconoscimento del proprio peccato e nella contemplazione del sacrificio della
croce che esprime la giustizia giustificante. La terza condizione viene adempiuta nella preghiera umile e sincera a Dio.
Non tutti riescono a comprendere che Dio vuole una esplicita richiesta e per questo motivo molti continuano
a nominarsi cristiani senza essere stati mai fatti figliuoli di Dio. Il
perdono dei peccati, la giustificazione in Cristo, la purificazione per il
sangue del Calvario, devono essere chiaramente ed umilmente richiesti a Dio. Se voi non avete mai chiesto il perdono dei vostri peccati, voi non siete perdonati. Se non avete mai chiesto il dono della giustizia voi non siete giustificati.
Iddio offre la giustificazione in dono a tutti gli uomini, ma Egli non la
concede a nessuno per un processo spontaneo ed automatico che sia indipendente dal desiderio, dalla fede e dalla richiesta
dell'uomo. Tutti coloro che adempiono le condizioni
stabilite dalla Scrittura vengono gratuitamente giustificati in Cristo, ma
quanti invece vogliono fondare il loro cristianesimo sulla propria moralità o
sui propri diritti familiari o più semplicemente sulla propria conoscenza
finiscono per crearsi una religione tanto illusoria quanto irreale.
Il cristianesimo è esperienza spirituale e non conoscenza
intellettuale e quindi è assolutamente inutile ricercarlo fuori
dalle realtà dello spirito.
Per chiudere, vogliamo dire che la giustificazione è un
atto della grazia che si compie in noi indipendentemente dalle nostre emozioni,
però non possiamo negare che esso suscita in noi le più dolci e profonde
sensazioni. Il peccatore che si sente più che perdonato,
assolto incondizionatamente davanti a Dio; lo straniero dei Patti che si sente
adottato al Padre, il nemico che si sente riconciliato e in pace con Dio, non
può non sentire delle emozioni soavi nell'intimo della sua vita.
Forse per questo motivo tanti credenti vivono un
cristianesimo freddo e statico: essi non hanno mai esperimentate
quelle realtà spirituali capaci di suscitare le più profonde e dolci sensazioni
nell'animo.
Sei cristiano? Cioè hai incontrato Cristo? Sei
stato giustificato in Cristo?
Se c'è una dichiarazione di Gesù
che esprima, in modo particolare, il carattere dei cristiano,
questa è quella contenuta nel cap. 3 dell'Evangelo secondo Giovanni: «Se alcuno
non è nato di nuovo non può entrare nel Regno di Dio».
Sei nato di nuovo? Dalla risposta a questa domanda può
essere stabilito se tu sei o non sei cristiano.
La nuova nascita è un'esperienza spirituale che non può
essere confusa con altre esperienze perché ha caratteristiche così precise e
così visibili da poter essere facilmente individuata in qualsiasi individuo.
Quindi non è difficile rispondere alla domanda posta precedentemente
perché tutti possono sapere se sono nati di nuovo.
Nascere di nuovo, infatti, vuol dire venire
alla luce; vuol dire passare da un genere di vita ad un genere di vita
diverso; vuol dire entrare nel novero degli esseri viventi. In altre parole
nascere di nuovo rappresenta un avvenimento, che sotto tutti
gli aspetti, può essere assomigliato alla nascita nel senso
fisiologico.
Colui che nasce viene alla luce e passa dalla vita uterina alla
vita propria ed entra così, con la propria personalità, nel seno della società
umana.
La nuova nascita, ripetiamo, è un venire alla
luce. Non è, come credono alcuni, ricevere un poco di luce perché quest'atto sovrano della grazia divina introduce pienamente
nella luce della verità.
L'individuo viene trasportato
dalle tenebre al chiarore della rivelazione divina alla quale i suoi occhi si
aprono, in maniera incerta da principio, e poi sempre più distintamente. Egli
non è più un povero essere raggomitolato in un antro tenebroso, ma un individuo
che si muove alla luce, che si riscalda al sole, che gioisce in un bagno di
verità.
Egli cambia sostanzialmente il suo genere di vita. Dire
che i suoi pensieri si modificano e che i suoi desideri si mutano è dire
soltanto in minima parte qual'è
il risultato della nuova nascita.
L'individuo cambia genere di vita perché cessa di avere
una vita in comune con il mondo e con il peccato e inizia una vita propria
nell'atmosfera della grazia di Dio. Quindi non
soltanto i pensieri o desideri, ma tutto è mutato nella sua personalità ed egli
appare quello che non è mai stato così come il nascituro è quello che
non era prima.
L'uomo che è nato di nuovo respira lo Spirito di Dio,
contempla la luce della verità, si riscalda al sole della giustizia; egli
dunque ha una vita propria e libera, ma questa vita è sensitiva e vegetativa in
virtù degli elementi soprannaturali che la fanno vivere. Naturalmente
questo linguaggio è essenzialmente simbolico.
Infine l'individuo che nasce di nuovo entra
nel novero della società, di una particolare società umana e spirituale che è
definita dei primogeniti scritti nei cieli. Potremmo anche più semplicemente dire entra nella società
dei figliuoli del Regno, cioè diviene un cristiano.
Coloro che ricevono Cristo acquistano, con Lui, il diritto
di essere chiamati figliuoli di Dio, non perché viene
loro conferito un titolo, ma perché nascono da Dio, ricevono il seme di
Dio, e partecipano la natura di Dio. Tutte queste precisazioni sono
esplicitamente dichiarate dall'Evangelo e sono chiaramente dimostrate
dall'esperienza cristiana.
Se un
individuo si proclama cristiano senza aver esperimentata la realtà di una nuova
nascita, il suo cristianesimo rappresenta una povera contraffazione di
quella religione pura ed immacolata recata da Gesù
agli uomini. Per essere discepolo del Maestro divino, bisogna possedere, ci si
perdoni il linguaggio esemplificativo, un doppio certificato di nascita ed il
secondo deve essere tanto preciso e tanto particolareggiato
quanto il primo.
Il cristiano deve sapere quando è venuto
alla luce e quando ha incominciato a vivere. Deve conoscere il giorno e
l'ora nei quali è divenuto cristiano ed è stato fatto figliuolo
di Dio. La sua vita, in altre parole, deve essere distinta in due vite,
separate fra loro da unì taglio netto, e rese
sopratutto indipendenti da una evidente ed accentuatissima
differenza di caratteri. Egli deve essere oggi quello che non
era prima della sua esperienza spirituale e deve sentire questo distacco
fino a non riconoscersi ivi colui che era. Questo è infinitamente più che un
semplice cambiamento di opinione ed anche più che un
perfezionamento di carattere.
Oggi le comunità cristiane accolgono con colpevole
superficialità i propri membri, disinteressandosi totalmente delle esperienze
che possono o non possono aver fatto. Avviene frequentemente, di conseguenza,
che molti giovani siano accettati nel seno della
chiesa soltanto perché fanno parte di famiglie cristiane. Generalmente questi
giovani presentano una vita moralmente lodevole ed una conoscenza biblica
discreta, ma sono ugualmente poveri peccatori bisognosi di salvezza.
Vengono
accettati senza che la loro vita esperimenti la potenza della nuova nascita e
quindi essi si trovano ad essere cristiani, o a dichiararsi cristiani, pur
avendo sempre la medesima vita. Possono forse indicare la data della loro
decisione, o la data del loro battesimo, ma non possono indicare la data della
loro rigenerazione perché questa non si è mai verificata.
Naturalmente questi cristiani hanno una personalità
spirituale incompleta perché non vedono e non sentono nella medesima maniera
di coloro che hanno partecipato il Regno attraverso la
porta della nuova nascita.
La crisi di molti movimenti cristiani è iniziata nel
giorno che la dottrina della nuova nascita è stata sostituita da quella della
tradizione. Sono sorti mediante l'unione di individui
rigenerati dalla grazia di Dio e hanno cercato di sopravvivere sull'eredita
delle generazioni successive che non hanno conosciuta la potenza della nuova
nascita, ma soltanto l'incerta forza della convinzione intellettuale.
Sei nato di nuovo?
Hai partecipato la natura di Dio attraverso l'opera della
rigenerazione? Puoi indicare in maniera esatta l'ora e i modi nei quali si è
verificata la tua totale trasformazione?
La tua vita è veramente distinta in due vite diverse e
indipendenti?
Poni te stesso di fronte a queste
domande perché esse vogliono chiaramente e profondamente provare il tuo
cristianesimo. Se tu non sei ancora nato di nuovo, non sei neanche ancora cristiano.
Devi fare una decisione e devi compiere una esperienza,
ma un'esperienza che non può essere assolutamente ignorata o trascurata.
Colui che ha accettato Cristo, che è divenuto discepolo di Cristo,
deve domandarsi se vive realmente nel cristianesimo. La domanda: Sei
cristiano?, non riguarda soltanto il passato, ma anche, ed anzi, sopratutto,
il presente.
E' molto importante chiedersi se abbiamo fatte le
esperienze essenziali per entrare nel cristianesimo, ma non è meno importante
indagare se viviamo dentro o fuori il cristianesimo.
Non sono cristiani coloro che hanno esperimentata.
la rigenerazione, e che successivamente hanno perduta
ogni potenza spirituale ed ogni senso morale.
Il cristiano è il simbolo stesso della gioia e della pace,
perciò colui che, oltre ad essere divenuto cristiano,
vive costantemente nel cristianesimo, possiede e manifesta queste due preziose
virtù spirituali.
Se non conosci la gioia e se ignori la pace,
non vivi nel cristianesimo: la tua testimonianza di discepolo di Gesù è infirmata dallo stato della tua vita. Il mondo deve riconoscere i figliuoli
di Dio anche dal loro viso sereno, dal loro canto incessante, dalla loro gioia
esuberante.
Gioia e pace! Questo bene prezioso rappresenta la eredità logica del cristianesimo e del cristiano.
Il cristiano deve sentire e godere la gioia della presenza
di Dio, la gioia della salvezza, la gioia della rivelazione.
Il figliuolo di Dio ha mille
motivi di gioia e perciò può attingere e deve attingere instancabilmente alla
fonte della gioia. Egli non ha nessun motivo per essere turbato perché è stato
liberato dalle circostanze che turbano gli uomini.
Se la
gioia è spenta, il cristiano non può dimostrare di aver partecipato quelle realtà
invisibili che arricchiscono per l'eternità. Come si può conciliare la
testimonianza delle nostre esperienze e della nostra speranza con una vita di angoscia e di turbamento?
Se noi annunciamo al mondo il messaggio di Cristo e lo
annunciamo con l'autorità dell'esperienza, dobbiamo dimostrare che quest'esperienza non è immaginaria, ma è positiva.
Quando affermiamo che il nostro nome è scritto nel cielo,
quando dichiariamo che siamo stati fatti figliuoli di
Dio ed eredi di Dio, quando testimoniamo che incontriamo costantemente la
presenza di Dio, quando proclamiamo che partecipiamo la gloria dello Spirito
divino, dobbiamo punteggiare e sottolineare queste affermazioni meravigliose
con una vita traboccante di gioia.
I cristiani che lacrimano inesauribilmente, sotto lo
stimolo di una vita perennemente arida ed angosciata; i cristiani che espongono
il quadro della loro opprimente mestizia, sono capaci soltanto di dimostrare
che il loro cristianesimo è ammalato.
Gioia e pace devono essere gli
ornamenti leggiadri dei figliuoli di Dio, la forza interiore di tutti i
cristiani.
Gesù ha assicurato pace ai suoi discepoli. Non
la pace effimera e superficiale del mondo, ma la Sua pace.
La pace di Gesù non ci
garantisce la immunità dalle persecuzioni o dalle distrette, ma ci assicura la serenità e la forza in esse.
In altre parole, Gesù non ci ha promesso una vita di
pace, dipendente dalle circostanze del mondo, ma ci ha offerta quella pace che
ci solleva al di sopra delle circostanze e delle
bufere.
Il cristiano gode serenità e pace e il cristiano manifesta questo dono divino in mezzo al mondo. Anche quando la sua navicella è nella tempesta o anche
quando i bisogni della vita si fanno pressanti, egli sente e vive la pace.
La pace di Gesù accompagna il
credente in ogni momento e perciò il cristiano si distingue nel seno della
società per quelle caratteristiche che fanno di lui l'individuo che non subisce
l'influenza degli avvenimenti.
Quando gli
altri tremano e si spaventano, il cristiano è sereno ed egli rimane serenamente
adagiato sulla sua pace anche quando incontra quelle tempeste che fanno
vacillare i forti della terra.
Pace per i giovani e pace per i canuti; pace
di fronte alle lotte della vita e pace all'avvicinarsi della morte; pace nelle
persecuzioni e pace nelle distrette; pace per il
presente e pace per l'avvenire: questa è la pace di Cristo nel cristiano.
Se tu non vivi nella gioia e nella pace cioè
nelle due virtù spirituali che conseguono spontaneamente dal vero
cristianesimo, tu ti trovi fuori dall'ambito dei figliuoli di Dio.
Il cristianesimo non rappresenta una religione che si
possiede assieme a tutti gli altri accessori della vita e che quindi può
lievemente influenzare il nostro carattere e le nostre circostanze, ma non può
mutare le inclinazioni naturali della nostra personalità e dei nostri
sentimenti. No! il cristianesimo è la vita; esso ha un
carattere già esattamente definito e quando noi vogliamo alterare o modificare
questo carattere noi distruggiamo il cristianesimo.
La religione di Cristo si vive o non si vive; quando si
vive, si vive come essa è, ma quando noi vogliamo
adattarla alle esigenze della nostra mentalità o della nostra carnalità, non la
viviamo affatto.
Molti credenti potranno trovare eccessivo questo giudizio
e potranno anche continuare a pensare che il cristianesimo è
possibile anche la, ove non regnano gioia e pace, ma la Scrittura invece ci
conferma che i cristiani, i veri cristiani, anche in mezzo alle battaglie
sanguinose della vita e della fede, sentono, godono e manifestano,
costantemente, gioia e pace.
Se la tua
condizione spirituale non s'identifica con quella che la Scrittura dichiara
essere la vera condizione dei discepoli di Gesù, non
cercare di spiegare questa disarmonia con argomenti capaci di giustificare il
tuo turbamento costante e la tua perpetua mestizia, ma umiliati per rientrare
nell'ambito di quella realtà eterna che riempie e rende traboccante di gioia e
dì pace.
Sei cristiano? Cioè godi sempre gioia e pace?
Mostri sempre queste virtù celesti?
L'apostolo Paolo scriveva, ai suoi giorni: - Se noi
sperassimo in Cristo soltanto per le cose di questa vita, noi saremmo i più
miserabili fra gli uomini.
E Pietro, in una delle sue epistole, così esortava i
cristiani: ...sperate perfettamente nella grazia che ci sarà conferita
all'apparizione del Signor nostro Gesù
Cristo.
Un cristiano, un autentico cristiano, è un individuo
ripieno di speranza; la sua speranza però non è fondata sopra le realtà
visibili della vita, ma su quelle invisibili dello Spirito che dimorano nell'eternità.
Ci sono molti falsi credenti che dichiarano di sperare
veramente in Cristo e di aspettare con ansia il suo ritorno, la sua
apparizione, ma vivono però nella ricerca avida ed instancabile di tutti i beni
terreni che possono essere conquistati e goduti.
Questi sedicenti cristiani paventano la malattia e sono
terrorizzati dal]a morte e se incontrano poi la perdita delle loro ricchezze,
piombano nella disperazione più cupa. Essi confessano una speranza che non posseggono e dichiarano dei sentimenti che non affiorano
neanche nella loro insensibile coscienza.
La speranza cristiana conduce l'anima oltre la malattia e
la morte e la solleva al di sopra della ricchezza o
della miseria perché introduce il credente nel mondo dello Spirito che è, come
già detto, il mondo delle realtà invisibili, ma eterne.
Il vero cristiano possiede questa vera speranza. Egli non vive aspettando il conseguimento di un benessere o
di una felicità contingente perché spera perfettamente nell'adempimento delle
promesse divine relative all'ingresso nella gloria.
Tutta la sua vita e tutti i suoi desideri sono tesi verso
l'eternità ed egli compie il suo pellegrinaggio con la costante visione della
città di Dio che lo attende. Non può cercare altro, non può essere assorbito o
distratto da altro: egli ha tutto, nel fine della sua speranza che è la vita
eterna in Cristo Gesù.
E' assurdo dichiararsi cristiani e dimostrare l'assenza di
qualsiasi desiderio di andare ad abitare con Cristo. E' paradossale dire di
aver ricevuto una eredità eterna nel cielo e vivere
soltanto per desiderare e accumulare tesori in questa terra.
Se sei
cristiano, non puoi non possedere la speranza cristiana; in altre parole, se
sei veramente cristiano, non puoi vivere per avvinghiarti sempre più
tenacemente a questa terra.
La potenza della chiesa apostolica, la forza dei martiri,
si sono manifestate in diretta relazione con la speranza cristiana. Attraverso
la lotta, i credenti hanno saputo dimostrare che vivevano per il cielo ed
anelavano il cielo.
Essi potevano ricevere con allegrezza lo spogliamento dei
propri beni come potevano sopportare con serenità gioiosa, la perdita della
propria vita in conseguenza del fatto che il loro occhio, il loro desiderio,
erano illuminati ed ispirati dalla speranza.
Colui che spera non può guardare al presente e non si può fermare
al visibile e perciò egli quasi non si accorge del proprio stato o delle
circostanze della propria vita perché è assorbito dalla visione gloriosa di ciò
che non si vede, ma che per il cristiano è tanto reale come se si
vedesse.
Il pensiero delle molte stanze promesse da Gesù, della città dalle porte di perla, del luogo
abitato dalla gloria e dalla giustizia, deve occupare la mente e il cuore del
cristiano ed egli deve vivere sospirando verso il
ritorno di Gesù.
La speranza deve anticipare la gioia
della visione di Dio, deve far pregustare l'incontro con Gesù, con gli angeli, con i santi, deve far godere fin da
ora il perfetto gaudio, la conoscenza compiuta, la liberazione totale.
Se le
promesse divine sono realmente l'oggetto della speranza cristiana, questa
speranza deve infiammare ed entusiasmare la vita del credente.
Sei cristiano? Vivi e godi nella speranza cristiana?
In quale livello si trova la tua vita e si muovono i tuoi
pensieri e i tuoi desideri?
Ricordati che la Scrittura ci assicura che tutti coloro che hanno realmente la speranza di vedere il Signore
e di essere resi simili a Lui, sin da ora, si purificano come Egli è puro. La
speranza purifica l'anima ed imbianca la vita. Essa libera da ogni scoria
terrena perché spezza i legami delle sollecitudini o le catene dell'avarizia; i
lacci del timore o i ceppi della mondanità.
Non è vero, infatti, che tutte queste caratteristiche
peccaminose rappresentano le conseguenze di una vita priva di speranza?
Colui che non spera nel tesoro celeste è sollecito per costituirne
uno terreno; colui che non sa guardare alle ricchezze eterne è avaro per
conquistare quelle momentanee; colui che non brama e non sa bramare l'incontro
con Cristo è timoroso delle circostanze che insidiano la sua vita e colui,
infine, che non riesce, mediante la speranza, a vivere nei cielo come nella
propria città, è mondano per soddisfare i desideri impetuosi del suo cuore
arido.
La speranza porta il cielo nel cuore e fa trasparire il
cielo dal volto ed un cristiano deve avere il cielo
nel cuore e in tutte le manifestazioni della propria vita: egli si deve
distinguere particolarmente quando le circostanze più tragiche della vita
mettono in evidenza il valore della personalità umana.
Paolo ricorda ai cristiani di Tessalonica
che anche di fronte alla morte i cristiani dovevano
far risplendere la testimonianza della loro virilità. Egli così si esprimeva: non siate contristati come coloro che non hanno speranza...
Coloro che non hanno speranza vengono
contristati turbati dagli avvenimenti tragici della vita, ma coloro che hanno
speranza, cioè che sono cristiani nel senso esatto di questo glorioso vocabolo,
rendono testimonianza della invulnerabilità che hanno acquisita mediante l'adottazione a Dio.
In conclusione, essere cristiano significa essere fuori dei mondo, o, come diceva Paolo, crocifisso al mondo. Essere
fuori del mondo vuol dire essere nel cielo. Il cristiano quindi è l'individuo
che vive nel cielo mediante la speranza e mediante la fede.
Fede e speranza sono strettamente
congiunte nel cristianesimo perché la fede è certezza delle cose che si
sperano. E' quasi impossibile distinguere e individualizzare queste due
realtà spirituali ma per approssimazione possiamo pensare alla fede come
all'occhio della speranza e alla mano della speranza. La speranza, in questo
caso, ci appare come l'anima e la fede come il corpo.
L'anima ha contatto con il mondo che ci circonda a mezzo dei corpo e la speranza ha contatto con le realtà
invisibili mediante la fede.
La fede è quella che permette alla speranza di vedere e di
toccare le promesse verso le quali essa si volge.
Perciò, il cristiano è colui che
ha speranza e fede. Cioè è colui che non soltanto
anela e aspetta le realtà eterne dello Spirito, ma anche che vede e che tocca
quelle promesse invisibili, ma indistruttibili, fatte da Dio.
Mosè per fede rimase costante vedendo l'invisibile. Abrahamo, Isacco, Giacobbe terminarono
il loro pellegrinaggio mirando ad una città stabile edificata dal Signore. La
loro vita era una vita di fede, ma di quella fede che rende
positiva la speranza.
Simigliantemente Paolo che si preparò al martirio mirando la corona della
giustizia o Pietro che guardò verso la morte per mirare in essa
l'angelo della liberazione o Stefano che offrì il suo sangue contemplando la
gloria del cielo, ci appaiono come uomini di fede. La loro fede però ci viene presentata semplicemente come la concretizzazione
della speranza.
Una speranza priva di fede è un'anima
senza corpo come la fede senza speranza è un corpo senza anima. Il
cristiano che possiede una speranza rappresentata da un sentimento
indefinibile, che gli fa desiderare cose buone e belle, senza pertanto fargli
sentire la certezza assoluta nella realizzazione di esse,
non è cristiano, ma è soltanto un comune ottimista.
Anche gli inconvertiti sperano; ma per loro speranza vuol dire
desiderio di circostanze favorevoli o augurio di cose buone.
Gli uomini infatti ripetono
volentieri il vecchio adagio del volgo: - La speranza è l'ultima a morire! In
questo proverbio si allude alla speranza generata dall'ottimismo umano e che è una entità nettamente separata dalla fede.
Hai una speranza di fede? O hai
fede e speranza?
Se non possiedi queste due realtà o queste due virtù non sei cristiano.
Forse sei un religioso nel senso comunissimo di questo
termine abusato, ma non sei un cristiano.
Potrà anche sembrarti strano, ma ricordati che un
cristiano è una creatura, sotto certi aspetti, soprannaturale. Egli ha speranza
e fede e perciò vive fuori e sopra del povero mondo della materia.
Egli crede a Dio oltre che credere in Dio; egli crede e
spera e perciò vive libero dalle limitazioni imposte dall'incredulità e dalla
disperazione.
La sua speranza lo eleva e lo purifica e la sua fede lo
rende vincitore e potente.
Egli passa in mezzo al mondo come un essere che offre al
mondo l'ispirazione della sua vita celeste, ma che non accetta dal mondo
nessuna delle sue realtà effimere e vane.
Il nuovo comandamento recato da Cristo è quello
dell'amore. L'amore si trovava anche nelle prescrizioni mosaiche
e l'amore esisteva prima del cristianesimo come sentimento naturale, ma Cristo
ha recato qualche cosa di nuovo rispetto alla legge e qualche cosa di più
elevato e di più profondo nei confronti dei sentimenti naturali: l'amore di
Cristo è un sentimento divino partecipato ai redenti congiuntamente alla natura
divina.
Coloro che sono cristiani, che sono nati di nuovo, posseggono questo amore, mentre coloro che non hanno
esperimentata la rigenerazione hanno soltanto una pallida idea di questo
meraviglioso sentimento che viene sparso nei cuori a mezzo dello Spirito
Santo.
Gesù ha dichiarato che una delle
caratteristiche visibili del cristianesimo è costituita appunto
dall'amore: - Da questo si conoscerà che siete miei discepoli, dall'amore
intenso che vi porterete!
La frase del Redentore però potrebbe essere falsata
dall'interpretazione superficiale di qualche esegeta desideroso di fare del cristianesimo una conventicola denominazionalista.
E' necessario perciò ricordare che l'amore cristiano è un sentimento che supera
non so! - tanto le barriere confessionali, ma anche le barricate costituite
da tutte le discriminazioni e da tutte le considerazioni umane.
Se è vero che la prima manifestazione dell'amore e quindi
la prima pratica dell'amore trovano la loro attuazione
nello stesso ambiente cristiano, non è meno vero che quest'amore
divino riesce a straripare dall'ambito della Comunità per raggiungere e
coprire, con la propria benefica influenza, ogni creatura di Dio.
L'amore cristiano non guarda al colore della pelle e non
osserva la lingua parlata; non fa differenza fra l'amico e il nemico, fra il
povero e il ricco. L'amore cristiano raggiunge il vicino e il lontano, il
monoteista e il politeista.
L'amore cristiano quindi non può essere assomigliato o
paragonato all'amore naturale che, frequentemente, si manifesta nell'individuo
come una forma perfezionata di egoismo, perché esso si
differenzia così nettamente dall'amore naturale da apparire come un sentimento
unico che può essere partecipato soltanto mediante la salvezza offerta da Dio.
E' l'amore che ha stupito e che deve stupire il mondo;
l'amore che ha ispirati e sospinti i missionari,
l'amore che ha fatto i martiri, l'amore che ha scosso e vinto gli indifferenti.
Quest'amore, appunto perché si differenzia dall'amore naturale,
non asseconda le attitudini della natura umana nelle sue manifestazioni
negative. Non asseconda la vendetta, il risentimento e non asseconda le
valutazioni e le considerazioni mosse da interesSi
egoistici.
E' un amore perfetto e perciò benigno, altruista,
generoso, costante imparziale, potente.
Se uno si
nomina cristiano, e non ha quest'amore è un mendace
perché questo sentimento divino dimora sempre nel cristiano.
E' necessario anche precisare che l'amore cristiano non
può rimanere confinato entro una concezione astratta o nell'ambito
dell'idealismo teorico: esso è dinamico, attivo, concreto. L'amore cristiano si
traduce continuamente in opere buone cioè in quelle
opere che Iddio stesso prepara sul sentiero dei suoi figliuoli.
La parola di conforto o di consiglio, vibrante,
l'assistenza opportuna e generosa; la misericordia aperta, la fraternità
sincera, la simpatia profonda...: queste sono le opere buone che esprimono
l'amore cristiano.
Queste opere vengono compiute a
favore del prossimo che non è rappresentato però, secondo l'antica concezione
israelitica, da quel ristretto numero di persone con le quali abbiamo
particolari rapporti d'intimità, ma è costituito, come c'insegna la parabola
del buon samaritano, da tutti coloro che comunque hanno bisogno del nostro
amore fattivo.
Voler svuotare il cristianesimo dell'amore significa voler
togliere lo spirito dal corpo. Il cristianesimo e fondato sull'amore, è animato
dall'amore, si adempie nell'amore.
Cristo ha dichiarato solennemente che tutta la legge
divina è suggellata entro due comandamenti che potrebbero essere fusi in un
solo comandamento per essere poi condensati ed espressi con una sola parola:
AMA!
Quando abbiamo annullata o
eliminata questa parola, abbiamo ucciso il sentimento che essa esprime e quando
abbiamo ucciso l'amore, abbiamo distrutto il cristianesimo.
Quindi
insistiamo nell'affermare che coloro che si dichiarano cristiani senza
possedere l'amore sono semplicemente dei mendaci o, potremmo anche concedere,
degli illusi.
Non tutti, naturalmente, possono possedere l'amore nella
sua pienezza e non tutti possono rispecchiare la personalità di Cristo nella
Sua gloria. I cristiani hanno davanti a loro un sentiero di progresso
spirituale; devono crescere in ogni cosa e quindi anche nell'amore. Ma coloro che non hanno partecipato mai, in nessuna misura,
questo sentimento divino o che presentemente non lo avvertono più nel cuore,
non sono cristiani.
La domanda quindi che è ritornata tante volte
in queste pagine: Sei cristiano?, può anche essere formulata nei termini:
Possiedi l'amore di Cristo?
Se si risponde affermativamente,
si deve rispondere sì ad ambedue le domande, ma se si vuole rispondere
negativamente soltanto ad una delle due domande, bisogna essere disposti a
calpestare la verità.
Questi termini del problema possono sembrare eccessivi.
Nel cristianesimo non sono mai mancati scismi, contese, dispute e anche i
grandi uomini della fede sono stati coinvolti in queste aspre lotte fraterne...
No, i termini non sono eccessivi perché l'Evangelo è
assolutamente esplicito su questo soggetto. Le lotte teologiche alla dottrina o
ai problemi comunitari non indicano sempre l'assenza dell'amore, ma
frequentemente esprimono soltanto una pratica errata di esso.
Molti hanno combattuto severamente con un cuore
traboccante di amore nei confronti di coloro verso i
quali erano costretti a combattere per la difesa della verità, Altri hanno
creduto di far cosa giusta, affrontando la contesa, ma non sono venuti meno nel
sentimento purissimo che avevano partecipato in Cristo.
E' anche vero che ci sono stati molti, invece, che hanno
sferrato e sostenuto la lotta nella potenza dell'odio, ma questi non erano cristiani, o non lo erano almeno
nel tempo della loro battaglia che può essere considerato
il tempo del loro sviamento.
Un cristiano ha sempre l'amore di Cristo, viene ispirato e guidato da esso. E
gli può errare e può anche diminuire nell'amore, ma quel sentimento spirituale
non cessa mai in lui perché esso è condizione essenziale di vita.
Negli errori, nelle sconfitte, negli smarrimenti il
cristiano non può cessare di realizzare l'amore anche se qualche volta questo
si riduce ad un lumicino fioco e tremolante.
Possiedi l'amore? Lo hai ricevuto in conseguenza della
grazia salutare di Dio? Lo senti agire dinamicamente nella tua vita?
In altre parole, Sei cristiano?
Ci sono alcuni che pretendono essere cristiani senza
sentire il più debole desiderio o il più piccolo dovere di
offrire la loro vita a Cristo.
Questa pretesa è assurda perché non si può essere
cristiani ed essere contemporaneamente indifferenti verso Cristo. Il
cristianesimo è, oltre a tutte le cose esposte precedentemente,
passione per Cristo, comunione con Cristo.
L'Apostolo Paolo assomiglia le relazioni della chiesa
cristiana con Cristo a quelle che uniscono i coniugi nella vita matrimoniale. Come è inconcepibile un matrimonio nel quale una sposa
rifiuti di offrire la propria vita allo sposo, così è inconcepibile un
cristianesimo nel quale manchi l'offerta pura e sincera a Cristo.
Dove non c'è
offerta, non c'è amore e dove non c'è amore c'è indifferenza. L'indifferenza
può essere ammessa in coloro che non hanno conosciuto
Cristo, ma non può essere concepita in quanti si professano suoi discepoli.
Anche la
natura c'insegna che l'amore ci spinge a dare. Quando amiamo un oggetto
desideriamo dare ad esso tutta la nostra cura e tutte
le nostre attenzioni, e quando amiamo sinceramente una persona, sentiamo il
bisogno di dare tutto ciò che può fare la felicità della persona amata. Amore e
offerta, dunque, si fondono anche nella vita naturale, quasi ad insegnarci che
queste due realtà, sul terreno pratico rappresentano una sola, inscindibile,
entità.
Se sei
cristiano, devi sentire il bisogno imperioso di onorare Cristo e di compiacere
Cristo con la tua offerta; se non senti questo bisogno vuol dire che non sei
stato mai cristiano o non sei più tale.
Il discepolo di Gesù
offre spontaneamente ed entusiasticamente la propria vita al Maestro. Egli gioisce quando può dare a Gesù
il proprio tempo, le proprie energie, i propri beni perché egli sente che le
sue offerte rappresentano le espressioni pratiche del suo amore ardente per
Cristo.
L'offerta più frequente e più naturale del credente è
costituita dalla lode. Il vero credente loda sempre il Signore; lo loda con
ardore e con gratitudine, con sincerità e in adorazione. La lode, assieme alla
preghiera, o la lode come preghiera, è il linguaggio più espressivo dell'amore.
lo
benedirò sempre il Signore e la sua lode sarà sempre nella mia bocca! Questa
dichiarazione contenuta nei salmi rappresenta la regola del cristiano: nella
gioia o nella prova; attraverso le tenebre o al chiarore del sole egli loda
sempre e con slancio il Nome del Signore.
Se sei
cristiano, non puoi tacere perché la tua vita è colma e traboccante di motivi
di lode. Il cielo è aperto sopra te e Iddio è presente
nella tua vita: tu non puoi non elevare lodi al cielo.
Paolo lodava il Signore nelle Comunità e lo lodava nelle
solitudini; lodava Cristo nei giorni di tranquillità e lo lodava nelle
sofferenze e nelle prigioni. Egli non manifestava un eroismo particolare, ma
semplicemente il cristianesimo, il vero cristianesimo.
Se lasci passare le tue giornate senza lodare
il Signore o se bastano le piccole avversità della vita per spegnere la lode
sulle tue labbra o dentro il tuo cuore, tu non vivi cristianamente.
Nella miseria, nella sofferenza, nella malattia, nella
persecuzione un cristiano deve essere sempre facilmente riconoscibile dalla
lode che offre a Cristo.
Assieme alla lode, il vero cristiano offre al Maestro tutte le altre risorse della sua vita: il tempo,
le energie, i beni.
Certi sedicenti cristiani trovano tempo per ogni cosa, ma
non riescono a trovare il tempo necessario per offrire a Cristo; riescono a
trovare energie per ogni occupazione, ma non trovano capacità ed energie per
offrire al Maestro.
Non hanno tempo per pregare, per studiare le scritture,
per compiere opere cristiane, per partecipare la comunione fraterna; non hanno
forza e abilità per il servizio, per l'evangelizzazione...
In altre parole si sentono nell'impossibilità di presentare le loro offerte a
Cristo.
Quest'impossibilità deriva unicamente dalla qualità del loro cristianesimo
che invece di essere originale, è soltanto imitazione.
Il vero cristiano desidera parlare con Cristo e brama
ascoltare Cristo. Offre la preghiera al proprio Maestro perché essa è il
colloquio dell'anima- il mezzo per riversare nel grembo di Cristo le
espressioni di affetto e le richieste sincere e per
ricevere da Cristo consolazioni, gioie e benedizioni.
Il vero cristiano altresì desidera studiare ed investigare
le scritture non soltanto perché esse suggellano le preziose promesse del
cielo, ma perché in esse è contenuta la legge del
Maestro. Il cristiano sente la necessità di offrire la propria attenzione e il
proprio tempo a Cristo mediante l'esame accurato e vivente della Sua divina
parola perché essa è il cibo dell'anima, l'alimento indispensabile per vivere
la vita dello spirito, la vita cristiana.
Nello stesso modo che desidera la preghiera e
lo studio delle scritture, il cristiano desidera ardentemente offrire il
proprio tempo nella ricerca della comunione fraterna. Uno dei fenomeni del cristianesimo moderno è
rappresentato dall'isolazionismo; s'incontrano frequentemente sedicenti
credenti che vivono il loro cristianesimo » separato dagli altri.
Il cristianesimo degli isolati non è originale, sopratutto
se è provocato dal desiderio di non impiegare il proprio tempo nella ricerca
della comunione fraterna. In altre parole: coloro che non
hanno tempo per avere comunione col popolo di Dio, che non hanno tempo
per vivere in mezzo al popolo di Dio, non hanno tempo da offrire a Cristo e
perciò non appartengono alla schiera dei suoi discepoli.
Tempo ed energie sono le offerte che il credente presenta
costantemente sull'altare dell'amore cristiano. E' meraviglioso constatare il funzionamento armonico del Corpo di Cristo.
Non tutte le membra sono impegnate in grandi compiti, ma
tutte vivono, si muovono in funzione della vita del corpo. Tutte hanno tempo ed
energia per il corpo e tutte danno, in ogni momento il
proprio tempo e la propria energia nel corpo.
Nella chiesa ci sono i ministeri spirituali e quindi ci
sono i ministri che li espletano, ma, oltre a questi,
anche tutti i credenti fanno parte del corpo ed hanno una funzione nel corpo.
Tutti devono poter dare tempo ed energia, secondo la propria funzione, per la
vita gloriosa del corpo.
I ministri sono forse impegnati in compiti fondamentali
che richiedono tutto il loro tempo, ma gli altri sono ugualmente impegnati
nella vita del corpo al punto di dover dare tutto il tempo e tutte le energie
che il corpo richiede.
Il commerciante che prima di sentirsi commerciante non si senta cristiano, non è cristiano. Il contadino o l'operaio
che prima di sentirsi tali non si sentano cristiani
non sono cristiani.
Se un individuo
sacrifica il proprio cristianesimo alla qualifica sociale che lo impegna nella
vita, vuol dire che non è cristiano, ma è semplicemente medico, commerciante,
muratore ecc.
E' assurdo pensare ad un discepolo di Cristo disposto ad
offrire tempo ed energie al proprio lavoro, ma non disposto a portare l'offerta
del tempo e dell'energia richieste dal proprio Maestro
sull'altare della fedeltà e dell'amore.
I veri cristiani lavorano per Cristo, producono a Cristo,
collaborano con Cristo.
Se sono
ministri, lavorano nell'espletamento dei ministeri spirituali e se non sono
ministri, lavorano ugualmente nell'ambito delle proprie competenze, nelle
assistenze, nell'evangelizzazione, nei compiti comunitari. Offrono ed offrono
perché è attraverso l'offerta che vivono e godono profondamente il proprio
cristianesimo che è un cristianesimo autentico.
C'è un'altra offerta che non manca mai nella mano del
cristiano: quella dei Suoi beni, del suo denaro, Il discepolo onora il Maestro
anche con l'offerta generosa delle proprie risorse economiche. Se volete
misurare il cristianesimo di una comunità o di un credente
pesate le loro offerte: la lode, la preghiera, lo studio, il tempo, le
energie, il denaro.
Purtroppo si trovano degli impudenti pronti a rivendicare
il loro titolo nonostante che non abbiano una sola
offerta nelle loro mani. Noi diciamo soltanto che questi poveri illusi posseggono un cristianesimo apparente.
Nel cristianesimo esiste l'offerta perché il cristianesimo
è la religione di Colui che si è offerto. I discepoli
di Cristo sono tali in quanto sanno essere imitatori
di quel Maestro che ha dato, dato, e sempre dato con generosità ed amore.
Il cristiano dunque offre anche il proprio denaro; lo
offre a Cristo per l'opera di Cristo e perciò non l'offre come si potrebbe
offrire un'elemosina, ma l'offre come si potrebbe offrire un dono generoso ed
affettuoso al proprio Maestro.
C'è una differenza notevole fra la moneta di rame che fate
scivolare, forse con indifferenza, nella mano del mendicante e il dono prezioso
che offrite solennemente alla persona amata. L'offerta del cristiano non può
assomigliare all'elemosina perché deve superare l'atto di affetto
verso la persona cara al vostro cuore.
Gesù non ha bisogno, da un punto di vista generale, del nostro
denaro, ma Egli lo accetta e lo gradisce non soltanto
perché è un contributo al servizio del Suo Regno, ma perché è un'espressione
positiva del nostro amore per Lui. Il nostro contributo e la espressione
del nostro amore però non devono essere ridotti in termini di elemosina perché
altrimenti invece di onorare Cristo noi offendiamo il Suo Nome benedetto.
L'offerta della moneta di rame può trasformarsi,
sull'altare della fede, nell'offerta d'oro, se essa esprime amore e sacrificio,
ma rimane soltanto elemosina insultante se è dimostrazione di
indifferenza ed avarizia.
Ognuno è accettevole a Cristo in
proporzione di quello che possiede; quindi se l'offerta, anche povera,
comporta un profondo, ma entusiasta sacrificio è e rimane un'autentica offerta.
Ma se l'offerta è costituita dalla misera elargizione di una
moneta tanto superflua quanto inutile, può essere definita soltanto elemosina.
Non raramente s'incontrano membri di comunità cristiane
che non concepiscono l'offerta del loro denaro. Non vogliamo dire che non concepiscono
l'offerta del denaro, ma non concepiscono l'offerta del loro denaro. Questi
cristiani soltanto in apparenza, si aspettano di ricevere offerte per loro e
per la loro comunità, ma non pensano di onorare Cristo con la loro offerta. Se ci sono dei problemi economici connessi con il servizio
dell'Evangelo, delle necessità finanziarie inerenti all'opera di Dio, questi
credenti alzano la voce per sollecitare la generosità degli altri, ma chiudono
la borsa per covare la propria avarizia.
Più di una volta abbiamo veduto povere comunità chiamate
cristiane che hanno cercato di risparmiare il proprio minuto e grosso bestiame
per offrire sull'altare del servizio la dolce agnella
dell'uomo povero. Se questa descrizione figurativa, ispirataci dalle parole del
profeta all'impenitente Davide, non dovesse essere
comprensibile, diremo più chiaramente:
- Più di una volta abbiamo veduto comunità ecclesiastiche,
forniate da membri facoltosi ed avari che, di fronte ad una necessità locale,
hanno saputo risparmiare tutti i beni e tutte le possessioni dei ricchi del
luogo per godere l'offerta generosa dei veri credenti di altre
località che hanno presentato il frutto del proprio sacrificio a Cristo.
L'individuo che di fronte a Colui che
chiama il proprio Maestro rimane indifferente e serra la borsa, non è degno di
chiamarsi del nome di Cristo.
Gesù vuol dare, ma vuole anche ricevere; vuole
onorare, ma vuole essere onorato; vuole arricchire con le Sue benedizioni e con
la Sua provvidenza, ma vuole altresì essere esaltato attraverso il tributo
della generosità profonda e sincera.
Ricordiamoci: il Maestro divino non possedeva nulla eppure
ha avuto tutto quello che era necessario all'espletamento del Suo ministero.
Egli non aveva ove posare il capo, ma è stato ospitato in case sontuose. Egli
non aveva una tavola, ma è stato accolto alle mense più sontuose; non aveva
denari, ma è stato sovvenuto in ogni necessità.
Molti hanno dato con gioia la loro casa, la loro tavola,
il loro denaro, la loro cavalcatura, il loro olio odorifero e finanche la
propria tomba al Maestro divino. E noi vogliamo
chiamarci discepoli tenendo tutto il denaro e tutti i beni che possediamo
serrati egoisticamente nella nostra mano?
Il vero cristiano offre ed offre generosamente ogni
qualvolta sente ripetere la frase: - Il Signore ne ha bisogno!
Con queste offerte cristiane viene
manifestata la potenza della grazia che parla veramente di Cristo e dei
cristiani cioè di Cristo e dei veri cristiani.
Sei cristiano? Che cosa dai a Cristo? Offri
forse le briciole superflue del tuo tempo, delle tue energie, del tuo denaro?
Sei occupato più a offrire a te
stesso e quindi all'idolo del tuo io oppure a Colui che chiami Maestro e
Signore?
Ricordati: se ti chiami cristiano, ma non offri a Cristo, il tuo cristianesimo
non è autentico.
Un cristiano si distingue nel seno della società per le sue particolari caratteristiche che fanno di lui un
individuo diverso da tutti gli altri.
Gli uomini, nel mondo, si assomigliano straordinariamente
amiche quando sono diversi per il colore della pelle, per le idee politiche o
filosofiche ed anche quando hanno religioni differenti: in
fondo tutti gli uomini sono uguali nelle opere, nelle aspirazioni, nella
mentalità. La grande famiglia umana è strettamente
associata dalla legge della corruzione e del peccato.
Potete andare in Asia o in America, potete esaminare i
colti e gli incolti, gli evoluti e gli involuti, ma voi troverete le medesime
caratteristiche in tutti gli individui.
C'è una sola classe di persone che si differenzia
nettamente dal resto dell'umanità e questa è costituita dai cristiani.
Se tu sei cristiano sei diverso da tutti gli altri uomini
che vivono nel mondo in conseguenza del fatto che sei stato rigenerato per una
potenza spirituale che ti ha fatto uscire fuori dalle
comuni leggi che regolano la vita degli uomini. La tua vita è stata
trasformata, la tua mente è stata rinnovata e tu hai partecipato la natura
divina fino al punto di realizzare la nuova nascita prodotta dal seme di Dio.
Nella società e nella famiglia, devi manifestare
chiaramente questa differenza: la tua vita deve risplendere della luce della
verità e le tue opere devono esprimere interamente la libertà dello Spirito.
Coloro che riescono a vivere nel mondo senza manifestare
il proprio cristianesimo, non sono cristiani. Se la
loro vita si mescola e si confonde con la vita di tutti gli altri e se la loro
personalità sparisce nell'anonimo della società, in conseguenza del fatto che
non si distingue dalla personalità degli altri, vuol dire che non sono nati di
nuovo, non sono discepoli di Cristo.
In quest'epoca tenebrosa di
smarrimento e di amoralità, non è neanche necessario
un cristianesimo aggressivo per emergere; anche le caratteristiche, appena
accennate, di un cristianesimo autentico, vissuto debolmente, appaiono e
risplendono. Se questa luce non si manifesta, vuol
dire soltanto che il cristianesimo è totalmente assente
Il cristiano si distingue per la sobrietà e la
dignità del suo portamento; il cristiano si distingue per la verità e la
rettitudine delle sue parole; il cristiano si distingue per la santità e
l'onestà delle sue opere.
L'uomo che manca alla sua parola, che evade dai suoi
doveri, che trascende nei suoi modi, che viene meno ai
suoi impegni, che è disonesto nelle sue azioni è l'uomo comune che non ha
esperimentato e non vive la potenza della redenzione, ma il cristiano è il
testimonio dell'opera della grazia che viene proclamata, più che con la
predicazione, con la vita pratica dei discepoli del Maestro della perfezione.
Il cristiano commerciante è totalmente
diverso da tutti gli altri commercianti, come il cristiano operaio è
diverso da tutti gli altri operai. Non soltanto, ambedue, portano, nelle loro
attività, la serietà del loro carattere, ma sopratutto l'uno e l'altro fanno
risplendere il loro lavoro della luce dell'onestà più scrupolosa e della
rettitudine più severa.
Gli appuntamenti, i debiti, gli impegni, vengono considerati dal cristiano alla luce di quella
rivelazione interiore che obbliga, sempre, il discepolo di Cristo ad assumersi
le proprie responsabilità di figliuolo di Dio.
In altre parole il discepolo di Cristo attraversa il mondo
e cammina nel mezzo della società lasciando sempre, al suo passaggio, la scia
del profumo di Cristo.
Gli uomini potranno forse dire che i cristiani hanno una
concezione spirituale errata, potranno anche dire che sono poveri esaltati o
addirittura che costituiscono un pericolo per la società, ma dovranno sempre
vedere le loro buone opere, cioè la loro vita luminosa,
che li differenzia da tutto il resto dell'umanità.
Il cristianesimo è anche ordine; ordine spirituale, ordine
morale ed ordine sociale. Il cristiano dunque non soltanto ha una vita ordinata
sul piano spirituale e sul piano morale, ma ha anche una vita ordinata sul
piano sociale e familiare.
L'ordine del cristiano si manifesta, prima che altrove,
nella propria persona. Il cristiano benefica gli effetti della legge di Dio
anche nella cura della propria persona che è sempre in ordine, sempre pulita, sempre
piacevole.
E' meraviglioso constatare che
l'Evangelo ha una potenza capace di raggiungere qualsiasi zona della vita; esso
può insegnare ogni cosa e può illuminare ogni individuo. Quando
l'Evangelo giunge ai popoli incivili, ai popoli vincolati da condizioni di vita
retrogradi, non soltanto li libera dai loro peccati morali, ma li scioglie
anche dalle loro abitudini incivili.
L'Evangelo porta l'acqua, il sapone, la pulizia, l'ordine
della casa, la cura della persona; rende piacevoli gli individui, accoglienti
gli ambienti. Spinge al miglioramento, al conforto, all'igiene.
Oggi, molti sedicenti cristiani di paesi progrediti e
civili pretendono testimoniare della loro fede senza rinunciare al disordine
delle loro persone maleodoranti e alla confusione delle loro case sudice. Essi
avviliscono la testimonianza dell' Evangelo che,
oltretutto, è parola di ordine e di civiltà.
Non esistono impedimenti o limitazioni all'ordine, come
non esistono impedimenti o limitazione alla moralità. Colui
che vuol vivere, nella grazia di Cristo, una vita moralmente sana, può
-viverla in qualsiasi ambiente e in lotta con qualunque circostanza. Altresì, colui che vuol vivere, alla luce dell'Evangelo, una vita
ordinata e sana può viverla anche nel mezzo della miseria più profonda o
combattendo con ristrettezze opprimenti.
Abbiamo veduto i tuguri e le capanne di cristiani poveri e
proprio in quei luoghi abbiamo potuto vedere la
manifestazione della sapienza di Dio e della luce di Dio: l'ordine più
perfetto, la pulizia più accurata facevano di quei poveri abituri, luoghi
accoglienti che offrivano, insieme alla dolce presenza del Signore, anche
l'influenza benefica della Sua parola.
Abbiamo anche visto però lo spettacolo desolante di abitazioni « Così dette cristiane ove mancava un posto
per ogni cosa e dove ogni cosa era fuori del proprio posto. Il disordine, il
sudiciume, l'aria malsana: tutto, tutto testimoniava contro la professione di
fede di coloro che si dichiaravano discepoli del Maestro. Discepoli del
Maestro?
Ma se Egli è stato ed è il Maestro dell'ordine,
dell'armonia, della bellezza come è possibile che i
suoi discepoli siano sporchi e disordinati?
Il cristiano si distingue anche nell'ordine, anche nella
pulizia perché egli sa portare una nota piacevole e melodiosa di civiltà anche
negli ambienti più poveri, anche in mezzo alle condizioni più tristi.
I cristiani, che sono tali soltanto formalmente,
dovrebbero riflettere profondamente di fronte a queste dichiarazioni.
Dovrebbero cioè cercare di penetrare Sinceramente il
cristianesimo mettendo la propria vita in regola davanti a Dio.
Molte e molte case dovrebbero essere vuotate e liberate da mille oggetti inutili che le hanno invase e
ridotte nel caos e nel sudiciume; dovrebbero essere radicalmente ripulite e
dovrebbero essere mantenute igienicamente sane mediante una manutenzione
accurata e costante.
Tutti gli insetti dovrebbero essere sterminati totalmente
e, in quei luoghi, ove, purtroppo, indugia ancora la consuetudine di accogliere
gli animali domestici in casa, questi dovrebbero essere espulsi e confinati in
recinti lontani dall'abitazione.
L'uso dell'acqua e del sapone per le persone e per gli
indumenti, intimi o esterni, dovrebbe essere fatto regolarmente e senza
parsimonia affinché si veda e si senta che i
cristiani costituiscono un popolo di persone rese civili dall'Evangelo anche in
mezzo alle più ostili condizioni di vita.
L'ordine familiare però investe un problema che va anche
oltre a quello importantissimo della pulizia e dell'armonia. L'ordine familiare
investe il problema della posizione dei diversi membri nella famiglia. Il
cristiano risplende anche in questa particolarissima e fondamentale norma di
vita.
Il marito è incontrastabilmente
il capo della famiglia. Egli si assume i suoi importantissimi compiti direttivi
ed accetta le responsabilità relative al sostentamento
e alla protezione della famiglia.
Egli è anche il sacerdote della casa, il ministro della
famiglia e perciò tiene nelle mani il piccolo nucleo sociale per curano come servitore del Signore.
Il marito cristiano ama teneramente la propria moglie, ama
e cura i figliuoli e guida ordinatamente ed
autorevolmente la propria famigliola nei sentieri della verità.
La moglie cristiana è la dolce compagna e la valorosa. collaboratrice del marito. Ella è
sottoposta affettuosamente, ma anche assolutamente, al capo della famiglia. Le
caratteristiche salienti del suo grazioso ministero familiare sono costituite
dalla dolcezza, dalla subordinazione, dal rispetto e dall'affetto positivo verso il proprio marito.
Nel seno della famiglia e verso i figliuoli,
ella ha un compito che l'impegna come massaia solerte e come madre vigile ed
amorosa. Unita al proprio marito e sottomessa rispettosamente a lui, guida la
famiglia nel sentiero di Dio.
I figliuoli cristiani hanno
venerazione per i propri genitori. L'ubbidienza, il rispetto, la sottomissione guidano ed ispirano continuamente i loro rapporti con essi.
In conclusione, la famiglia cristiana rispecchia l'armonia
e l'ordine del Creatore dell'Universo il quale ha voluto porre il Suo suggello
in tutte le opere compiute per la parola della Sua potenza.
Se il
marito cede direttiva ed autorità alla moglie, se rifiuta le sue responsabilità
e trascura i suoi compiti, non può dichiarare di essere un marito cristiano. E se la moglie è insubordinata, irriverente, arrogante nei
confronti del proprio marito, e se pretende di usurpargli autorità e direttiva,
e se è indolente e pigra nell'adempimento dei propri doveri familiari, non può
professarsi discepola di Cristo.
Le parole non esprimono il cristianesimo; esso è vita vissuta in ogni luogo e in ogni tempo.
Sei cristiano?
Vivi nell'ordine, nell'onestà, nella moralità? Sei un
marito, od una moglie, od un figliuolo che fa brillare
.la luce della verità e dell'Evangelo?
Ricordati: se il tuo cristianesimo è soltanto loquela,
ma la tua vita non s distingue chiaramente dalla vita
di coloro che nel mondo vivono lontano da Cristo, tu non sei Suo discepolo e
non hai perciò diritto di proclamarti cristiano.
Se hai incontrato Cristo ed hai accettato Cristo non puoi tacere: senti il desiderio di parlare di
Cristo.
Gesù riempie così pienamente la vita di coloro che lo
accettano e la rende così profondamente gioiosa da obbligarli a parlare
continuamente di Lui a tutti coloro con i quali hanno relazioni occasionali o
durature. E' un desiderio e più ancora che un desiderio una
necessità spirituale.
L'esperienza cristiana produce una fonte nella vita del credente
e l'acqua zampillante che scaturisce inesauribilmente dal suo cuore non è
soltanto lode, ma anche testimonianza.
L'acqua zampillante annuncia e proclama l'amore di Gesù, la potenza di Gesù, la
grazia di Gesù, perché colui che
ha partecipato le opere di Dio in Cristo, ha esperimentato la dolcezza
dell'amore divino, la potenza dell'opera della redenzione e la grandezza del
dono della grazia.
Egli non può tacere perché si sente sospinto a far
conoscere agli altri quello che egli ha conosciuto.
La testimonianza cristiana non s'identifica con l'avida
opera di proselitismo che viene compiuta da tutti gli
ambienti religiosi. Il credente non esalta la comunità, non propaganda il suo
credo, non fa argomentazioni polemiche, ma parla di Gesù.
Testimonia di Cristo in maniera positiva, con
entusiasmo, con gioia semplicemente per annunciare una lieta novella.
Ci sono due influenze diverse che generano la
testimonianza cristiana: la prima è rappresentata dal desiderio del credente di
far esplodere la propria gioia e la seconda è costituita dal desiderio del
cristiano di estendere ad altri il dono ineffabile ricevuto. Ambedue queste
influenze però ignorano il proselitismo nel senso comune di questo termine.
Il cristiano è una individuo colmo
di allegrezza e di gioia e questi sentimenti non possono essere repressi perché
se vengono repressi si spengono; perciò il cristiano sente il bisogno imperioso
di esternare la sua gioia. Non si può esternare la gioia cristiana senza
parlare di Colui che ha donato la gioia e quindi, per
il cristiano, esternare i propri sentimenti significa parlare di Cristo.
Il cristiano altresì è un individuo affettuoso e generoso;l'amore e la liberalità trovano la loro attuazione pratica
attraverso l'offerta di quello che si possiede e poiché il cristiano non
possiede bene più grande della grazia divina può manifestare i suoi generosi
sentimenti soltanto parlando di Gesù.
Egli perciò non vuole convincere, non vuole coartare, ma
vuole rallegrare e beneficare a mezzo di una legge di
comunicazione che può avere il suo adempimento soltanto nella testimonianza
cristiana.
La testimonianza cristiana non ha nessuna relazione con la
predicazione cristiana. Il ministro, l'evangelista, l'apostolo hanno il compito di proclamare Cristo attraverso la predicazione, ma tutti i cristiani hanno il diritto, più che
il dovere, di far conoscere Cristo, per la testimonianza entusiastica delle
loro labbra.
La testimonianza è raccontare le cose grandi che Dio ha compiute nella nostra vita; è far conoscere i sentimenti
profondi suscitati dalla grazia divina; è illustrare le conquiste realizzate
per la fede... insomma, come abbiamo già detto, la testimonianza cristiana non
è parlare di un credo e di una comunità, ma è esaltare Cristo nell'opera
compiuta in noi.
L'Evangelo ci conferma che tutti coloro
che hanno incontrato Cristo e hanno creduto in Cristo sono stati fatti il
lievito del Regno per la loro testimonianza.
Andrea crede in Gesù
e testimonia a Pietro; Filippo accetta Gesù e parla a
Natanaele; la donna di Samaria
incontra Gesù e testimonia nella sua città; i
miracolati accettano Gesù e raccontano a tutti della
Sua potenza; i primi cristiani ricevono Gesù e
annunciano il Suo amore in ogni luogo. La
testimonianza è una azione spontanea del cristianesimo
che adempie gioiosamente i piani di Dio relativi all'espansione del Regno.
Come abbiamo già detto precedentemente,
il cristiano brilla in mezzo al mondo a cagione della santità della sua vita e
perciò è necessario non perdere di vista il fatto che la prima dimostrazione
dell'opera di Cristo viene fornita dalle opere del credente. Questa verità però
non annulla l'altra che dichiara che la testimonianza è la necessaria
illustrazione o spiegazione dell'opera esteriore della grazia.
Le azioni dimostrano la potenza della
grazia, la testimonianza spiega in maniera particolareggiata quest'opera divina.
E' utilissimo parlare di Cristo prima con le opere, ma è
anche utile approfittare delle opportunità per rendere ragione a
tutti della speranza, della gioia, della fede cristiana.
Dobbiamo ricordarci che Cristo, al termine del suo
ministero, non aveva lasciata una grande
organizzazione, non aveva costituiti uomini colti, non aveva stanziato grandi
somme.
Evidentemente Egli si affidava più alla testimonianza
semplice e spicciola che non alle risorse fornite dai grandi mezzi umani. L'aspettativa del Maestro non è stata delusa e se, attraverso
i secoli, il cristianesimo si è allargato fino agli estremi confini della
terra, e se ha conquistato milioni di uomini, è stato, sopratutto, in virtù
della testimonianza cristiana.
Sono stati conquistati più uomini con la testimonianza che
con la predicazione, e una notevole parte di coloro che sono
stati conquistati con la predicazione sono stati portati nella comunità a mezzo
della testimonianza.
La testimonianza conquista non soltanto perché è un mezzo
spontaneo e genuino che frantuma ogni resistenza, ma anche perché è una
mediazione pratica che può raggiungere qualsiasi persona: il conoscente, il
fornitore, l'amico, il parente, il compagno di viaggio; tutti possono essere
raggiunti dalla testimonianza di colui che parla
perché ha udito e ricevuto.
Tèstimoni di Cristo? Parli costantemente
ed entusiasticamente di Lui? Sottolinei
continuamente le azioni che compi sotto l'impulso della grazia con la tua
ardente testimonianza?
Sei cristiano?